K metro 0/Jobsnews – London – La premier britannica, Theresa May, da oggi è premier dimissionario, in attesa del sostituto, che uscirà dal processo delle primarie che il Partito Tory comincerà la settimana prossima. Sono undici i Tory che hanno confermato finora la battaglia per la leadership conservatrice e il ‘numero 10’ di Downing Street.
K metro 0/Jobsnews – London – La premier britannica, Theresa May, da oggi è premier dimissionario, in attesa del sostituto, che uscirà dal processo delle primarie che il Partito Tory comincerà la settimana prossima. Sono undici i Tory che hanno confermato finora la battaglia per la leadership conservatrice e il ‘numero 10’ di Downing Street.
BORIS JOHNSON, 54 anni, è il volto più noto della campagna per il Leave nel referendum sulla Brexit. Ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri, è il preferito del presidente americano, Donald Trump. Nel congresso dei Tory, a ottobre, tra una folla acclamante lanciò un appello affinché il partito ritornasse ai sui valori tradizionali, in primis una minore pressione fiscale. Nel video in cui ha lanciato la sua campagna ha promesso che la Brexit sarà effettiva il prossimo 31 ottobre, con o senza accordo con l’Ue. MICHAEL GOVE, 51 anni, ministro dell’Ambiente, è favorevole a una ‘hard Brexit’. La sua permanenza nel governo gli ha comunque alienato le simpatie di alcuni nell’ala più euroscettica del partito. JEREMY HUNT, 52 anni, ministro degli Esteri dal luglio dell’anno scorso, dopo Johnson, ha difeso la permanenza nell’Ue durante la campagna per il referendum ma poi ha cambiato idea, deluso dall’atteggiamento “arrogante” di Bruxelles nei negoziati. Parla correntemente il giapponese e ha reputazione di persona che non ha paure delle sfide. DOMINIC RAAB, 45 anni, ardente difensore dell’uscita dalla Ue, è stato da luglio a novembre 2018 ministro per la Brexit. Cintura nera di karate, Raab è un ex avvocato specializzato in diritto internazionale. Convinto euroscettico, si è dimesso in disaccordo con il testo di accordo negoziato da May, che ha definito “un male per l’economia e la democrazia”. ANDREA LEADSOM, 56 anni, ha cominciato la ‘corsa’ a Downing Street a fine maggio, quando si è dimessa da ministra per le Relazioni con il Parlamento: una mossa che ha messo pressione sul governo e ha accelerato la caduta di May. Ex titolare dell’Energia, aveva corso per la leadership Tory dopo le dimissioni del premier David Cameron sulla scia del referendum del 2016, ma si era ritirata aprendo la strada all’ascesa di May. Ha fatto campagna per la Brexit. SAJID JAVAD, 49 anni, dall’aprile dell’anno scorso è il primo britannico di origine pachistana a ricoprire l’incarico di ministro dell’Interno. Nel 2016 appoggiò la campagna per il Remain, ma è rimasto fedele alla premier in questi ultimi, convulsi mesi, tanto che per molti sarebbe il suo successore naturale.
MATT HANCOCK, 40 anni, attuale titolare della Sanità, a favore del Remain nella campagna del 2016, assicura ora che il suo piano perché la Brexit sia una realtà in cinque mesi è l’unico credibile. MARK HARPER, 49 anni, si è dovuto dimettere nel 2014 da segretario di Stato per l’Immigrazione quando si seppe che dava lavoro come assistente a una migrante senza documenti. Ora ritiene sia necessario ritardare ancora l’uscita dall’Unione per poter ottenere un “buon accordo” per il Paese. RORY STEWART, 46 anni, ministro dello Sviluppo Internazionale ha già chiarito che non potrà lavorare in un governo Johnson perché ritiene che un’uscita senza accordo sia uno scenario “dannoso e disonesto”. SAM GYIMAH, 42 anni, si dimise da segretario di Stato per la Scuola perché in disaccordo con la gestione Brexit di May; fa parte della campagna ‘People’s Vote’, che spinge per un secondo referendum in cui, secondo quanto ha anticipato, voterebbe per la permanenza. ESTHER McVEY, 51 anni, un’altra dimissionaria del governo May, rinunciò al suo posto di ministro del Lavoro e Pensioni nel novembre dell’anno scorso ed è una ferma sostenitrice della ‘hard Brexit’.
Intanto, il Partito della Brexit di Nigel Farage fallisce l’ingresso in Parlamento. Nelle elezioni suppletive a Peterborough, nell’Inghilterra orientale, ha vinto per 683 voti la candidata dei laburisti, Lisa Forbes, che ha ottenuto il 31% dei consensi, contro il 29% del candidato di Farage, Mike Green. Terzi i conservatori con il 21% dei voti, seguiti dai liberaldemocratici al 12%. Alle elezioni europee del 26 maggio scorso, il Brexit Party, nato appena qualche settimana fa, aveva ottenuto il 31,6% dei voti. Le elezioni nel collegio di Peterborough sono state convocate dopo le dimissioni della deputata laburista Fiona Oluyinka Onasanya, espulsa dal partito con l’accusa di ostruzione alla giustizia per aver mentito su una multa per eccesso di velocità. Per il numero uno laburista Jeremy Corbyn, il leader nazionale che più si era esposto nella sfida di Peterborough, si tratta di un importante sospiro di sollievo: tanto più che il collegio in questione è considerato decisamente pro Brexit (al referendum del 2016 il Leave incassò qui ben oltre il 60%). Corbyn ha parlato di “un successo” che è frutto anche della battaglia del suo partito contro le politiche “di austerity”. Mentre Farage ha mascherato la delusione sottolineando comunque l’avanzata confermata del suo partito rispetto ai Tory. La neo-eletta Lisa Forbes – sostenuta dal sindacato filo corbyniano Unite – è riuscita a farcela anche malgrado le polemiche per alcuni suoi ‘like’ di qualche tempo fa riservati sui social al profilo di un militante accusato di antisemitismo per aver bollato come “schiavismo sionista” certi tagli al welfare del governo May. Like di cui la Forbes si è peraltro scusata “senza riserve” come di una svista. L’affluenza è stata poco sotto il 50%, contro oltre il 60% delle elezioni politiche generali del 2017.