K metro 0 – Washington – Il governo degli Stati Uniti ha avviato contatti con una serie di Paesi in Africa, America Latina ed Europa orientale. L’obiettivo è quello di identificare destinazioni alternative in cui trasferire migranti espulsi dal territorio statunitense, ma che non possono essere rimpatriati direttamente nei Paesi di origine. Secondo quanto riportato
K metro 0 – Washington – Il governo degli Stati Uniti ha avviato contatti con una serie di Paesi in Africa, America Latina ed Europa orientale. L’obiettivo è quello di identificare destinazioni alternative in cui trasferire migranti espulsi dal territorio statunitense, ma che non possono essere rimpatriati direttamente nei Paesi di origine.
Secondo quanto riportato dal “Wall Street Journal”, fonti dell’amministrazione Trump indicano che il governo sta cercando di stabilire intese bilaterali, non necessariamente formali, simili all’accordo pilota già raggiunto con Panama nel febbraio scorso. L’accordo ha permesso a oltre 100 migranti, in prevalenza di origine mediorientale, di essere trasferiti.
I Paesi coinvolti in queste trattative includono, tra gli altri, Libia, Ruanda, Benin, Eswatini, Moldova, Mongolia e Kosovo. Gli Stati Uniti sperano che questi Paesi accettino di ospitare migranti provenienti dal territorio statunitense in cambio di incentivi economici o benefici politici.
Nel caso della Libia, la proposta solleva interrogativi rilevanti legati ai diritti umani e alla gestione dei flussi migratori. La Libia è già un punto di transito cruciale per migliaia di migranti diretti verso l’Europa e ospita oltre 3 milioni di migranti irregolari. La maggior parte di questi migranti si trova in una condizione di precarietà, bloccata nel Paese senza la possibilità di proseguire il proprio viaggio verso l’Europa o di essere rimpatriata nei Paesi di origine. I centri di detenzione, soprattutto quelli non ufficiali, sono da tempo oggetto di denunce da parte di organizzazioni internazionali per le gravi violazioni dei diritti umani.
Il piano proposto dagli Stati Uniti prevede che i Paesi che accolgono i migranti possano decidere autonomamente il destino delle persone trasferite. Questi migranti potrebbero avere la possibilità di richiedere asilo nel Paese ospitante, ma potrebbero anche essere espulsi verso altri Paesi terzi. L’obiettivo è quello di sbloccare le difficoltà legate ai rimpatri, che spesso si arenano a causa del rifiuto o della lentezza dei Paesi di origine. Questo approccio mira anche a ridurre la pressione sulle risorse interne degli Stati Uniti e a evitare che i migranti possano restare indefinitamente nel Paese.
L’architetto principale di questa politica è Stephen Miller, vicecapo dello staff della Casa Bianca. Si tratta di una figura chiave nelle politiche migratorie dell’amministrazione Trump, noto per il suo approccio rigido in materia di immigrazione. L’idea di trasferire i migranti in Paesi terzi è simile a modelli già tentati da altre nazioni. Su tutti il controverso accordo tra il Regno Unito e Ruanda nel 2022, sospeso per l’insuccesso.
Al momento, le autorità libiche non hanno commentato ufficialmente l’iniziativa statunitense. Tuttavia, fonti locali citate dal quotidiano libico “Sada” riferiscono che ci sono stati contatti preliminari tra funzionari statunitensi e interlocutori libici.
L’iniziativa statunitense ha suscitato critiche da parte di numerose organizzazioni internazionali e della società civile. Secondo queste critiche, l’idea di trasferire i migranti verso Paesi terzi senza garantire adeguate protezioni legali e diritti umani è una violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale. In particolare, la Libia non offre attualmente le garanzie necessarie per assicurare che i migranti siano protetti da abusi e violazioni dei diritti umani.