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Nuove proiezioni per La Pitturessa di Fabiana Sargentini

Nuove proiezioni per La Pitturessa di Fabiana Sargentini

K metro 0 – Roma – In occasione delle proiezioni estive del film-documentario La Pitturessa, intervistiamo Fabiana Sargentini. La regista si avvicina al cinema negli anni ’90, nel 1998 con il cortometraggio autobiografico Se perdo te,  partecipa al Sacher Festival di Nanni Moretti, per proseguire nel 2003 con i documentari Sono incinta e Tutto su

K metro 0 – Roma – In occasione delle proiezioni estive del film-documentario La Pitturessa, intervistiamo Fabiana Sargentini. La regista si avvicina al cinema negli anni ’90, nel 1998 con il cortometraggio autobiografico Se perdo te,  partecipa al Sacher Festival di Nanni Moretti, per proseguire nel 2003 con i documentari Sono incinta e Tutto su mio padre Fabio Sargentini. Del 2005 Di madre in figlia (premio speciale della giuria al Torino Film Fesrival) e poi, qualche anno dopo, l’esordio nella finzione col lungometraggio  con Non lo so ancora, (scritto a quattro mani con Morando Morandini critico cinematografico che dà il nome all’omonimo dizionario dei film): i suoi film  sono stati presentati in Festival internazionali riscuotendo successo di critica.

Ciao, Fabiana: con la  La Pitturessa (documentario di 80 minuti, distribuzione Lo scrittoio, già presentato al Festival del Cinema di Roma del 2023 e poi uscito nelle sale), sembri voler affrontare due temi.

Il primo è il rapporto con tua madre, Anna Paparatti, che oltre ad essere tua madre è stata la compagna del gallerista Fabio Sargentini, che, da oltre 40 anni, con le sue mostre e performance, ospitate alla Galleria “L’Attico”, ha arricchito la scena artistica romana, scoprendo artisti del livello di Jannis Kounellis, Pino Pascali e Piero Pizzi Cannella. Il secondo tema è l’artista Anna Paparatti, come emerge da una serie di interviste rilasciate da artisti ed amici che hanno lavorato con lei o che comunque l’hanno conosciuta: sino ad arrivate alla sua celebrazione a Parigi nell’ambito della sfilata di Dior del 2022. Un’intera collezione ispirata all’arte di Anna Paparatti, dominata da coloratissimi e giocosi Mandala.

E’ esatto, allora, parlare di un “doppio binario”, lungo il quale si sviluppa questo tuo film?

“Effettivamente ho avuto due genitori piuttosto ingombranti, due personalità forti ed eccentriche, legate al mondo dell’arte degli anni ‘60 e ‘70. Forse proprio per questo ho avuto bisogno di una vita più borghese rispetto a quella dei miei genitori. Più Grecia a meno India per le mie vacanze. Un matrimonio invece di una convivenza.  Dove c’è molta luce, si creano anche zone d’ombra. Il cinema mi ha consentito di decidere cosa illuminare e cosa oscurare”.

In realtà, tu non eri del tutto nuova a un’opera di questo tipo: già nel 2003, infatti, avevi dedicato, a tuo padre, il documentario per la tv “Tutto su mio padre Fabio Sargentini “. Mentre nel 2004 hai girato il documentario “Di madre in figlia”, che affrontava il tema generale del rapporto mamma-figlia  mediante interviste a donne diverse. C’è un rapporto tra “La Pitturessa” e queste due opere precedenti? 

Tutto su mio padre mi è stato commissionato nel 2003 dall’allora canale satellitare Rai Sat Art. In un mese dovevamo fare tutto, girare montare prodotto finito. Le riprese de La Pitturessa sono durate quasi due anni. Ho lavorato in libertà, rendendomi conto della delicatezza con cui mi dovevo approcciare a mia madre in quanto tale, in quanto persona di una certa età, in quanto artista fino a pochi anni fa non riconosciuta. Vivere nel mondo dell’arte ha formato il mio immaginario. Dentro ogni film ci sono parti dei precedenti, cerchi concentrici di una ricerca medesima che compio sulle relazioni umane, viscerali.

Com’è impostato, “La Pitturessa”? Voglio dire, è un documentario classico, con filmati e interviste ai protagonisti oppure contiene anche scene di “fiction”? E come vedi, quindi, il rapporto col reale girando un documentario?

La Pitturessa non lo definirei un documentario classico: sbanda nel comico, ha la lievità della barzelletta sul complesso di inferiorità raccontata da Paparatti (mia madre) nel film, contiene un racconto sugli anni caldi del mondo dell’arte a Roma (finire dei Sessanta e Settanta) ma non è propriamente solo un documentario d’arte. 

Le scene più riuscite sono quelle in cui, mettendo insieme elementi di realtà (il negozio di colori, gli artisti che lo frequentano), ‘metto in scena’ momenti autentici in quanto verosimili. Non esistono sceneggiature più reali della realtà.

E com’è affrontato, nel film, il rapporto lungo, sicuramente complesso (oltre che altamente formativo) che tua madre, Anna Paparatti, negli anni ’60-’70, ha avuto con artisti di primo piano nella “Scuola romana” postbellica, come Schifano, Pascali, Festa, Kounellis?

Il documentario restituisce a mia madre una sua identità artistica forte. Ha fatto l’Accademia con due artisti che ora sono nei musei internazionali (Kounellis e Pascali) ma che, allora, erano dei ragazzi insieme a lei. Pino (Pascali) ha presentato i miei genitori. Senza di lui non sarei qui. Il film dice alcune cose, altre restano i nostri segreti.

Questo tuo ultimo film è uscito durante la Festa del cinema di Roma 2023, riscuotendo un successo sia di critica che di pubblico; poi è stato programmato in tutta Italia in una serie di serate evento, che proseguiranno per tutta l’estate. In questi giorni, inoltre, il film è stato proiettato al cinema romano Azzurro Scipioni, che ha riaperto con una sala rinnovata, dopo alcuni anni di chiusura.

Secondo te, ha ancora senso il cinema al cinema?

Il cinema in sala è una esperienza unica, non esistono divani né telecomandi. 

Dopo un paio di mesi di proiezioni in varie città d’Italia posso dire che il pubblico viene invogliato dall’incontro reale con l’autore, che il momento del dibattito – tanto deriso da Moretti (la famosa battuta “No, il dibattito no!”) – è invece un momento di arricchimento reciproco tra spettatore e regista, in cui ogni parte riceve qualcosa. Non è un caso che le distribuzioni ora mirino spesso a delle uscite evento in cui persone coinvolte nel film – registi attori montatori produttori – accompagnino la loro opera e ne parlino in sala dopo lo spettacolo.  

Quindi il cinema non solo rifugio per cinefili quanto, piuttosto, luogo di incontro e di scambio tra persone fisiche reali, in carne ed ossa.

Prossimi progetti?

“Sto pensando ad un film a metà tra documentario e finzione sul rapporto genitori-figli, avendo un figlio adolescente mi ritrovo spesso a osservare quanto le dinamiche degli adulti si riflettano in quelle dei giovani e viceversa. Penso alla bellezza di “Boyhood” di Linklater. A luglio comincio a fare dei sopralluoghi girati, per cominciare. 

 

di Alessandro Corsi

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