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Francia, blocco alla centrale di Flamanville, la classe politica si interroga sul futuro del nucleare

Francia, blocco alla centrale di Flamanville, la classe politica si interroga sul futuro del nucleare

K metro 0 – Parigi – La centrale nucleare di Flamanville, nel Dipartimento della Manica, in Normandia, una delle più vecchie della Francia, non cessa di causare problemi. Dopo l’esplosione, e il successivo incendio (anche se non nell’area propriamente nucleare) verificatisi a febbraio 2017 (bilancio di 5 intossicati), le suture del nuovo reattore iniziato a

K metro 0 – Parigi – La centrale nucleare di Flamanville, nel Dipartimento della Manica, in Normandia, una delle più vecchie della Francia, non cessa di causare problemi. Dopo l’esplosione, e il successivo incendio (anche se non nell’area propriamente nucleare) verificatisi a febbraio 2017 (bilancio di 5 intossicati), le suture del nuovo reattore iniziato a costruire nel 2017, fortemente voluto dal Governo, sono state giudicate dall’ ASN, l’Agenzia nazionale per la Sicurezza Nucleare, non conformi ai requisiti nazionali di sicurezza.

Il verdetto – informa “Le Figaro” – è arrivato l’11 aprile, dopo l’esame fatto da uno speciale gruppo di esperti che interviene regolarmente, come braccio destro dell’ASN, quando sono in ballo questioni di interesse strategico per il Paese. Già un anno fa, a febbraio 2018, fu la stessa EDF, Electricité de France, la compagnia prima produttrice e fornitrice di energia del Paese (equivalente del vecchio ENEL italiano) a rilevare l’esistenza di anomalie in queste suture, sostanzialmente delle tubature dai 50 ai 75 cm. di diametro.

Negli anni ’70-’80, con le presidenze Giscard d’ Estaing e Mitterrand, la Francia raddrizzò la sua economia investendo fortemente nel nucleare di nuova generazione, voluto anche per tranquillizzare i “vicini di casa”, soprattutto tedeschi e italiani: fuoriusciti poi decisamente dal nucleare, i primi col Governo Merkel a partire dal 2016, i secondi coi referendum popolari del 1986. l’anno di Chernobyl – e del 2011. Oggi, i francesi si domandano non tanto quanto costerà l’intervento per la piena messa in sicurezza di queste tubature. Ma, se la piena entrata in funzione di questo reattore di nuova generazione sforerà il limite complessivo nazionale della produzione di energia fissato due anni fa dalla “legge sulla transizione energetica per la crescita verde”: che, in linea con gli accordi internazionali di Parigi su politica ambientale e mantenimento dell’equilibrio climatico (novembre 2015), fissa un limite massimo alla produzione di energia nucleare, sia pure il più possibile sicura e “pulita”. In caso di superamento del limite, infatti, il Governo sarebbe obbligato non solo a chiudere altri reattori più vecchi (come quello di Fessenheim, in Alsazia). Ma anche – come da anni lamentano le opposizioni, sospettando l’esistenza di trattative segreti tra i big del nucleare e i governi prima di Hollande, poi di Macron – a fare un “regalone” ai giganti dell’atomo, compensandoli dell’eventuale chiusura di centrali nucleari con indennizzi miliardari.

Mentre né il Governo francese, né la Commissione europea e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sono ancora intervenuti ufficialmente sulla vicenda di Flamanville, e il presidente Macron, recentemente, ha confermato l’obbiettivo di eliminare completamente le centrali a carbone entro 10 anni, non solo gli ambientalisti, ma una parte consistente di tutta la classe politica transalpina si interrogano seriamente sul futuro del nucleare francese.

di Fabrizio Federici

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