K metro 0 – Khiva – Off the beaten track, fuori dai sentieri battuti, dove pochi vanno. Lontano dalle principali strade e città. Alla scoperta di Khiva, sulla traccia di un reportage per la BBC di Charukesi Ramadurai, brillante giornalista indiana, instancabile globe-trotter. Un tempo importante oasi sulla Via della Seta, Khiva è divenuta col
K metro 0 – Khiva – Off the beaten track, fuori dai sentieri battuti, dove pochi vanno. Lontano dalle principali strade e città. Alla scoperta di Khiva, sulla traccia di un reportage per la BBC di Charukesi Ramadurai, brillante giornalista indiana, instancabile globe-trotter.
Un tempo importante oasi sulla Via della Seta, Khiva è divenuta col tempo il centro della Corasmia, regione storica dell’Asia Centrale a sud del Lago d’Aral.
Secondo i recenti resti archeologici, la sua fondazione risalirebbe a più di 2500 anni fa. E una leggenda vuole che il primissimo nucleo di Khiva sarebbe stato costruito addirittura da Sem, il figlio di Noè.
Insieme a Bukhara e Samarcanda, Khiva forma la troika uzbeka delle città della Via della Seta. Ma solo le prime due sono diventate popolari tra i turisti, grazie alla loro vicinanza alla capitale Tashkent, da cui Khiva dista invece quasi mille km. Più agevole è invece raggiungerla da Urgench, la capitale della regione di Khorezm (dal nome dell’antica regione storica della Corasmia nel nord ovest del paese, ai confini con il Turkmenistan) situata a 450 km ad ovest di Bukhara.
Bukhara, Samarcanda, Khiva: basta menzionare questi nomi per evocare immagini di un tempo in cui queste città erano al centro dell’importante rete di rotte commerciali che si estendevano dalla Cina fino a Roma e Venezia. Per gran parte di quei 1.500 anni (all’incirca dal 130 a.C. fino al 1453 d.C.) questa regione dell’Asia centrale vide lo scambio non solo di sete e spezie, ma di tutti i tipi di idee e filosofie. E’ la città natale del grande matematico e astronomo al-Khwārizmī. Il suo nome ha dato origine al termine “Algoritmo” e la sua opera (al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa l-muqābala) al termine algebra (in arabo al-jabr).E scusate se è poco… verrebbe da dire.
Nel suo programma “Silk Road”, l’UNESCO descrive giustamente Khiva come un “centro di istruzione, scienza e cultura, culla di civiltà che abbracciano millenni”. Un passato che la piccola città di Khiva, racchiude tra le mura dell’Itchan Kala (la città interna, metri) distinta da quella esterna (Dishan Kala).
Circondata da mura alte 8 metri, per una lunghezza di oltre 2 km, con quattro porte d’ingresso (chiamate “Cancelli degli Schiavi” perché utilizzate all’epoca dai mercanti di schiavi) l’Itchan Kala ospita più di 60 siti culturali, moschee medievali e palazzi opulenti, oltre a numerosi musei, negozi di souvenir e laboratori di artigianato. E lascia immaginare come dovevano essere le città dell’Asia Centrale molti anni fa.
L’Ichan Kala
L’Itchan Kala di Khiva è stato il primo sito in Uzbekistan ad essere iscritto tra i Patrimoni dell’umanità nel 1991. Visitandolo, ci si cala in una cultura differente, strana, sconosciuta, con testimonianze di architetture maestose ed edifici misteriosi.
Entrando dall’Ota Darwza, o Porta Ovest, si vedono negozi di strada animarsi lentamente: dal venditore di chugirma (i tradizionali cappelli di pelliccia di pecora), alle venditrice di chapan (cappotti lunghi) con stampa ikat (una delle tecniche di colorazione tessile più antiche al mondo) al maestro intagliatore e alla tessitrice di tappeti.
Quando si parla di Khiva le foto non sono mai abbastanza. Bisogna vedere coi propri occhi i tanti siti storici per rendersi conto della speciale atmosfera orientale.
