K metro 0 – Roma – L’IFRS Interpretations Committee (IC), l’ente deputato all’interpretazione dei principi contabili internazionali ha concluso, su richiesta dello IASB (International Accounting Standards Board), che le criptovalute non possono essere trattate in bilancio come disponibilità liquide ovvero strumenti finanziari, in quanto non hanno natura monetaria. Infatti, nelle proprie determinazioni, l’IC ha tenuto
K metro 0 – Roma – L’IFRS Interpretations Committee (IC), l’ente deputato all’interpretazione dei principi contabili internazionali ha concluso, su richiesta dello IASB (International Accounting Standards Board), che le criptovalute non possono essere trattate in bilancio come disponibilità liquide ovvero strumenti finanziari, in quanto non hanno natura monetaria. Infatti, nelle proprie determinazioni, l’IC ha tenuto principalmente conto del fatto che le valute virtuali non godono delle caratteristiche proprie delle monete: il riconoscimento universale quale mezzo di pagamento e i diritti e obblighi di natura contrattuale che derivano da tale status.
In ragione di dette considerazioni le “monete” virtuali, come i famosi Bitcoin e le preannunciate Libra, sono retrocesse a meri asset digitali e, pertanto, possono essere trattate, a seconda delle circostanze in appresso riepilogate, secondo lo IAS 2 (Rimanenze) ovvero lo IAS 38 (Attività immateriali).
Nel primo principio contabile internazionale (IAS 2) ricadono gli operatori che fanno trading su tali valute ovvero gli operatori specializzati (exchanges/wallet providers), interessati a mantenere scorte delle stesse. Nel secondo IAS, invece, rientrano tutte le altre fattispecie, dove non rilevano elementi peculiari nell’attività dell’operatore e, dunque, si pone enfasi solo sulla natura immateriale del bene (attività non monetaria priva di consistenza fisica), alla quale si associa la possibilità di generare benefici economici futuri, comunque non liberamente accessibili da terzi.
L’impostazione di non riconoscere la natura monetaristica alle criptovalute, seppur condivisibile sotto l’aspetto tecnico e sotto quello della tenuta prospettica dei mercati mondiali, comporta da subito potenziali ricadute sui valori di bilancio degli operatori economici per la diversa scelta di classificazione contabile, dalla quale derivano differenti criteri di valutazione: lo IAS 2, prevede l’iscrizione iniziale al costo e successivamente la valutazione al minore tra il costo e il valore netto di realizzo, fatta eccezione per i broker-traders, per i quali viene ammessa la valutazione al fair value al netto dei costi di vendita, con impatto a conto economico; mentre, lo IAS 38 consente la scelta tra la valutazione al costo (al netto di ammortamenti ed eventuali perdite di valore cumulate) e quella al fair value (solo per attività con mercato attivo, con variazioni di valore rilevate a patrimonio).
Ciò posto, l’esposizione in bilancio delle criptovalute non impatta esclusivamente sulla rappresentazione delle informazioni finanziarie e sulla loro comparabilità nel tempo e nello spazio, ma avvia un’importante discussione di natura fiscale.
La conclusione dell’IC, che non riconosce le “monete” virtuali come strumenti finanziari, è allo stato in contrasto con le prime pronunce delle autorità fiscali italiane ed europee che, sulla base della sentenza 22 ottobre 2015 della Corte di giustizia Ue, assimilavano le criptovalute a valute estere.
Di converso, l’assimilazione a riserve di magazzino o a beni intangibili implica, nella generalità dei casi, una valorizzazione al costo, con conseguente maggiore stabilità dei valori, preferibile soprattutto in settori a elevata volatilità, evitando pertanto la rilevanza fiscale di valori maturati, ma non realizzati, con il rischio dell’anticipo di imposte pur in assenza di reali guadagni.
In attesa delle sicure evoluzioni del mercato delle criptovalute e degli accorgimenti contabili e fiscali che saranno imposti dalle autorità domestiche e internazionali, alcune amministrazioni si stanno già muovendo in chiave preventiva, con il fine, di breve termine, d’innalzare il gettito fiscale e con quello, di più lungo corso, di contrastare l’appetibilità di tali strumenti alternativi, anche tenuto conto dello spettro connesso alla futura moneta globale annunciata da Facebook, la Libra. È il caso del Fisco USA che ha annunciato l’inoltro di oltre 10 mila avvisi a suoi contribuenti che, sulla base delle informazioni in suo possesso, hanno effettuato transazioni in/con criptomonete, invitandoli a sanare eventuali inadempimenti e a versare le imposte dovute, con sanzioni e interessi, evitando l’innalzamento degli importi ascritti e, ove ne ricorrano i presupposti, l’applicazione di provvedimenti penali.