Stati Uniti, i giovani asiatico-americani si ritagliano spazi importanti

Stati Uniti, i giovani asiatico-americani si ritagliano spazi importanti

K metro 0 – New York – Lui, Yang, Leung. Sono solo alcuni nomi di asiatico- americani che rappresentano ormai alcune delle maggiori comunità degli Stati Uniti, soprattutto grazie alla riforma delle leggi sull’immigrazione del 1965. Karho Leung, 34 anni, figlio di Chinatown e uno dei fondatori di 12 Pell, piccolo negozio di barbiere, voleva

K metro 0 – New York – Lui, Yang, Leung. Sono solo alcuni nomi di asiatico- americani che rappresentano ormai alcune delle maggiori comunità degli Stati Uniti, soprattutto grazie alla riforma delle leggi sull’immigrazione del 1965.

Karho Leung, 34 anni, figlio di Chinatown e uno dei fondatori di 12 Pell, piccolo negozio di barbiere, voleva avviare un’attività che lo rispecchiasse. E se lo spazio non c’è, molti giovani sono determinati a crearlo, come dimostra il suo caso di successo. Non è sempre stata questa la realtà, tuttavia. Uno sguardo al passato del Paese mostra che questa realtà americana non è sempre appartenuta a tutti, comprese le precedenti generazioni di asiatici americani.

Le generazioni precedenti di asiatici americani, alcuni dei quali sono qui da oltre un secolo e altri le cui radici risalgono agli ultimi decenni, hanno vissuto in Americhe in cui le comunità di origine degli immigrati erano più piccole e considerate intrinsecamente, incessantemente straniere. Americhe in cui c’era poca familiarità con i Paesi in cui gli asiatici e gli asiatico-americani avevano le loro origini, in cui non c’era la cultura di Internet o dei social media che incoraggiava le persone a definire le proprie vite.

Simran Anand, 27 anni, negli anni 2000 faceva ancora parte di una delle tre famiglie sud-asiatiche di Reading, in Pennsylvania. Spiega ad “Associated Press” che le generazioni precedenti si sentivano culturalmente isolate nella vita di tutti i giorni quando uscivano dalla casa di famiglia. Ma lei aveva qualcosa che a loro mancava: comunità sud-asiatiche su larga scala, come quella di Edison, nel New Jersey, dove i suoi genitori si recavano almeno ogni trimestre. Un gurdwara sikh a circa un’ora di distanza dove poteva imparare la sua fede. E la possibilità, una volta arrivata all’università, di scegliere una scuola in cui unirsi a fiorenti gruppi studenteschi sud-asiatici.

Il 43enne artista coreano-americano Alex Paik è cresciuto in un sobborgo prevalentemente bianco fuori Philadelphia e ora vive a Los Angeles. “Quando sono cresciuto, era come se non fossi abbastanza coreano o troppo coreano”, in bilico tra gli standard dei suoi genitori immigrati e l’America che lo circondava, racconta ad AP.  Oggi è incuriosito dall’osservazione della figlia di 11 anni. “Ama leggere e ora ci sono così tante storie scritte da donne asiatico-americane che hanno come protagoniste ragazze asiatiche e asiatico-americane e penso che sia una cosa molto bella”, dice. “Non so come possa influire sul suo senso di sé, ma in qualche modo deve influire, quindi sono davvero curioso di vedere come crescerà… Per lei è normale”.

Naturalmente, nelle comunità americane di origine asiatica c’è sempre stato chi ha voluto fare da apripista, da pioniere in politica, nella protesta, negli affari, nell’intrattenimento e nell’arte. DJ Rekha è tra questi. Nel 1997, Rekha ha dato vita a Basement Bhangra, una festa mensile in un club di Manhattan che sarebbe durata 20 anni e che è stata l’introduzione per molti ai battiti e al ritmo del Bhangra, uno stile musicale originario del subcontinente indiano.

In Europa, per la precisione in Portogallo, è interessante osservare il fenomeno delle repúblicas, conosciute anche come “musei vivi”, case autogestite, e con un attivo e importante ruolo sociale, storico e culturale all’interno di Coimbra. Chi vive in una República non si limita ad affittare semplicemente una stanza, ma entra in una vera e propria comunità studentesca e giovanile in cui convivio, cultura, condivisione, solidarietà, multiculturalità sono parole all’ordine del giorno.

Purtroppo, però, Mariana Mortágua, coordinatrice di BE Coimbra, residenze universitarie, è stata anche nelle repúblicas, dove ha ascoltato diverse testimonianze, che raccontano di “residenze inizialmente preparate per 10-15 persone e dove vivono 23 persone, senza alcuna condizione di comfort, privacy o qualità della vita”.

Al termine di un incontro ha affermato che questa difficoltà “è oggi un fattore di esclusione dei giovani dall’accesso all’università”. Per quanto riguarda le possibili soluzioni, ne ha presentate alcune. Una di queste, che indica come la più comune, è la costruzione di nuovi alloggi, ma, ha detto, questa è “a lungo termine e, a seconda della città, potrebbe non essere la più appropriata”. Tuttavia, Mariana Mortágua ritiene che esistano altre opzioni, come l’utilizzo di hotel o edifici pubblici come residenze per studenti, piuttosto che destinarli al turismo e alla ricettività locale.

Ci sono persone che hanno cercato di trasferirsi ma non hanno potuto farlo per motivi economici (prezzo o mancanza di un contratto da parte dei proprietari per gli aiuti statali); emigranti che cercano una casa per lavorare ma non riescono a ottenerla a causa dei requisiti richiesti (ad esempio, avere un garante). D’altra parte, ha affermato che le testimonianze ascoltate sostengono che l’Università “ha una maggiore responsabilità nel trovare risposte alla crisi abitativa”.

di Sandro Doria

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