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Estrazione mineraria in acque profonde, vantaggi e rischi

Estrazione mineraria in acque profonde, vantaggi e rischi

K metro 0 – Londra – Il mare profondo contiene molte risorse diverse disponibili per l’estrazione, tra cui argento, oro, rame, manganese, cobalto e zinco. Queste materie prime si trovano in varie forme sul fondo del mare. L’industria intanto, sostiene che dai minerali presenti nelle profondità marine si potrebbero ricavare milioni di dollari, e che grazie a

K metro 0 – Londra – Il mare profondo contiene molte risorse diverse disponibili per l’estrazione, tra cui argento, oro, rame, manganese, cobalto e zinco. Queste materie prime si trovano in varie forme sul fondo del mare. L’industria intanto, sostiene che dai minerali presenti nelle profondità marine si potrebbero ricavare milioni di dollari, e che grazie a meccanismi finanziari e di royalty da definire, i Paesi africani potrebbero trarne enormi benefici economici e finanziari.

Ma una ricerca di Rashid Sumaila, professore universitario in Economia interdisciplinare degli oceani e della pesca presso la University of British Columbia, ha rivelato ad Al Jazeera una complessa rete di rischi e ricompense. Il tutto dopo aver esaminato con grande attenzione l’intero costo netto dell’estrazione in acque profonde per un’ampia varietà di soggetti interessati, tra cui le società minerarie, gli investitori, i Paesi a basso reddito, gli Stati promotori e le nazioni coinvolte nell’estrazione terrestre.

Con la ripresa dei negoziati per l’adozione di norme e regolamenti per l’estrazione commerciale in acque profonde nelle acque internazionali, questa settimana presso l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA), i Paesi africani avranno un ruolo estremamente importante da svolgere nel futuro di tale industria e nella salute dei nostri oceani. In quanto istituzione affiliata alle Nazioni Unite, l’ISA è stata creata negli anni ’90 per garantire che i Paesi in via di sviluppo possano beneficiare finanziariamente dell’attività estrattiva in acque profonde quando/se essa inizierà, assicurando l’equità dei benefici derivanti dai beni comuni globali. Nel corso di questo dibattito, l’Africa si trova in un momento cruciale in cui le sue decisioni potrebbero influenzare profondamente la traiettoria di questa industria e la conservazione degli ecosistemi marini.

Le crescenti evidenze scientifiche suggeriscono che l’attività estrattiva avrebbe un impatto devastante sui fragili habitat dei fondali marini. Il prezzo di un danno ecologico irreversibile potrebbe essere impressionante: si stima pari a circa 2.000 miliardi di dollari. E mentre le aziende private (e i Paesi che sponsorizzano le loro operazioni minerarie) possono trarre profitti a breve termine dall’impresa, i rischi incombenti del modello di business, le minacce di controversie legali e le sfide tecnologiche sollevano seri dubbi sui benefici economici a lungo termine.

Con l’emergere di nuovi dati, occorre includere poi nel calcolo i costi dei danni potenzialmente irreversibili causati dall’attività estrattiva, soprattutto perché l’umanità si trova ad affrontare una triplice crisi planetaria: cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento.

Inoltre, le nuove tecnologie, i processi efficienti dal punto di vista delle risorse, i modelli di economia circolare e le pratiche estrattive responsabili potrebbero ridurre in modo significativo, o eventualmente eliminare, la necessità di estrarre in acque profonde. Il docente esperto ha scoperto che tecnologie e misure già collaudate potrebbero abbattere la domanda dei suddetti minerali di circa il 58%. Da valutare poi possibili scontri con le nazioni minerarie terrestri, dove un improvviso incremento dell’offerta potrebbe far diminuire i prezzi di mercato ed erodere i profitti. Tali implicazioni richiedono un meccanismo di compensazione equo, sottolineando le responsabilità più ampie di organismi di regolamentazione come l’ISA.

Alla luce delle crescenti preoccupazioni per il potenziale impatto dell’attività estrattiva sui fragili ecosistemi di acque profonde e per i costi reali delle operazioni, un movimento internazionale, sostenuto da diverse nazioni ad alto e basso reddito – come le isole Figi, Messico, Palau (in Oceania), Canada, Brasile e Svezia, tra le altre -, da organizzazioni per la conservazione, da enti finanziari e da leader del mondo imprenditoriale, chiede pertanto una moratoria immediata o una pausa precauzionale sull’attività estrattiva di acque profonde, fino a quando una ricerca scientifica esaustiva non sarà in grado di valutare con precisione l’impatto ambientale dell’attività e i rischi per gli ecosistemi di acque profonde e per l’oceano in generale. Al momento, ad oggi, nessuno Stato africano la sta sostenendo.

Per l’Africa, le implicazioni dell’estrazione in acque profonde sono difatti profonde. I Paesi devono perciò soppesare i discutibili guadagni economici a breve termine con i potenziali danni ecologici nel lungo periodo. I minerali che giacciono sui fondali marini internazionali appartengono inoltre a tutta l’umanità e sollevano questioni fondamentali sulle nostre responsabilità etiche. Il prezzo per il nostro pianeta e i suoi ecosistemi potrebbe superare di gran lunga i benefici economici, obbligandoci a salvaguardare il delicato equilibrio dei nostri oceani e della natura. Il dibattito sull’estrazione in acque profonde continuerà, ma man mano che emergono nuovi dati e prospettive. L’Africa farà sentire la sua voce?

 

di Sandro Doria

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