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Libano e la fuga della guerra,”nessun posto è sicuro”

Libano e la fuga della guerra,”nessun posto è sicuro”

K metro 0 – Ankara – Nonostante novembre sia alle porte un sole estivo illumina Taṣucu, cittadina portuale di una certa importanza nella regione di Mersin, sudovest della Turchia. Sono le dieci del mattino ed al porto è attesa la Dada Star, nave cargo riconvertita a traghetto, proveniente dal porto di Tripoli, Libano. Dal primo

K metro 0 – Ankara – Nonostante novembre sia alle porte un sole estivo illumina Taṣucu, cittadina portuale di una certa importanza nella regione di Mersin, sudovest della Turchia. Sono le dieci del mattino ed al porto è attesa la Dada Star, nave cargo riconvertita a traghetto, proveniente dal porto di Tripoli, Libano. Dal primo ottobre scorso, quando Israele ha dato il via all’offensiva di terra, l’obiettivo di centinaia di migliaia di libanesi è diventato uno solo: lasciare il Paese, whatever it takes.

A fine settembre le compagnie aeree straniere hanno smesso di operare in Libano e la compagnia di bandiera Middle East Airways ha alzato significativamente i prezzi, dunque partire via mare è diventata una ragionevole alternativa. Ma alcuni hanno scelto la nave per un altro motivo: la paura. “Non volevo andare a Beirut” racconta Selwa, detta Sally, cittadina australiana appena scesa dalla Dada Star. “Avrei potuto: avevo il biglietto aereo pronto ma ho preferito la nave da Tripoli, proprio per non andare a Beirut.” L’aeroporto della Capitale, unico del Paese, è pericolosamente vicino alla Dahyie, la periferia sud di Beirut composta da una ragnatela di quartieri a predominanza sciita, target privilegiato di IDF. Sally, originaria di Tripoli, sta tornando in Australia. Era venuta a trovare la madre anziana, “ma ogni volta che vengo in Libano succede qualcosa. It’s disgusting”.

La regione di Tripoli finora non è stata coinvolta dall’offensiva israeliana, a parte un attacco al campo palestinese di Beddawi, non lontano dalla città; al momento è ritenuta un’area sicura del Paese. “In Libano nessun posto è sicuro” ribatte Sally. “Israele può decidere di bombardare qualunque posto, l’aeroporto, il porto.. Lebanon has gone”, il Libano è andato.

Il traghetto da Tripoli parte tre volte a settimana ed ha una capienza di 400 persone; il biglietto, il cui prezzo è in continua ascesa, costa attualmente tra i 250 e i 350 dollari, per un viaggio di sola andata al freddo su un cargo merci riadattato a trasporto passeggeri, senza cibo, acqua e servizi igienici agibili. “Sono stato fortunato a trovare posto, perchè c’è una lunga lista d’attesa per imbarcarsi” dice Georges, altro passeggero della Dada Star. “Ho pagato 250 dollari, ma al mercato nero il biglietto costa molto di più”. Da notare che all’inizio di settembre il biglietto di sola andata per la stessa tratta costava 70 dollari. Georges non sa ancora dove ricostruirà la sua vita; l’importante è aver lasciato il Libano. “Quest’ultimo anno ha cambiato le regole della guerra” riflette. “Meglio morire che sopravvivere a certe ferite di questa guerra, ferite che non si sono mai viste”. Eppure Georges ha vissuto la guerra civile che ha insanguinato il Paese tra il 1975 e il 1990; come ogni libanese della sua generazione dovrebbe aver sviluppato robusti anticorpi ai conflitti e anche ai tentativi di invasione israeliani, l’ultimo nel 2006. “Non è la stessa cosa: durante la guerra civile bambini morti e mutilati erano un danno collaterale, venivano colpiti per errore, ora le atrocità sono sistematiche. Durante la guerra civile c’era una certa comprensione tra i nemici. Due lati della strada, nemici, si sparavano tra di loro ma si accordavano per non sparare sui civili. Si sparava a chiunque portasse un’arma, raro sparare a qualcuno disarmato. Succedeva, ma la maggior parte delle volte per errore”.

Qualche giorno dopo l’arrivo di Georges, la Dada Star porta da Tripoli a Taṣucu Mohamed, diciottenne originario di un villaggio del Sud al confine con Israele. Sbarca da solo: la famiglia, mamma, papà e sorella disabile, è rimasta in Libano e ha fatto una colletta per pagargli il biglietto, arrivato ormai a 350 dollari. Un tale prezzo da speculazione è niente rispetto ai 1000-1500 dollari richiesti per un passaggio in yacht dalla baia di Junie, appena fuori Beirut, a Larnaca, Cipro. Eppure, nonostante il costo proibitivo ci sono lunghe liste di attesa anche per imbarcarsi con gli yacht: tutto, pur di lasciare il Libano. Da Taṣucu Mohamed raggiungerà un amico a Istanbul dove, una volta sbrigate le pratiche necessarie e ottenuto il permesso di lavoro, si darà da fare per mantenersi. Per quanto l’emigrazione dal Libano abbia raggiunto dimensioni preoccupanti nell’ultimo mese, è impossibile non capire le ragioni di chi, davanti alla prospettiva di anni di terrore e sofferenza, preferisce, al di fuori di ogni retorica, abbandonare il Paese.

Servizio e foto di Elisa Gestri

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