K metro 0 – Roma – Venezia – New York. Due città mito. Due categorie dello spirito. O quadri dell’anima (Seele bilder) per dirla con Goethe. Da New York a Venezia: unite dal percorso di William Congdon (1912-1998) esponente dell’action painting e dell’espressionismo astratto. Artista inquieto, già affermato nell’immediato dopoguerra, espone le sue opere alla
K metro 0 – Roma – Venezia – New York. Due città mito. Due categorie dello spirito. O quadri dell’anima (Seele bilder) per dirla con Goethe.
Da New York a Venezia: unite dal percorso di William Congdon (1912-1998) esponente dell’action painting e dell’espressionismo astratto. Artista inquieto, già affermato nell’immediato dopoguerra, espone le sue opere alla celebre Betty Parsons Gallery di New York, assieme a quelle di pittori di questa nuova tendenza, come Pollock, De Kooning, Franz Kline e Mark Rothko. Ma sviluppa ben presto un’insofferenza verso la grande metropoli, che non piace a Congdon per il suo dilagante spirito commerciale e il prevalere di un individualismo agli antipodi dei suoi principi.
Una “cricca” lo definirà ben presto. Un ambiente in cui si sente soffocare. Così, nonostante il successo ottenuto (con quotazioni, nel 1951, più alte di quelle di Pollock e di altri protagonisti della nuova avanguardia) decide di trasferirsi a Venezia, dove rimane per quasi un decennio.
La città lo seduce con la sua bellezza creando quasi una relazione passionale. La Basilica d’oro di San Marco gli appare come un porto sicuro in cui gli era possibile entrare: “Passavo lunghe ore dentro San Marco e ne uscivo con una nuova e profonda sensazione di pace. Quando le grandi campane suonavano lungo i canali e i tetti di Venezia, volevo correre alla loro festante e solenne chiamata che tanto empiva di vita la piazza che mi pareva ricomporsi di immagini davanti ai miei occhi, come se camminassi in un’immagine prima di – e quasi senza nemmeno – doverla dipingere! (…)”.
Da Venezia inizierà le sue peregrinazioni in Italia. Un Grand Tour in cui comincerà a dipingere vedute e monumenti di città d’arte, con uno stile originale che piace molto a Peggy Guggenheim, la grande collezionista d’arte e mecenate americana che paragona le vedute veneziane di Congdon a quelle di Turner. E lo incoraggia a proseguire lungo la via intrapresa della ricerca di un equilibrio fra espressionismo astratto e tradizione figurativa europea.
Una selezione di questi lavori, chiave per comprendere tutta la produzione di William Congdon nella sua intera evoluzione, è ora esposta in una mostra dedicata al pittore americano dalla Capitolium Art Gallery di Roma (Via delle Mantellate, 14/B, visitabile fino al 23 aprile prossimo, dal lunedi al venerdì 10,00-13,30 /14,30-19,00, Ingresso libero, Catsalogo con testi critici di Daniele Astrologo Abadal). Il progetto espositivo curato dalla direzione artistica della Galleria in collaborazione con The William G. Congdon Foundation si sviluppa attorno a otto opere di grandi dimensioni prodotte nel triennio 1949-1951.
I soggetti di Congdon sono quelli canonici della pittura del Grand Tour: il Pantheon, il Colosseo, la chiesa della Trinità dei Monti a Roma, la basilica di San Francesco ad Assisi, la Piazza dei Miracoli a Pisa e il Caffè Florian a Venezia, ma il linguaggio espressivo è quello avanguardistico della scuola di New York.
Paesaggi de-formati, vedute dipinte attraverso la tecnica, rivisitata, dell’action painting, con abbondante uso di pigmenti che conferiscono “ai suoi lavori una matericità così pesante da richiedere l’uso di supporti rigidi come il compensato e la masonite, ‘eredi prosaici’ – scrive Daniele Astrologo Abadal nel saggio critico in catalogo – della tavola lignea italiana del Quattrocento”. Superfici robuste capaci di resistere al corpo a corpo d con la tela, considerata come un’arena in cui agire non più con il pennello, ma con la spatola e il punteruolo.
Congdon ha vissuto l’intera parabola del tragico “secolo breve”, scoprendo la vocazione alla pittura dopo gli orrori della seconda guerra mondiale di cui fu testimone diretto e partecipe. Durante la Seconda guerra mondiale, si “arruolò” come autista volontario di ambulanza dell’American Field Service. Fu sulle dune di El Alamein, partecipò alla Campagna d’Italia ed entrò infine nel campo di sterminio di Bergen Belsen. Raccontano questa esperienza un nutrito epistolario con i genitori, il Diario di guerra e il poemetto inedito In the Death of One. All’indomani della fine del conflitto, non vi fu editore americano che ebbe il coraggio di pubblicarlo. Si trattava infatti di una testimonianza politicamente troppo scorretta di fronte al trionfalismo autocelebrativo per la vittoria riportata dagli Usa in guerra. In the Death of One, è il titolo della mostra allestita al Memoriale della Shoah di Milano (nel 2021) dedicata alle drammatiche vicende di Bergen Belsen narrate attraverso i disegni di William Congdon.