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Strasburgo, i possibili scenari sulla partecipazione inglese alle elezioni europee

Strasburgo, i possibili scenari sulla partecipazione inglese alle elezioni europee

K metro 0 – Strasburgo – A poco più di un mese, ormai, dalle prossime elezioni dell’ Europarlamento, mentre il groviglio della Brexit inizia lentamente a sbrogliarsi (con la data dell’uscita del Regno Unito fissata a fine ottobre), a Strasburgo ci si domanda quale sarà la sorte dei 73 europarlamentari che sinora la Gran Bretagna ha

K metro 0 – Strasburgo – A poco più di un mese, ormai, dalle prossime elezioni dell’ Europarlamento, mentre il groviglio della Brexit inizia lentamente a sbrogliarsi (con la data dell’uscita del Regno Unito fissata a fine ottobre), a Strasburgo ci si domanda quale sarà la sorte dei 73 europarlamentari che sinora la Gran Bretagna ha eletto, e che – salvo ulteriori colpi di scena – dovrebbe rieleggere il 23 maggio (nel Paese, secondo la locale legge elettorale, le consultazioni per l’ Europarlamento avvengono qualche giorno prima che negli altri: non è l’unico caso nella UE). I possibili scenari sono esattamente 4:

A)  La Camera dei Comuni ci ripensa, e decide di votare, entro il 22 maggio, per la ratifica dell’accordo sulla Brexit raggiunto con Bruxelles dalla premier Theresa May, e già bocciato in Parlamento 3 volte. In questo caso, il Regno Unito non parteciperebbe proprio alle elezioni europee: ma si tratta dell’ipotesi meno probabile, perché, nella classe politica britannica, quasi nessuno oggi ha voglia di precipitarsi ancora a discutere su un “divorzio” per il quale, dopo mesi di estenuanti discussioni e trattative con la UE, è stata finalmente fissata una data. A maggior ragione, dopo l’accordo sostanziale raggiunto, negli ultimi giorni, dai due principali partiti, tories e laburisti;

B)Brexit appunto entro il 31 ottobre: in questo caso, il Paese partecipa alle elezioni europee, e allora si definirà dopo quella data (secondo le procedure illustrate al punto C) il destino dei seggi confermati dal Regno Unito;

C)Ratifica, da parte di Westminster, dell’accordo per la Brexit tra il 23 maggio e il 30 giugno: a questo punto, il Regno Unito, avendo dovuto per forza partecipare alle elezioni, sarebbe obbligato a rimettere a disposizione dell’Europarlamento i suoi 73 seggi. In questo caso, un’apposita “mini plenaria” di Strasburgo, in apertura della IX legislatura, ratificherebbe la Brexit, mentre i 73 seggi britannici sarebbero in parte redistribuiti – con criteri pur complessi – tra gli altri Stati UE (con entrata, nel Parlamento, dei primi non eletti nei Paesi aventi diritto alla redistribuzione), e in parte “congelati”, in vista di “new entries” nell’Unione (quelle, anzitutto, dei 6 Paesi balcanici bussanti). Il numero effettivo dei seggi di Strasburgo scenderebbe a 705;

D)Ratifica dell’accordo per la Brexit dopo il 2 luglio: in questo caso, sarebbe un Europarlamento ormai nel pieno delle sue funzioni a ratificare l’uscita della Gran Bretagna, e i suoi seggi subirebbero la sorte già descritta.

Programmi dei partiti britannici di fronte alle nuove elezioni europee  

Di fronte alla prospettiva, ormai quasi inevitabile, di dover partecipare ancora una volta alle elezioni europee, i partiti politici inglesi, comunque, non sono troppo attivi, né prendono chiaramente posizione su cosa fare, specie in quei 5 mesi (sino alla fatidica data del 31 ottobre) in cui, comunque, gli europarlamentari britannici dovranno lavorare a Strasburgo. Unico a fare eccezione, è il “Brexit Party” di Nigel Farage, il leader euroscettico tra i massimi padri della Brexit: che l’autorevole quotidiano “Daily Telegraph”, il 22 aprile, ha sbrigativamente incoronato (con un articolo di Matthew Goodwin, politologo docente all’Università del Kent) politico dell’anno. Secondo un recente sondaggio di YouGov (su Twitter), il Brexit Party di Farage, anzi, attualmente risulterebbe il primo partito, raccogliendo il 27% delle intenzioni di voto; seguìto dal Labour di Jeremy Corbyn al 22% (gravemente calato rispetto al 40% delle ultime politiche del 2017) e dai conservatori, crollati, dal 42,3% del 2017, al 15% (alla base di questo disastro, la linea incerta e oscillante seguita dalla Premier May in tutta la conduzione del negoziato sulla Brexit).

