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Istat, Rapporto 2019. L’Italia è in una fase drammatica: crescita zero, natalità sottozero, disuguaglianze più profonde, il sud emigra e si svuota

Istat, Rapporto 2019. L’Italia è in una fase drammatica: crescita zero, natalità sottozero, disuguaglianze più profonde, il sud emigra e si svuota

K metro 0/Jobsnews – Roma – Un’Italia sempre più vecchia, in crisi demografica e con divari territoriali ancora accentuati. È la fotografia scattata dall’Istat, che nel Rapporto annuale 2019 sottolinea tendenze e criticità che appaiono davvero difficili da risolvere nel brevissimo termine. Il primo nodo è chiaro: nel 2018 sono stati iscritti in anagrafe oltre

K metro 0/Jobsnews – Roma – Un’Italia sempre più vecchia, in crisi demografica e con divari territoriali ancora accentuati. È la fotografia scattata dall’Istat, che nel Rapporto annuale 2019 sottolinea tendenze e criticità che appaiono davvero difficili da risolvere nel brevissimo termine. Il primo nodo è chiaro: nel 2018 sono stati iscritti in anagrafe oltre 439 mila bambini, quasi 140 mila in meno rispetto al 2008. Un dato record in negativo, con il declino dovuto al saldo naturale in calo per effetto della diminuzione dei nuovi arrivi e dell’aumento tendenziale dei decessi. La transizione nell’età anziana delle generazioni del baby boom, oggi nella fase adulta della vita, è la principale determinante del futuro invecchiamento della popolazione. Nei prossimi anni le coorti in uscita risulteranno numericamente superiori a quelle in ingresso. Nel 2050, la quota dei 15-64enni potrà scendere al 54,2% del totale, circa dieci punti percentuali in meno rispetto a oggi. Inoltre, crescono i ‘grandi anziani’: a inizio 2019 si stimano circa 2,2 milioni di individui di età pari o superiore agli 85 anni, il 3,6% del totale della popolazione residente.  I giovani escono dalla famiglia di origine sempre più tardi sperimentando, rispetto alle precedenti generazioni, percorsi di vita più vari e meno lineari del passato. Al 1° gennaio 2018 i giovani dai 20 ai 34 anni sono 9 milioni 630 mila; Più della metà (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore. Non accenna invece a diminuire la povertà assoluta, la cui incidenza è più che raddoppiata negli ultimi 10 anni, dal 3,6 all’8,4%. L’indicatore tocca il massimo nel Mezzogiorno, dove passa dal 5,2% nel 2008 all’11,4% nel 2018.

La crescita italiana rallenterà, scrive ancora Istat, ulteriormente nel 2019. Nel suo “Rapporto annuale, 2019” indica che la fase di debolezza del paese proseguirà anche nel corso di quest’anno. E di conseguenza l’andamento del Pil rischia di essere negativo. L’Istituto di statistica ha previsto, infatti, una percentuale del 65 per cento di probabilità (quindi relativamente elevata) di contrazione del Pil per il secondo trimestre, ottenuta con una procedura che permette di individuare i settori manifatturieri con caratteristiche leading rispetto al ciclo economico. Per l’Istat le cause della scarsa crescita sono dovute alla modesta espansione supportata solo dalla domanda interna e, in particolare, dai consumi privati, e a una decelerazione delle esportazioni e importazioni in volume, legata soprattutto per la prima componente a fattori esogeni internazionali, che probabilmente determinerà un contributo nullo della domanda estera netta.

Nel decennio si sono ulteriormente ampliati i divari territoriali. Nel 2018 il recupero dell’occupazione al centro-nord, iniziato nel 2013, ha portato al superamento del numero di occupati rispetto al 2008 (384 mila, +2,3%) mentre nel Mezzogiorno il saldo è ancora ampiamente negativo (-260 mila; -4,0%). Oltre al più forte aumento del lavoro a termine, la differenza nei livelli di crescita tra le aree del Paese è dovuta alla dinamica del lavoro permanente. Complessivamente nel centro-nord vi sono 195 mila dipendenti a tempo indeterminato in più rispetto al 2008 (+1,8%) mentre nel Mezzogiorno ve ne sono 273 mila in meno (-7,0%). Anche il calo del lavoro a tempo pieno è stato più forte nel Mezzogiorno. Nel 2018 meno della metà degli occupati nel Mezzogiorno può contare su un lavoro stabile e a tempo pieno (48,8%, in calo di 5,5 punti percentuali), contro il 54% del Centro-nord (-2,6 punti percentuali). Benché in diminuzione, resta inoltre molto più elevato nel Mezzogiorno il tasso di lavoro irregolare.

“Una fotografia impietosa di un’Italia ferma per crescita economica, occupazionale e demografica”. Questo il giudizio della Cgil nazionale sulla situazione, emersa dal rapporto annuale ISTAT, del nostro Paese. Per la Confederazione “tra i dati che destano maggiore preoccupazione quelli macroeconomici, ma non solo. L’economia italiana segna un netto rallentamento della crescita del Pil rispetto al 2017, quindi uno stallo”. “Lo scenario demografico- prosegue- è segnato dalla mancanza di prospettive e dalla possibilità di miglioramento delle condizioni socioeconomiche, lo dimostra il record negativo delle nascite. La recessione demografica, infatti, è alleviata solo dai migranti, sono quindi incomprensibili le politiche antiimmigrati che prevedono la chiusura dei porti e non l’accoglienza. Inoltre, continuano le migrazioni interne e quelle verso l’estero, soprattutto dei giovani: una tendenza drammatica registrata solo durante la Prima guerra mondiale”. Sul versante occupazionale, il sindacato di corso d’Italia evidenzia un “contesto fragile. Aumentano in maniera preoccupante i lavoratori precari, con contratti inferiori a sei mesi, e quelli costretti ad un part-time involontario”. “Infine, negli ultimi dieci anni, è raddoppiata la quota di popolazione che non riesce a sostenere la spesa per beni e servizi essenziali, rischiando così l’esclusione sociale”. Secondo la Cgil “le politiche dell’ultimo decennio hanno determinato quanto emerge oggi dal rapporto annuale: profondi divari territoriali, l’aumento delle diseguaglianze e la riduzione di prospettive soprattutto per i giovani, in un Paese bloccato nella crescita e nello sviluppo”. “Per colmare i divari servono investimenti pubblici per sanità, servizi sociali, istruzione e per le infrastrutture materiali. Serve governare le politiche industriali, definendo obiettivi e direttrici di investimento per riuscire ad affrontare le sfide dell’innovazione digitale e della transizione ambientale”. “Per unire il Paese e ridurre le diseguaglianze- conclude la Cgil- saremo sabato prossimo in piazza a Reggio Calabria insieme a Cisl e Uil per una grande manifestazione unitaria”.

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