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Industria europea al buio la marcia è difficile

Industria europea al buio la marcia è difficile

K metro 0 – Bruxelles – La pandemia aveva acceso i motori del green deal, un piano ambiziosissimo di Bruxelles per portare l’Unione direttamente nel millennio ad impatto zero. Una fascinazione durata lo spazio di un paio di anni. Poi l’invasione russa dell’Ucraina, la crisi energetica, il dumping cinese hanno indotto l’Europa ad innestare la

K metro 0 – Bruxelles – La pandemia aveva acceso i motori del green deal, un piano ambiziosissimo di Bruxelles per portare l’Unione direttamente nel millennio ad impatto zero. Una fascinazione durata lo spazio di un paio di anni. Poi l’invasione russa dell’Ucraina, la crisi energetica, il dumping cinese hanno indotto l’Europa ad innestare la marcia del ripensamento. Soffiano venti di pentimento in tutte le capitali europee, sulla scorta della profonda emergenza dell’automotive continentale che cede pezzi sotto i colpi ben assestati dell’elettrico cinese.

Da Stellantis a Wolkswagen a Mercedes, l’auto europea, un tempo regina, perde consistenti fette di mercato anche casalingo, ad ogni trimestre. Una vera e propria débacle che l’Unione non riesce ad arginare. Impotenti anche le case automobilistiche, inermi i governi nazionali che, al contrario, anche sull’onda di uno spostamento a destra dell’asse politico prevalente nelle capitali europee, si sono mossi all’unisono per rivedere il piano di abbandono dell’auto a benzina a partire dal 2035. Sempre più numerose  le voci che si levano per chiedere un ammorbidimento del calendario, o addirittura di rinunciare al piano emissioni zero, in particolare, dopo la vittoria del negazionista Trump alle elezioni USA.  Eppure diversi segnali ci dicono cose diverse. Se il disegno di elettrificazione dell’industria europea -tutta, non solo l’automotive- dovesse rallentare l’Europa rischia di essere tagliata fuori dal futuro.

Il “piano Draghi” su questo è definitivo anche se non sembra essere stato preso molto sul serio dai governi d’Europa. Eppure non c’è alternativa all’elettrificazione se l’Europa intende restare competitiva sul lungo termine, e procedere sulla strada della decarbonizzazione. I nostri consumatori intensivi hanno dovuto lottare con prezzi dell’energia elevati combinati ad elevati tassi di burocrazia, elevato costo del lavoro e elevata sovra capacità cinese. Un mix che ha danneggiato fortemente l’industria continentale che, infatti, oggi esprime una forte contrazione della domanda di energia, pari ad un 7,5 per cento, causato in primo luogo dal rallentamento industriale.

Secondo Power Barometer di Euroactive, il potenziale inutilizzato dell’elettrificazione industriale europea è enorme: circa il 60/90 per cento dell’industria europea potrebbe essere elettrificato, a partire dal riscaldamento di processo che è responsabile del 75 per cento di tutte le emissioni. Ed invece è bloccato su un ininfluente 4 per cento di elettrificazione.

Attualmente in Europa solo il 23 per cento del consumo energetico è composto da elettricità. Per raggiungere l’obiettivo posto dalla Commissione- ridurre le emissioni del 90 per cento entro il 2040- questa quota dovrà salire almeno al 50 per cento, con la maggior parte dell’elettricità proveniente da fonti rinnovabili. Triplicare la potenza elettrica europea e sestuplicare quella generata dalle rinnovabili: questi gli ineludibili traguardi indicati dagli esperti.  Pompe di calore ad alta temperatura e caldaie/forni elettrici potrebbero soddisfare fino al 45 per cento della domanda di energia industriale. Il restante 55 per cento della domanda di calore rappresenta una sfida, soprattutto a causa dei prezzi competitivi del gas, che non comprendono il costo delle emissioni. L’elettrificazione potrebbe portare al loro abbattimento fino al 78 per cento. Quindi un risultato di tutto rispetto che si accompagnerebbe all’efficientemento energetico.

La riduzione dei consumi è calcolata al minimo per un 15 per cento. L’elettrificazione avrebbe come effetto virtuoso l’integrazione con le rinnovabili, promuovendo un mix energetico più sostenibile. Altro effetto positivo sarebbe la competitività. La Cina ha aumentato la quota di elettricità sui consumi totali al 29 per cento, con una autentica impennata negli ultimissimi anni; gli stessi che facevano segnare il passo all’Europa, bloccata al 23 per cento da oltre un decennio. Un percorso che incontra diversi ostacoli, a cominciare dai costi elevati. Il costo del chilowattora da gas è ancora significativamente più basso rispetto a quello dell’elettricità; in media in Europa, tre volte di meno. Ed oltre ai costi di produzione sull’elettrico insistono i costi fiscali, tre volte più alti e retaggio di vecchie politiche dirette a disincentivare l’uso di combustibili fossili (carbone) dannosi.

Riformare la direttiva europea non solo renderebbe l’elettricità competitiva, ma incentiverebbe l’adozione di tecnologie ad energia pulita sia per l’industria che per le famiglie, allineando l’Europa alle sue ambizioni climatiche. L’Europa intanto ha infrastrutture inadeguate: le reti non sono abbastanza sviluppate da sostenere un aumento significativo della domanda. Tra gli ostacoli da segnalare una resistenza culturale al cambiamento che andrebbe corretta con adeguate campagne, sostenute dall’indicazione dei vantaggi per la collettività.

Gli operatori del settore chiedono dunque una riduzione della tassazione per adeguare alla parità tutti i vettori energetici, una politica mirata sui prezzi del carbonio – che ha raggiunto il valore record di  90 euro a tonnellata, mentre prima della pandemia ne valeva 20 – per evitare il rischio di una rilocalizzazione delle emissioni di C02; ed iniziative dirette ad integrare gli investimenti europei nelle infrastrutture elettriche e nei sistemi di accumulo. Anche per stabilizzare i prezzi soggetti ad una forte volatilità, al punto da disincentivare gli investimenti. 

Le risorse necessarie per sostenere la transizione richiedono ingenti finanziamenti. Secondo Enel Group gli investimenti annui per l’elettrificazione dovranno passare dai 5 miliardi  del decennio 2021-2030 ai 17 miliardi del ventennio successivo, fino al 2050. Il debito comune indicato da Draghi anche per l’attuazione di politiche settoriali, potrebbe essere la chiave per superare gli scogli finanziari.  Senza il salto di qualità indicato dall’ex banchiere europeo, l’agonia economica del continente si aggraverebbe, mettendolo ai margini.  

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Rossana Livolsi
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