Nel 2018, Farage sembrava destinato addirittura a sparire di scena: prospettiva da lui stesso anticipata al momento di lasciare il partito che aveva fondato, l’euroscettico UKIP (finito su posizioni di destra estrema), con la motivazione che ormai, a Brexit decisa, veniva meno la ragione principale del suo impegno politico. Pochi mesi dopo, Farage fondava, invece, il più moderato Brexit Party: ora già entrato in campagna elettorale, contro gli “eurocrati” di Bruxelles e Strasburgo, e destinato, a quanto sembra, a un clamoroso successo.

Il paragone più calzante è quello col defunto leader austriaco, anch’egli paladino degli euroscettici, Jorg Haider: che, dato per finito dopo il crollo del suo partito, l’FPO, alle elezioni del 2002, nel 2005 creava invece la più moderata BZO, Alleanza per il Futuro dell’Austria, poi vincitrice, con l’FPO, alle nuove politiche del 2008. Cosa farà, ora, l’“Haider inglese”? Già adesso, una forte raccolta di nuove iscrizioni (3.000 nella sola Domenica di Pasqua), e sfruttare le divisioni esistenti tra gli altri partiti. Secondo le proiezioni elaborate dagli esperti sulla base delle intenzioni di voto, il 26 maggio il fronte euroscettico (Brexit Party e Ukip) totalizzerebbe il 34%, mentre i partiti tradizionali (Tories e Labour) arriverebbe solo al 37%. Il rimanente 29% si dividerebbe tra lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon (su posizioni nettamente europeiste anche per rimarcare la sua volontà di differenziarsi da Londra) e altre formazioni minori.

Queste prossime elezioni europee, insomma, potrebbero veramente stravolgere anche la politica interna del Regno Unito. Questo, anche per colpa dei contrasti esistenti tra gli stessi partiti europeisti: a contestare sia tories che laburisti, infatti, non c’è solo Farage, ma anche la nuova formazione “Change UK”, fondata l’inverno scorso da vari dissidenti Labour e Tories (come l‘ “Obama inglese”, Chuka Umunnia, e Anna Soubry), e su posizioni di europeismo moderato simili a quelle dei nuovi movimenti antipartitocratici “Ciudadanos” in Spagna ed “En marche” in Francia.

Mentre i liberaldemocratici, non più guidati dal brillante Nick Clegg, non vogliono allearsi con Change UK, i laburisti proseguono gli incontri con i tories per preparare la Brexit: guidati da un Corbin che non fa mistero di guardare già alle prossime politiche, come aspirante Premier. E i conservatori stanno peggio di tutti: con la prospettiva, secondo i commentatori più autorevoli, di riprendersi solo se riuscissero a completare con successo la Brexit prima delle elezioni europee. Ad aggravare la loro situazione, si aggiungono le lotte tra correnti interne: dove non pochi esponenti addirittura starebbero complottando coi partiti euroscettici per eliminare Theresa May e sostituirla con un Tory più critico nei confronti di Bruxelles (come l’ex. Ministro degli Esteri Boris Johnson), o addirittura con un euroscettico.

La sorte dei seggi dell’Europarlamento spettanti alla Gran Bretagna

Tornando, in ultimo, alla sorte dei 73 seggi sinora occupati a Strasburgo dal Regno Unito, 5 andrebbero alla Francia (che salirebbe a 79 eurodeputati), 3 all’ Italia ( che andrebbe a 76), 5 alla Spagna (a 59), 3 all’ Olanda (a 29), 2 all ‘Irlanda (a 13), 1 ciascuno a Polonia e Romania (a 52 e 33), ed 1 ciascuno ancora a Svezia, Slovacchia, Finlandia, Austria, Danimarca, Croazia ed Estonia. Resterebbero invariati i seggi di Germania, Belgio e tutti gli altri Paesi della UE.

 

 

di Fabrizio Federici

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