Fra gli edifici del nucleo antico di Khiva, il minareto Kalta-minor (Kaltaminâr) che significa “minareto corto” cattura l’attenzione. I mosaici e le stupende maioliche ricoperte di smalto turchese mostrano il talento e l’abilità degli artisti uzbeki. Doveva diventare il minareto più alto d’Oriente. Dopo la morte di Muhammad Amin Kahn, nel 1855, la costruzione si fermò, ad un’altezza di 29 metri. Per ragioni misteriose.
Nel tempo Khiva è divenuta un importante centro commerciale sulla Via della Seta e ancor più all’interno della regione nel 1600, quando divenne la capitale del Khanato omonimo (sede del sovrano o Khan) entità politico-amministrativa tipica dell’Europa orientale e dell’Asia, spesso di derivazione mongola (originata dal frazionamento dell’impero di Gengis Khan).
Dopo aver attraversato il deserto di Kyzulkum, i mercanti provenienti da Bukhara si fermavano a Khiva per riposarsi e per caricare le loro carovane con rifornimenti essenziali prima di dirigersi verso l’arida distesa verso la Persia.
Considerata questa storia, è sorprendente che la moderna Khiva sembra accogliere solo una frazione dei turisti che affollano Samarcanda e Bukhara.
Prima che l’Itchan Kala diventasse patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1991 (in corrispondenza con l’indzipendenza dell’Uzbekista dall’URSS) il governo trasferì i residenti fuori le mura per preservare e restaurare i monumenti caduti in rovina. Oggi, l’Itchan Kala è un’incantevole città all’interno della città, reliquia vivente in mezzo alla distesa del deserto. All’interno il colore dominante è il blu che riveste madrasse, minareti, moschee, mausolei, interni di palazzi, ma anche semplici botteghe di artigiani,
Khiva emana un’aura inconfondibile di antichità che la distingue dalle sue più rinomate controparti della Via della Seta come Bukhara e Samarcanda, dove il vecchio convive armoniosamente con il nuovo. Diversamente da questi due più famosi centri dove i monumenti sono sparsi in agglomerati urbani pieni di traffico.
Sebbene gli abitanti del posto non vivano all’interno dell’antica cinta muraria, vengono qui ogni giorno nei loro studi, negozi, ristoranti e case da tè per lavorare.
Esplorare Khiva, come ha detto un’indiana che vive a Tashkent da alcuni anni, la fa sentire come Alice nel Paese delle Meraviglie, vagando nel labirinto di vicoli che all’improvviso si aprono in ampie piazze, dove s’incontrano artigiani e commercianti che vendono le loro merci o persone che chiacchierano con un samovar che ribolle ai loro piedi.
Nonostante Khiva si estenda per 26 ettari, il cuore dell’ Itchan Kala è compatto e facilmente percorribile a piedi. E ogni volta che si pensa di percorrere la stessa strada, ci si ritrova a svoltare un angolo diverso e a imbattersi in un nuovo monumento. Come il Kalta Minor, decorato con maioliche smaltate in splendide tonalità di verde acqua e turchese.
O il Tosh Hauli (o palazzo di pietra), costruito da Allakuli Khan a metà degli anni ’30 dell’Ottocento e nascosto in un angolo verso la porta settentrionale. Le piastrelle nelle stanze e nei cortili dell’area dell’harem dove il Khan viveva con le sue quattro mogli e 40 concubine, hanno i colori e i motivi più squisiti che si ritrovano ovunque nell’Itchan Kala, e invitano piacevolmente a un esame ancora più attento.
La cittadella Kunya-Ark, un altro importante complesso di palazzi risalente al XII secolo, racchiude una sala del trono, una zecca, scuderie e una bellissima moschea estiva con piastrelle blu e un soffitto marrone, arancione e oro. Risalendo la sera tardi i gradini ripidi e stretti della torre di guardia, si può a assistere al famoso tramonto nel deserto di Khiva, una suggestiva tavolozza di rosa e arancio sfumati d’oro.
Salendo in cima alle mura si offre una vista a 360 gradi non solo dei monumenti all’interno dell’Itchan Kala, ma anche della città che si estende oltre le sue mura. Il tramonto nel deserto è davvero spettacolare.