K metro 0 – Washington – Ventidue Stati americani hanno avviato un’azione legale contro l’ordine esecutivo con cui il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump vuole sospendere il ‘birthright citizenship’, il diritto di cittadinanza alla nascita – formulazione americana dello ius soli che da oltre 150 anni è inserito nella Costituzione americana – ai
K metro 0 – Washington – Ventidue Stati americani hanno avviato un’azione legale contro l’ordine esecutivo con cui il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump vuole sospendere il ‘birthright citizenship’, il diritto di cittadinanza alla nascita – formulazione americana dello ius soli che da oltre 150 anni è inserito nella Costituzione americana – ai figli di migranti senza documenti nati negli Stati Uniti. Oltre al New Jersey, hanno intentato causa contro l’ordine esecutivo la California, Massachusetts, Colorado, Connecticut, Delaware, Hawaii, Maine, Maryland, Michigan, Minnesota, Nevada, New Mexico, New York, North Carolina, Rhode Island, Vermont e Wisconsin. Gli Stati dell’Arizona, dell’Illinois, dell’Oregon e di Washington hanno invece avviato invece richieste separate presso la corte federale. Anche la città di San Francisco e il Distretto di Columbia vogliono fermare la cancellazione del riconoscimento automatico della cittadinanza.
Come funziona lo ius soli negli States? Tutte le persone nate qui diventano cittadini statunitensi. Trump vuole però abolire il cosiddetto principio del luogo di nascita nell’ambito di un approccio più severo all’immigrazione. I procuratori generali democratici coinvolti e i sostenitori dei diritti degli immigrati sostengono d’altra parte che il diritto di ottenere la cittadinanza in base alla nascita negli Stati Uniti è sancito dalla legge. In particolare, secondo Matt Platkin, procuratore generale del New Jersey, “i presidenti non possono annullare la Costituzione e secoli di precedenti con un tratto di penna. Quando diciamo che ci batteremo per lo Stato di diritto, lo facciamo sul serio” ha comunicato alla stampa. La regola è dunque sancita dal 14° emendamento della Costituzione del 1868. Anche una legge del 1952, che regola i diritti civili, utilizza una formulazione simile. Trump non può semplicemente “cancellare il 14° emendamento”, rimarca Matt Platkin.
Ci sono tuttavia delle eccezioni. Ad esempio, i figli di diplomatici stranieri con immunità diplomatica non diventano cittadini statunitensi perché non sono soggetti alla giurisdizione degli Stati Uniti. La questione della giurisdizione è anche l’approccio centrale all’ordine esecutivo di Trump.
“La portata di questa disposizione non è mai stata verificata in modo definitivo, quindi rimane alquanto incerta”, chiarisce a ZDFheute l’avvocato costituzionalista Samuel Issacharoff. La Corte Suprema si è occupata in effetti del principio del luogo di nascita solo nel 1898. In quell’occasione, nel caso di un padre immigrato legalmente dalla Cina, ha stabilito che il figlio nato negli Stati Uniti era cittadino americano. Un altro caso del 1884 riguardava un indigeno che, pur essendo nato negli Stati Uniti, non poteva votare perché membro di una tribù. Il Congresso ha infine concesso agli indigeni la cittadinanza americana in modo generalizzato nel 1924.
Secondo gli esperti e i fautori del ricorso contro il decreto presidenziale, oggi negli Stati Uniti vivono circa 14 milioni di persone senza permesso di soggiorno, ovvero poco meno della popolazione della Renania Settentrionale-Vestfalia. I loro figli nati negli Stati Uniti hanno al momento diritto alla cittadinanza americana. Secondo Trump, invece, le donne straniere si recano negli Stati Uniti appositamente per partorire. I trumpiani dunque fanno riferimento al passaggio della Costituzione sulla giurisdizione e sostengono che esso dimostra che non a tutti i bambini nati nel Paese deve essere concessa la cittadinanza. È qui che entra in gioco il decreto di Trump: se la madre è nel Paese illegalmente e il padre non è cittadino o ha un permesso di soggiorno, il principio non si applicherebbe. In questo caso, infatti, i figli non sarebbero soggetti alla giurisdizione degli Stati Uniti.
“Il 14° emendamento della Costituzione garantisce la cittadinanza a tutte le persone nate negli Stati Uniti, agire contro questo emendamento sarebbe incostituzionale, ribadisce Issacharoff. L’amministrazione Trump avrà difficoltà a far rispettare questa disposizione, “soprattutto perché viene rivista da un ordine esecutivo e non da un atto del Congresso”, ha concluso l’avvocato costituzionalista.
Nel mirino dei ricorsi è finito anche Musk. Come riferisce Adnkronos, tre diverse istanze sono stati presentate subito dopo il giuramento di Trump, contro l’istituzione del Doge, il nuovo dipartimento per l’efficienza governativa guidato da Elon Musk, che violerebbe la legge che regola gli advisory federal committes ed impone trasparenza, una composizione equilibrata e un funzionario federale che convochi le riunioni. Nei ricorsi contro l’ufficio che Trump ha affidato all’uomo più ricco del mondo con il compito di usare l’accetta per tagliare la spesa pubblica, riducendola di 2.000 miliardi di dollari, si sottolinea proprio come le nomine fatte siano contrarie alle regole dettate dalla legge. “La composizione del Doge, lungi dall’essere equilibrata, rivela che è rappresentato un solo punto di vista: quello di crociati della riduzione del governo, con un curriculum nell’industria tech o con i repubblicani” si legge nel ricorso dei National Security Counselors, il cui atto è appoggiato anche dal sindacato dei dipendenti pubblici e degli insegnanti, tra i principali obiettivi dei minacciati tagli di Musk. Un quarto ricorso contro il Doge è stato presentato dal Center for Biological Diversity per chiedere ad un giudice federale l’accesso ai documenti pubblici che mostrano come i membri dell’ufficio – già selezionati nelle scorse settimane e partiti a lavorare nella sede di SpaceX a Washington – hanno interagito con la Casa Bianca sin dall’inizio della transizione.
di Sandro Doria