Il giovane era uno dei 9.529 che si trovano negli istituti italiani ancora in attesa di giudizio K metro 0 – Roma – “Il suicidio del detenuto di 31 anni di origini pakistane, nel carcere romano di Regina Coeli, è una doppia bruciante sconfitta per lo Stato: si abbassa sempre più l’età dei detenuti che
Il giovane era uno dei 9.529 che si trovano negli istituti italiani ancora in attesa di giudizio
K metro 0 – Roma – “Il suicidio del detenuto di 31 anni di origini pakistane, nel carcere romano di Regina Coeli, è una doppia bruciante sconfitta per lo Stato: si abbassa sempre più l’età dei detenuti che si tolgono la vita (età media 40 anni), il giovane era uno dei 9.529 che si trovano negli istituti italiani ancora in attesa di giudizio a cui si aggiungono 6.385 detenuti con condanna non definitiva”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. che aggiunge: “il dato chiaro alla base della “mattanza di Stato” che registra negli ultimi dieci anni 525 suicidi in cella – che sarebbero stati molti di più se non ci fosse stato l’intervento del personale che, sempre in dieci anni, ha salvato oltre un centinaio di vite umane – è che a fine 2023, risultano un totale di quasi 16 mila detenuti non condannati definitivamente. Sui 60.166 detenuti presenti nelle carceri, secondo i dati pubblicati dal ministero, 44.174 sono i reclusi con una condanna definitiva”. Per Di Giacomo “l’applicazione di pene alternative alla carcerazione, tra le quali gli arresti domiciliari, nei casi in cui è possibile, è sicuramente – insieme ai servizi inesistenti di assistenza psicologica – un importante deterrente al suicidio oltre che un modo concreto ed efficace per avviare a soluzione il problema del sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari. Gli ultimi suicidi di detenuti (39 dall’inizio dell’anno a cui aggiungere 54 decessi per “altre cause” e 4 agenti penitenziari) inoltre aggrava un’altra tendenza manifestata già lo scorso anno: il 40% delle persone che si tolgono la vita sono persone “fragili” e vulnerabili. Questo accade mentre i detenuti “più forti” comandano dalle carceri come riprovano le numerose inchieste che denunciano telefonate dalle celle e atti estorsivi determinando una condizione di maggiore fragilità per i più deboli, in molti casi vessati dai capo clan ed appartenenti ad organizzazioni criminali. Purtroppo – dice Di Giacomo – continuiamo ad ascoltare solo impegni politici e dichiarazioni di parlamentari ed esponenti di Governo senza passare dalle parole di commozione (in qualche caso anche sincera) o generiche e di circostanza, quasi sempre le stesse, ai fatti. Sino al punto di produrre una sorta di assuefazione e ridurre il suicidio in cella a pochi righi in pagina di cronaca locale perché non fa più notizia”.