K metro 0 – Mosca – Alexei Navalny sapeva che sarebbe morto in carcere. Non si è mai illuso di un veloce crollo del regime di Vladimir Putin o di un atto di clemenza nei suoi confronti. La sua scelta di tornare in Russia all’inizio del 2021 è stata lucida. Sapeva “fin dall’inizio” che sarebbe stato
K metro 0 – Mosca – Alexei Navalny sapeva che sarebbe morto in carcere. Non si è mai illuso di un veloce crollo del regime di Vladimir Putin o di un atto di clemenza nei suoi confronti. La sua scelta di tornare in Russia all’inizio del 2021 è stata lucida. Sapeva “fin dall’inizio” che sarebbe stato detenuto “per il resto della mia vita o fino alla fine della vita di questo regime”. E che il suo “era solo un lavoro che andava fatto”.
Il diario
Il New Yorker – riferisce l’Adnkronos – ha pubblicato alcuni estratti della raccolta delle pagine di diario, dai giorni successivi all’avvelenamento con il novichok nel 2020 – durante la sua convalescenza nella campagna tedesca dopo essere uscito dal coma il 7 settembre di quell’anno – fino a poco prima della morte il 16 febbraio scorso. La raccolta sarà pubblicata il 22 di questo mese (in Italia da Mondadori) con il titolo ‘Patriot’. E’ prevista anche un’edizione in russo.
“Regimi come quello in Russia sono resilienti“, sottolinea Navalny in una pagina del 2022, citando i 70 anni dell’Unione sovietica, gli esempi della Corea del Nord, di Cuba e della Cina, con una posizione completamente diversa da quella che usualmente recitano da tempo gli oppositori, per cui Putin ha i giorni o i mesi contati.
“La verità è che sottostimiamo quanto siano resilienti le autocrazie nel mondo contemporaneo. Con eccezioni molto, molto rare, sono protette da invasioni esterne dall’Onu, dal diritto internazionale, dal diritto di sovranità. La Russia è ulteriormente protetta dalla sua appartenenza al Consiglio di sicurezza dell’Onu e dalle sue armi nucleari. Ci attendono molto probabilmente il collasso economico e l’impoverimento. Ma non è per nulla scontato che il regime crollerà in modo tale che i suoi detriti apriranno le porte delle sue prigioni”, scriveva.
“Affidarmi all’idea di poter essere rilasciato presto, aspettare che questo accada, è solo un modo per tormentarmi”, sottolinea inoltre l’oppositore, citando quello che chiama il suo “zen da prigione”. Se non fosse stato rilasciato entro i primi sei mesi dall’arresto, in seguito alle pressioni o a un nuovo scenario politico, “sarei rimasto dentro per il futuro a venire”, scrive, lasciando intendere la razionalità della sua scelta di tornare in Russia nel gennaio del 2020 e la lucidità del suo pensiero. “Avevo fatto la scelta giusta quando sono salito su quell’areo per tornare a Mosca”.
“Passerò il resto dei miei giorni in prigione e morirò qui”, ha scritto il 22 marzo del 2022. “Non ci sarà nessuno a cui dire addio… tutti gli anniversari saranno celebrati senza di me. Non conoscerò i miei nipoti. Non avrò un posto nelle storie di famiglia”. Il tono di questi diari è diverso da quello, fin troppo ironico, dei post che pubblicava dal carcere. “Tornando in Russia ho esaudito la mia promessa agli elettori. Deve esserci qualcuno che in Russia non mente loro. Fino a che arriverà il giorno in cui il regime non ci sarà più, dobbiamo difendere le nostre idee”.
Il dissidente è morto a 47 anni in una colonia penale della regione di Yamalo Nenets, oltre il circolo polare artico. Era stato arrestato il 17 gennaio del 2021, al suo rientro in Russia dalla Germania, dove era stato portato nell’agosto del 2020 dopo il suo avvelenamento con il novichok. “Non sono riuscito neanche a fare un passo sul suolo del mio paese da uomo libero. Sono stato arrestato ancora prima dei controlli alla frontiera”, aveva scritto anticipando la possibilità di una sepoltura in una tomba senza nome (le autorità avevano effettivamente ricattato la madre, condizionando la possibilità di effettuare un funerale alla segretezza, minacciando altrimenti la sua sepoltura all’interno della colonia penale di Kharp).
La lucidità di Navalny è condivisa dalla moglie Yulia, che ha preso il suo posto alla guida del movimento a cui aveva dato vita. Nella sua prima visita a Kharp, Aleksei dice alla moglie che “c’è una alta probabilità che io non esca più da qui. Anche se tutto inizia a crollare, mi faranno fuori al primo segno che il regime collassa. Mi avveleneranno”. “Lo so. L’ho pensato anche io”, ha risposto lei.