K metro 0 – Londra – Il pianeta terra ci sta lentamente (e nemmeno troppo) cacciando. L’essere umano ha decisamente superato il limite, e la cosa più grave, è che non riesce ancora ad agire in modo efficace. In primis i politici non riescono a cogliere la gravità della crisi ambientale che affligge il pianeta.
K metro 0 – Londra – Il pianeta terra ci sta lentamente (e nemmeno troppo) cacciando. L’essere umano ha decisamente superato il limite, e la cosa più grave, è che non riesce ancora ad agire in modo efficace. In primis i politici non riescono a cogliere la gravità della crisi ambientale che affligge il pianeta.
È quanto afferma un rapporto del think-tank IPPR: l’impatto umano ha raggiunto livelli critici e minaccia di destabilizzare la società e l’economia, se non l’ha già fatto. Secondo gli scienziati, la gravità della situazione deriva da una serie di fattori combinati, tra cui cambiamento climatico, la perdita di massa di alcune specie, l’erosione del suolo, l’abbattimento delle foreste, l’acidificazione degli oceani.
L’istituto di ricerche afferma che questi fattori stanno “guidando un processo complesso e dinamico di destabilizzazione ambientale che ha raggiunto livelli critici e che “Questa destabilizzazione sta avvenendo a velocità senza precedenti nella storia umana e, in alcuni casi, in miliardi di anni“. Oltre ai dati allarmanti, gli studiosi comunicano anche che le possibilità di agire per evitare risultati catastrofici si stanno rapidamente riducendo, sollecitando dei cambiamenti radicali a livello politico, in particolare per far fronte a tre grossi problemi: il ritmo della disgregazione ambientale, le implicazioni per la società e la successiva necessità di un cambiamento successivo.
In sostanza, per citare Barak Obama in un discorso del 2015, “la cosa più costosa che possiamo fare è quella di non fare nulla”. Siamo arrivati all’“Adesso, o mai più”.
I numeri parlano chiaro: dal 2005, il numero di inondazioni in tutto il mondo è aumentato di 15 volte, gli eventi di temperature estreme di 20 volte e gli incendi boschivi sette volte. Molti problemi vengono sottovalutati, senza considerarne le conseguenze a lungo termine. Per fare un esempio, il terriccio si perde da 10 a 40 volte più velocemente di quanto non sia stato rifornito dai processi naturali e dalla metà del 20° secolo, il 30% della terra arabile del mondo è diventata improduttiva a causa dell’erosione; di questo passo, il 95% delle aree terrestri globali potrebbe degradarsi entro il 2050, anno in cui le stime prevedono il picco massimo di flussi migratori dettati dal cambiamento climatico, e innumerevoli rifugiati climatici.
Secondo l’IPPR, molti scienziati credono che siamo entrati in una nuova era di rapidi cambiamenti ambientali. Il rapporto avverte: “Definiamo questa come l’ ‘età della disgregazione ambientale’ per evidenziare meglio la gravità della scala, il ritmo e le implicazioni della destabilizzazione ambientale derivante dall’attività umana aggregata”.
A conferma di tutto ciò, Simon Lewis, professore di Global Change Science all’Università College di Londra, ha dichiarato a BBC News: “IPPR ha ragione nel dire che il cambiamento ambientale sta accadendo sempre più velocemente e minaccia di destabilizzare la società […] I problemi futuri con gli approvvigionamenti alimentari potrebbero causare picchi di prezzo che causano disordini civili, mentre l’aumento dei livelli di migrazione può mettere a dura prova le società”. Sottolineando le grandi difficoltà cui andranno incontro le istituzioni politiche e le reti globali di commercio, ha aggiunto: “Questo secolo sarà caratterizzato da rapidi cambiamenti sociali e ambientali, questo è certo, ma è meno chiaro se le società possano fare scelte politiche sagge per evitare il disastro in futuro”.
Altra opinione autorevole è quella di Harriet Bulkeley, un professore di geografia all’Università di Durham, il quale ha dichiarato a BBC News che il documento IPPR era una buona interpretazione delle prove attuali, ma che ciò non è sufficiente perché la politica agisca. “Sappiamo le azioni giuste da compiere”, ha detto, “ma spesso si sostiene che è necessario disporre di una politica basata sull’evidenza”, e ha aggiunto, in modo provocatorio: “Questo può, naturalmente, essere usato come scusa per il ritardo, quindi, suppongo che la domanda sia quante prove sono necessarie per l’azione?”.
E in effetti, quanto ancora la situazione dovrà degenerare perché chi di dovere faccia qualcosa?