K metro 0 – Washington – Negli ultimi anni molte aziende cinesi hanno spostato le loro attività nel Sud-Est asiatico per evitare i dazi imposti dall’inizio del primo mandato del presidente americano Donald Trump. E così, il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato l’intenzione di imporre tariffe fino al 3.521% sulle importazioni di
K metro 0 – Washington – Negli ultimi anni molte aziende cinesi hanno spostato le loro attività nel Sud-Est asiatico per evitare i dazi imposti dall’inizio del primo mandato del presidente americano Donald Trump.
E così, il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato l’intenzione di imporre tariffe fino al 3.521% sulle importazioni di pannelli solari da Cambogia, Thailandia, Malesia e Vietnam. Le conclusioni sono state difatti accolte favorevolmente dall’American Alliance for Solar Manufacturing Trade Committee, un gruppo di produttori che ha chiesto al governo statunitense di avviare l’indagine.
“Questa è una vittoria decisiva per l’industria manifatturiera americana e conferma ciò che sappiamo da tempo: che le aziende solari con sede in Cina hanno imbrogliato il sistema”, ha dichiarato Tim Brightbill, consulente principale dell’Alleanza.
L’annuncio arriva dopo un’indagine iniziata un anno fa, quando alcuni grandi produttori di apparecchiature solari chiesero all’amministrazione Biden di proteggere le loro attività negli Stati Uniti.
I prelievi proposti – rivolti alle aziende dei quattro Paesi finiti nel mirino- sono la risposta alle accuse di sovvenzioni da parte della Cina e di dumping di prodotti sul mercato statunitense. Un’agenzia governativa separata, la Commissione per il Commercio Internazionale, dovrebbe prendere comunque una decisione finale sulle nuove tariffe a giugno.
I dazi previsti sono stati annunciati pochi giorni dopo che il presidente cinese Xi Jinping ha completato un tour proprio in Vietnam, Malesia e Cambogia, per rafforzare i legami con la regione e incoraggiare quelle nazioni a resistere a quello che ha definito “bullismo unilaterale” da parte degli Stati Uniti.
Finora Trump ha imposto tasse fino al 145% sulle importazioni dalla Cina. Gli altri Paesi devono ora fare i conti con una tariffa generalizzata del 10% fino a luglio.
La scorsa settimana la sua amministrazione ha dichiarato che, sommando le nuove tariffe a quelle esistenti, i prelievi su alcune merci cinesi potrebbero raggiungere il 245%.
I dazi compensativi e antidumping, come vengono chiamati, variano a seconda delle aziende e dei Paesi in cui i loro prodotti sono fabbricati. Alcuni esportatori di apparecchiature solari in Cambogia si trovano ad affrontare le tariffe più alte, pari al 3.521%, a causa di quella che è stata considerata una mancanza di cooperazione con l’indagine del Dipartimento del Commercio.
I prodotti fabbricati in Malesia dal produttore cinese Jinko Solar hanno subito invece i rincari più bassi, poco più del 41%. Un’altra azienda con sede in Cina, Trina Solar, è soggetta a incrementi del 375% per i prodotti fabbricati in Tailandia.
Secondo i dati del Census Bureau degli Stati Uniti, nel 2023 l’America avrebbe importato quasi 12 miliardi di dollari (8,9 miliardi di sterline) di apparecchiature solari dai quattro Paesi. Se da un lato, dunque, le tariffe previste dovrebbero aiutare i produttori di pannelli solari statunitensi, dall’altro potrebbero comportare costi aggiuntivi per le imprese e i consumatori che hanno beneficiato della disponibilità di prodotti solari più economici.
I dazi verrebbero imposti in aggiunta ad altre tariffe già introdotte dall’amministrazione Trump. La Cina ha risposto con una tassa del 125% sui prodotti provenienti dagli Stati Uniti e ha promesso di “combattere fino alla fine”.
di Sandro Doria