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Venezuela: il guanto di ferro di Maduro

Venezuela: il guanto di ferro di Maduro

K metro 0 – Caracas – “Qué pasó con Edni López”: che fine ha fatto Edni Lopez? Desaparecida. Docente di scienze politiche, 33 anni, l’ultima volta che qualcuno l’ha sentita è stata domenica scorsa (4 agosto), mentre cercava di prendere un volo per l’Argentina, quando ha inviato un messaggio dall’aeroporto poco prima delle 10 del

K metro 0 – Caracas – “Qué pasó con Edni López”: che fine ha fatto Edni Lopez? Desaparecida. Docente di scienze politiche, 33 anni, l’ultima volta che qualcuno l’ha sentita è stata domenica scorsa (4 agosto), mentre cercava di prendere un volo per l’Argentina, quando ha inviato un messaggio dall’aeroporto poco prima delle 10 del mattino dicendo che c’era qualche problema con il suo passaporto.

Cosa è successo dopo rimane un mistero, che contribuisce  al clima di paura e repressione che ha avvolto il Venezuela dopo le sue contestate elezioni presidenziali.

Quando la madre di Edni, Ninoska Barrios, e le sue amiche hanno saputo che non era salita sul volo, hanno iniziato a setacciare freneticamente i centri di detenzione. Alla fine, martedì (6 agosto) più di 48 ore dopo, hanno scoperto che era stata arrestata e trattenuta in isolamento dagli agenti dell’Intelligence d’informazione militare venezuelana con  accuse imprecisate, senza che potesse vedere un avvocato o parlare con la sua famiglia.

Devuélvanme a mi hija…no es ninguna delincuente“: ridatemi mia figlia, non è una delinquente, ha supplicato, singhiozzando, la madre, in un video diventato virale sui  social media.  Spiegando che la figlia era stata invitata a Buenos Aires dalla sua compagna di università, Cristina Rodríguez (che risiede da sette anni in Argentina), quando è stata arrestata all’aeroporto e le è stato ritirato il passaporto. Ma nessuna autorità le ha indicato il motivo per cui è stata privata della libertà.

La storia di Edni, attivista per i diritti umani riconosciuta lo scorso marzo  dall’Ambasciata olandese come una delle 100 protagoniste  per il suo lavoro in difesa dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere, è raccontata da Joshua Goodmagiornalista investigativo dell’Asociated Press,  esperto degli intrecci fra criminalità, corruzione, narcotraffico e politica in America Latina.  

Quanto è grave la repressione in atto?

López è una delle 2.200 persone arrestate in Venezuela durante e dopo le proteste scoppiate nel paese in seguito alla contestata vittoria di Nicolás Maduro alle presidenziali del 28 luglio.

L’ondata di arresti imposti dallo stesso Maduro, è senza precedenti e  in linea con le tre precedenti repressioni contro i suoi oppositori.

Tra gli arrestati, giornalisti, leader politici, membri dello staff della campagna elettorale e un avvocato che difende i manifestanti. Ad altri è stato annullato il passaporto venezuelano. Un’attivista locale ha persino trasmesso in diretta streaming il suo arresto da parte di agenti  dell’intelligence militare mentre  irrompevano nella sua casa.

La repressione, in gran parte apparentemente casuale e arbitraria, sta avendo un effetto dissuasivo, sostiene Phil Gunson, un esperto dell’International Crisis Group (una ONG transnazionale, fondata nel 1995, che svolge attività di ricerca sui conflitti violenti e propone politiche per prevenirli, mitigarli o risolverli).

“Non si tratta solo di scoraggiare le proteste. Le persone hanno paura di scendere in piazza, punto e basta”, ha affermato. “C’è la sensazione che la polizia  debba raggiungere una quota prestabilita e che chiunque possa essere fermato e portato via come sospetto sovversivo”.

Cosa dice Maduro?

Maduro ha invitato i venezuelani a denunciare chi mette in dubbio la sua vittoria elettorale tramite un’app gestita dal governo, creata in origine per segnalare le interruzioni di corrente… E ha annunciato la ristrutturazione  di due prigioni per accogliere un previsto aumento delle incarcerazioni degli oppositori.

Ma a complicare l’opera di repressione del dissenso è il volto mutevole dei suoi antagonisti. Sebbene le dimostrazioni siano state molto meno ampie e più tranquille rispetto ai precedenti disordini, ora sono più spontanee. Spesso senza leader. E animate da giovani, alcuni appena adolescenti, provenienti dalle baraccopoli di Caracas, che tradizionalmente sono state una solida base di sostegno per il governo.

La repressione sta avendo successo?

La sua rapidità è certamente sbalorditiva. In soli 10 giorni, le forze di sicurezza hanno rastrellato quasi lo stesso numero di persone di quelle catturate in cinque mesi nel 2017.

“L’operazione Toc-Toc (così chiamata per i colpi che si sentono picchiare sulla porta) “è uno strumento primario del terrorismo di stato”, ha detto Oscar Murillo, il capo di Provea, riferendosi agli arresti in piena notte, pubblicizzati come una tattica intimidatoria dai funzionari governativi.

Nel quartiere povero di Catia a Caracas, già roccaforte del partito al potere, i residenti stanno addirittura cancellando i video delle dimostrazioni dai loro smartphone per paura che il governo stia monitorando i post sui social media per identificare i dissidenti.

L’improvviso silenzio è in netto contrasto con l’umore fiducioso che aveva preceduto le elezioni, quando i sostenitori dell’opposizione, incoraggiati, hanno affrontato le forze di sicurezza durante i raduni anti-Maduro.

La situazione dei diritti umani in Venezuela

Anche prima dell’attuale ondata di disordini, era oggetto di attento esame, che ha portato alla denuncia di Maduro alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità presumibilmente commessi in passato.

Le tattiche del leader maximo  del post-chavismo sono state paragonate a quelle adottate in America centrale e meridionale negli anni ’70 dalle dittature militari che facevano sparire forzatamente oppositori e talvolta anche malcapitati passanti. Molti furono uccisi e, in Argentina, alcuni vennero  drogati e lanciati dagli aerei nell’oceano, senza lasciare traccia.

I presunti abusi di Maduro hanno poco in comune con quei metodi di “guerra sporca” applicati dalle forze di sicurezza dello Stato.

Ma l’obiettivo di instillare paura è lo stesso, sostiene Santiago Canton, segretario generale del gruppo di controllo della Commissione internazionale dei giuristi di Ginevra.

“È improbabile che ciò che è accaduto 50 anni fa si ripeta”, ha detto Canton. “Ma i social media sono un fattore di moltiplicazione, prima inesistente, che consente un uso  più selettivo  della forza ottenendo gli stessi risultati”.

 

(AP, TN, Todo Noticias, pay TV argentina  del Gruppo Clarín, El Diario)

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