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Pubblicità istituzionale, trasparenza nel Regno Unito, opacità in Spagna

Pubblicità istituzionale, trasparenza nel Regno Unito, opacità in Spagna

K metro  0 – Madrid – Quando vediamo in televisione uno spot contro il fumo, l’alcol, o la sicurezza stradale, si tratta di una campagna istituzionale, un messaggio che le istituzioni trasmettono al pubblico. In pratica, però, essa è spesso utilizzata come “uno strumento di aiuto indiretto ai media”, un modo per le amministrazioni di

K metro  0 – Madrid – Quando vediamo in televisione uno spot contro il fumo, l’alcol, o la sicurezza stradale, si tratta di una campagna istituzionale, un messaggio che le istituzioni trasmettono al pubblico. In pratica, però, essa è spesso utilizzata come “uno strumento di aiuto indiretto ai media”, un modo per le amministrazioni di distribuire finanziamenti a determinate aziende mediatiche, spiega Aida Martori, ricercatrice del gruppo Daniel Jones dell’Universitat Autònoma de Barcelona (UAB), che ha analizzato questo tema negli ultimi anni e illustrato a RTVE.es.

Il finanziamento pubblico dei media è diventato così uno dei cavalli di battaglia del premier spagnolo Pedro Sánchez. Il presidente del Governo ha scelto difatti di porre un tetto alla pubblicità istituzionale. “Ci sono media che hanno solo risorse pubbliche e nessun lettore, e questo mette a serio rischio l’indipendenza di questi pseudo-media”, ha dichiarato in un’intervista all’inizio del mese.

Ha così sostenuto di seguire “la scia dell’Europa” e di riformare la legge sulla pubblicità istituzionale per portarla a “maggiore trasparenza”.  In molti casi, in effetti, la pubblicità istituzionale rappresenta una parte importante delle entrate di molti di questi giornali, radio e televisioni, e per alcuni di essi l’amministrazione pubblica rappresenta il principale inserzionista. Per evitare questi problemi, la Spagna è regolata dalla legge sulla pubblicità istituzionale del 2005, che stabilisce che “le campagne istituzionali dovranno sempre rispettare i requisiti derivanti dai principi di interesse generale, lealtà istituzionale, veridicità, trasparenza, efficienza, responsabilità e austerità nella spesa”.

Eppure, secondo Adriana Mutu, ricercatrice presso la Facoltà di Scienze dell’Informazione dell’UAB e anche, come Martori, membro del gruppo Daniel Jones di questa università, “in Spagna c’è molta opacità, sono pubblicate relazioni e ogni comunità autonoma ha la sua legislazione, ma è difficile trovare dati coerenti per capire davvero dove vanno a finire i soldi”. Prezioso davvero il lavoro della ricercatrice, che ha passato in rassegna la distribuzione della pubblicità istituzionale in diversi Paesi d’Europa e del mondo, riscontrando notevoli differenze rispetto alla nazione iberica. Ad esempio, la Spagna è “l’unico Paese europeo a non avere un regolatore indipendente dei media”, a parte la Commissione nazionale per i mercati e la concorrenza, il “super-regolatore” che comprende le compagnie aeree, le aziende energetiche e le imprese audiovisive. Esistono tuttavia casi di “buone pratiche” in Paesi anglosassoni come il Regno Unito, l’Australia o il Canada. C’è “molta trasparenza” e controllo sull’intero processo di distribuzione dei fondi, oltre all'”indipendenza normativa e mediatica” che è molto intrinseca alla loro cultura politica, dice la studiosa.

Il governo britannico, ad esempio, regola la pubblicità istituzionale attraverso un organismo chiamato Government Communication Service (GCS), che riunisce più di 4.000 professionisti di 25 ministeri e centinaia di altri dipartimenti e agenzie pubbliche. In Italia, invece, l’istituzione incaricata di controllare la pubblicità istituzionale è la stessa che regola il mercato audiovisivo, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM).

In Francia “ci sono molte informazioni pubblicate, una grande varietà di leggi” e molti attori istituzionali che misurano la distribuzione dei fondi. L’autrice sottolinea anche l’esistenza di una legge anticorruzione, la legge Sapin, che “introduce requisiti per incoraggiare la trasparenza nel governo e nelle aziende dei media”.

All’estremo la Germania. Con una tradizione molto meno interventista da parte dello Stato nei confronti dei media (dovuta in parte al ricordo del controllo della stampa durante l’era nazista), non esistono quasi dati o legislazioni al riguardo, ma solo perché “non c’è tanta spesa pubblica” sotto forma di pubblicità istituzionale. Qualcosa di simile accade nei Paesi nordici, dove “grazie alla cultura democratica che hanno e anche al livello di fiducia nelle amministrazioni e nei media, non c’è bisogno” di un controllo esaustivo sulla distribuzione di questi fondi.

In conclusione, l’Ue, a cui Sánchez ha fatto riferimento, ha approvato a maggio una legge sui media che include proprio la regolamentazione della pubblicità istituzionale. Dall’agosto 2025, quando entrerà in vigore, le istituzioni pubbliche saranno obbligate a dichiarare in dettaglio i finanziamenti che distribuiscono ai media, per evitare che questi fondi vengano distribuiti in modo “discriminatorio”.

La verità è che tra i 27 Paesi che compongono l’Ue e i cinque che aspirano ad aderirvi (Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Turchia), in 26 di essi non esiste regolamentazione sulla pubblicità istituzionale o essa non garantisce una distribuzione equa e trasparente dei fondi, secondo il rapporto Media Pluralism Monitor 2021, redatto dall’Istituto universitario europeo.

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