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Roma, Festa del Cinema,”Non dirmi che hai paura, un film su sport, migrazione e integrazione

Roma, Festa del Cinema,”Non dirmi che hai paura, un film su sport, migrazione e integrazione

K metro 0 – Roma – Alla Festa del Cinema di Roma è stato proiettato ultimamente “Non dirmi che hai paura”: film, realizzato nel 2023, tratto dall’omonimo romanzo del 2014 dello scrittore milanese Giuseppe Catozzella (edito da Feltrinelli, e vincitore del Premio Strega Giovani), autore di reportage e collaboratore di varie testate. Romanzo che s’ispirava

K metro 0 – Roma – Alla Festa del Cinema di Roma è stato proiettato ultimamente “Non dirmi che hai paura”: film, realizzato nel 2023, tratto dall’omonimo romanzo del 2014 dello scrittore milanese Giuseppe Catozzella (edito da Feltrinelli, e vincitore del Premio Strega Giovani), autore di reportage e collaboratore di varie testate. Romanzo che s’ispirava alla storia della giovane Samia Yusuf Omar, velocista somala di Mogadiscio, già atleta gareggiante ai Giochi interafricani e alle Olimpiadi di Pechino del 2008: morta poi, ad aprile 2012, in un naufragio al largo di Lampedusa, mentre con altri tentava di raggiungere l’Europa e trovare un allenatore capace di prepararla alle Olimpiadi di Londra (notizia confermata, a suo tempo, dalle agenzie di stampa). Di questa pellicola, che dovrebbe uscire, in Italia, tra fine novembre e metà Dicembre, parliamo con la regista, Yasemine Samderelli, cineasta turca (di origini curde) residente in Germania, e l’aiuto regista, la somala Deka Mohamed: ambedue a Roma per la presentazione, pochi giorni fa, del loro lavoro alla Festa del Cinema. Ascoltando, inoltre, Giovanna Graziano, Presidente di “CIS-Un ponte tra i popoli”: Onlus volta a promuovere la conoscenza reciproca e il dialogo tra le popolazioni e i rapporti tra Italia e le Comunità somale presenti sul suo territorio. 

“Questo nostro film – precisa Deka-  non è un altro “Io Capitano” (con finale tragico, N.d.R.): quello di Garrone era una spettacolarizzazione dell’incredibile Odissea che affrontano molti migranti per raggiungere l’Europa da un’Africa in preda, da decenni, a troppe emergenze. “Non dirmi che hai paura” è un film che ci auguriamo rafforzi invece le spinte a una sana cooperazione internazionale: senza falsi buonismi, ma anche senza strumentalizzazioni dei problemi di migranti e richiedenti asilo in Europa, destinate a fare, in realtà, da alibi a politiche reazionarie”. 
D. Deka, cosa spinge la giovanissima (21 anni!) Samia Yusuf Omar, a intraprendere un viaggio dalla Somalia all’Europa, insieme a tanti migranti.

R. A sostenere Samia ci pensa la sua famiglia: specie suo padre, che le dà l’insegnamento su cui si basa il titolo del film, non avere paura di inseguire il proprio sogno a ogni costo. Non è certo una necessità di emigrare, la “molla” che spinge Samia: ma un sogno ben preciso. Indyca, la società torinese produttrice del film (insieme a Rai Cinema, N.d.R.), si era subito interessata al libro di Catozzella, e dal 2015 ne  aveva acquisito i diritti di trasposizione cinematografica. Nel 2017, appena rientrata dalla Somalia, conobbi Yasemine Samderelli. E proprio a noi due hanno affidato la realizzazione della pellicola, dove lei è stata regista, ed io la sua assistente: mentre mia sorella, Ilham Mohamed Osman, si è cimentata col ruolo di Samia.  

D. Come donna di origini somale, ti sei in parte ritrovata nella storia di Samia?

R. Io, donna di origini appunto somale, musulmana, cresciuta in Italia (vivo a Torino) e che ho studiato regìa e film making prima all’ IED, Istituto Europeo di Design, della mia città, poi anche a New York (all’importante International Center of Photography, fondato molti anni fa dal fratello del mitico Robert Capa), appassionandomi soprattutto a tutto quel che è “story telling”, mi son ritrovata molto nel personaggio e nella vicenda di Samia. E così mi son gettata con forza in quest’avventura.

D. E tu, Yasemine, da regista del film come hai vissuto tutta la lavorazione, che s’è svolta, se non erro, tra Kenya, Tunisia e Puglia?

R, Esatto (in Somalia, data la grave instabilità politica, non era proprio pensabile girare il film): con importante scena finale a Leinì, cittadina del Piemonte non lontano da Torino. L’ho vissuta innamorandomi – come già il produttore e Deka – dell’avventura di Samia: che mi ha coinvolto personalmente parecchio, come donna e come musulmana. Mi han colpito molto gli inizi della storia di questa ragazza, che fa fatica a farsi accettare come donna atleta in una società conservatrice come quella somala, e corre poi senza velo, Anche io sono musulmana: cresciuta, però, In una famiglia sì religiosa, ma di cultura fortemente laica, e di sinistra. Abbiamo trovato difficoltà sia, inizialmente, a raccogliere tutti i finanziamenti necessari che a definire il cast della pellicola: dove, infatti, pochi sono gli attori professionisti somali.

D. Com’è stata l’accoglienza del pubblico alla proiezione al Festival del Cinema di Roma?

R. Buona senz’altro: e mi auguro che questo film (del quale Indyca sta realizzando in questi giorni un sito con varie notizie, e una parziale presenza su Youtube) contribuisca a migliorare i rapporti tra Italia e Somalia, tuttora segnati dalle incomprensioni legate soprattutto al passato colonialista; e, più in generale, porti il vostro Paese ad interessarsi maggiormente del Corno d’Africa, regione cui l’Italia è legata da storiche ragioni geopolitiche.

In quest’epoca dove l’interesse per lo Sport è costantemente in aumento, e si può dire rappresenti sempre più il collante tra le varie società – osserva, infine, Giovanna Graziano, Presidente di CIS-Un ponte tra i popoli –  il caso di Samia deve fare scuotere  le coscienze e, aggiungo, creare profondo imbarazzo in chi ancora strumentalizza certi immigrati nella sua propaganda politica. Perché in questo dramma sono racchiusi la sconfitta del ”Progetto” Umanità” e di tutti i trattati a difesa dei Diritti Umani. Per questa ragione ritengo necessario rivedere le politiche di “movimento” di tutte le nazioni e vari organi di rappresentanza da esse istituiti: è oltremodo inaccettabile classificare l’Umanità in chi può viaggiare in sicurezza con un documento di riconoscimento e chi, pur pagando cifre  superiori al biglietto aereo, sia costretto ad una emigrazione illegale a costo della sua vita. Un atleta, con la propria disciplina, esprime un messaggio Universale che è la Pace: e per questa ragione colgo l’occasione per lanciare un appello agli enti organizzatori di eventi sportivi mondiali, affinché istituiscano un “passaporto Sportivo” per quei talenti che provengono dai Paesi martoriati dalle guerre. Essi, infatti , potrebbero costituire un simbolo di riscatto ed esempio per tutti: poveri e ricchi, perché questa, purtroppo, è la cifra della società moderna, ossia la guerra dei ricchi contro i poveri, dove la Geografia ne ha giá delimitato i confini. 

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