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Corno d’Africa, Etiopia contro Egitto e Somalia per la diga sul Nilo

Corno d’Africa, Etiopia contro Egitto e Somalia per la diga sul Nilo

K metro 0 – Addis Abeba – Le tensioni nel Corno d’Africa diventano ogni giorno più gravi e allarmanti per la stabilità di un’area già infiammata dalle azioni degli Houthi che, dall’altra sponda dello Stretto di Hormuz, tentano di bloccare il traffico navale verso il Canale di Suez. Al centro del nuovo focolaio – che

K metro 0 – Addis Abeba – Le tensioni nel Corno d’Africa diventano ogni giorno più gravi e allarmanti per la stabilità di un’area già infiammata dalle azioni degli Houthi che, dall’altra sponda dello Stretto di Hormuz, tentano di bloccare il traffico navale verso il Canale di Suez. Al centro del nuovo focolaio – che per la verità cova da anni – c’è l’Etiopia, impegnata in un confronto con la Somalia per l’accesso al mare nel Golfo di Aden, e che ora è entrata in collisione anche con l’Egitto per il Nilo.

L’Egitto e l’Etiopia, come accennato, sono ai ferri corti da anni. Al centro della contesa c’è la “Grande Diga della Rinascita Etiope”, detta Gerd. Una mega struttura, alla cui costruzione hanno partecipato anche imprese italiane e in grado di dare a regioni etiopi da sempre aride tanta acqua da scongiurare la siccità, e far rinascere di conseguenza l’economia. Il problema è che dal punto di vista del Cairo quell’acqua viene presa dal punto in cui il Nilo inizia a scavare i suoi meandri. Sull’infrastruttura l’Etiopia vuole attivare sette nuove turbine entro l’anno, l’Egitto ha così siglato un patto con la Somalia per punire Addis Abeba.

Egiziani, ma anche sudanesi, da tempo chiedono ad Addis Abeba di riconsiderare i propri piani. Il timore sia del Cairo sia di Khartoum, è di vedere ridotta la portata del Nilo nei propri territori in maniera drastica. Il 90% della popolazione egiziana è difatti stanziata lungo gli argini del fiume e dipende dalle sue acque. Per l’Etiopia però, l’attivazione delle turbine della Gerd non lede il diritto interazionale ed è una questione che riguarda solo la propria sovranità.

L’Etiopia quindi è entrata in contrasto con due Paesi: l’Egitto per la questione della diga e la Somalia per quella relativa alla regione secessionista. Non è un caso se lo scorso 14 agosto al Cairo il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il suo omologo somalo, Hassan Sheikh Mohamud, hanno dato il loro assenso alla firma di un protocollo bilaterale di cooperazione in materia di difesa. Il patto è stato siglato nella capitale egiziana a seguito di un incontro tra i due capi di Stato.

L’Egitto si è anche impegnato a sostenere una nuova missione di mantenimento della pace dell’Unione Africana in Somalia che, nel 2025, prenderà il posto dell’attuale African Union Transition Mission in Somalia (Atmis). Un piano che prevede il dispiegamento di 5mila militari egiziani, a cui si aggiungeranno altri 5 mila schierati separatamente lungo la linea di confine con l’Etiopia e il Somaliland (accusato da Mogadiscio di aver ricevuto armi da Addis Abeba).

Il nuovo asse Cairo-Mogadiscio servirebbe così come monito alla regione separatista del Somaliland che, com’è noto, si è autoproclamata indipendente: un piccolo pezzo di Somalia non finita in mani italiane e rientrante all’epoca all’interno dei possedimenti britannici. La comunità internazionale, nella stragrande maggioranza dei casi, non riconosce il Somaliland come Stato indipendente e questo alimenta l’ambizione di Mogadiscio di riprendere definitivamente l’intera area.

L’Etiopia, dal canto suo, dopo aver perso l’Eritrea e dopo aver appurato che i rapporti con Gibuti non saranno mai nel segno della stabilità, ha bisogno di uno sbocco a mare. Da qui le intese con i secessionisti somali, in grado di fornire ad Addis Abeba un porto sicuro sul Golfo di Aden e una base militare. Ma la mossa del premier etiope Abiy Ahmed non è piaciuta al governo somalo, a sua volta messosi a “caccia” di alleati per frenare le ambizioni etiopi e rivendicare la sovranità sul Somaliland.

Il Corno d’Africa è difatti attraversato da ampie linee di faglia che determinano una netta contrapposizione tra i diversi schieramenti. La macroregione è molto vulnerabile e soggetta a squilibri che potrebbero scatenare un conflitto a tutto campo. Un fattore chiave nell’interpretazione di quanto sta avvenendo è rappresentato pertanto dall’accesso alle vie d’acqua, poco importa che si tratti del Nilo o del Mar Rosso.

Ricapitolando: il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed ha promesso di recente ai propri sostenitori che sette turbine del Gerd, il grande complesso idroelettrico sul Nilo Azzurro, saranno operative prima della fine del 2024, precisando che la capacità di stoccaggio del bacino dovrebbe raggiungere per allora i 71 milioni di metri cubi di acqua.

Egitto e Sudan contestano dunque al governo di Addis Abeba il diritto di impedire il libero flusso dell’acqua senza che venga raggiunta un’intesa vincolante con i Paesi a valle. In particolare, chiedono che vi sia chiarezza su come verrà ripartita l’acqua in futuro e sui tempi di riempimento del bacino.

Una cosa è certa: il futuro del Corno d’Africa è appeso ad un filo. Gli uomini chiave per la stabilizzazione della regione sono certamente al-Sisi, che da anni ripete che il suo paese, l’Egitto, è pronto a difendere “con ogni mezzo” l’acqua del Nilo; e Abiy che ha dichiarato senza mezzi termini che l’Etiopia “umilierà” chiunque tenti di minacciare la propria sovranità territoriale. In tutto questo prevale il disinteresse del consesso delle nazioni, in particolare dei grandi player internazionali. Il rischio è che scoppi, da un momento all’altro, la “prima guerra dell’acqua” in un continente che ha invece grande bisogno di pace e stabilità.

 

di Sandro Doria

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