K metro 0 – Gaza – Il movimento dei coloni sogna sempre più di tornare a Gaza, da quando, nel 2005, Israele ordinò un ritiro unilaterale e 21 insediamenti furono smantellati, con circa 9.000 coloni evacuati dall’esercito. Per alcuni esponenti dell’estrema destra israeliana, la spiaggia desiderabile ora include le sabbie di Gaza Così racconta alla
K metro 0 – Gaza – Il movimento dei coloni sogna sempre più di tornare a Gaza, da quando, nel 2005, Israele ordinò un ritiro unilaterale e 21 insediamenti furono smantellati, con circa 9.000 coloni evacuati dall’esercito. Per alcuni esponenti dell’estrema destra israeliana, la spiaggia desiderabile ora include le sabbie di Gaza
Così racconta alla Bbc Daniella Weiss, 78 anni, “nonna” del movimento dei coloni israeliani, che dice di avere già una lista di 500 famiglie pronte a trasferirsi immediatamente a Gaza. Ho amici a Tel Aviv”, racconta, “e mi dicono: “Non dimenticarti di tenermi un lotto vicino alla costa a Gaza, perché è una costa bellissima, bellissima, di sabbia dorata”. Lei riferisce loro che gli appezzamenti sulla costa sono già prenotati.
La Weiss è a capo di un’organizzazione radicale di coloni chiamata “Nachala”, o patria. Per decenni ha dato vita a insediamenti ebraici nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est, occupate da Israele, su terre palestinesi conquistate da Israele nella guerra del 1967.
I sondaggi tuttavia suggeriscono che la maggior parte degli israeliani è contraria al reinsediamento di Gaza del governo israeliano. La Weiss, nel suo insediamento di Kedumim, in Cisgiordania, mostra così all’inviato dell’emittente britannica una mappa della Cisgiordania con dei punti rosa che indicano gli insediamenti ebraici, punti sparsi su tutta la mappa, dove i palestinesi sperano – o speravano – di costruire il loro Stato.
In queste aree ci sono circa 700.000 coloni ebrei e il loro numero è in aumento. La stragrande maggioranza della comunità internazionale considera gli insediamenti illegali secondo il diritto internazionale, compreso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Israele lo contesta.
La sua visione del futuro di Gaza – che oggi ospita 2,3 milioni di palestinesi, molti dei quali muoiono di fame – è che sarà ebraica. “Gli arabi di Gaza non resteranno nella Striscia di Gaza”, dice. “Chi resterà? Gli ebrei”. Sostiene che i palestinesi vogliono lasciare Gaza e che altri Paesi dovrebbero accoglierli. “Il mondo è grande”, dice. “L’Africa è grande. Il Canada è grande. Il mondo assorbirà la gente di Gaza. I palestinesi di Gaza, quelli buoni, saranno messi in condizione di partire. Non dico costretti, dico abilitati perché vogliono andare”.
Non ci sono prove però che i palestinesi vogliano lasciare la loro patria – anche se molti potrebbero sognare di fuggire temporaneamente, per salvarsi la vita. Per la maggior parte dei palestinesi non c’è infatti via d’uscita. I confini sono strettamente controllati da Israele e dall’Egitto e nessun Paese straniero ha offerto rifugio.
I suoi commenti suonano pertanto come un piano di pulizia etnica. “Si può chiamare pulizia etnica – replica -. Ripeto ancora una volta che gli arabi non vogliono, gli arabi normali non vogliono vivere a Gaza. Se volete chiamarla pulizia, se volete chiamarla apartheid, scegliete voi la vostra definizione. Io scelgo il modo di proteggere lo Stato di Israele. “
Il fatto è che Gaza è tutt’altro che vuota, ma gran parte di essa è stata cancellata dopo quasi sei mesi di incessanti bombardamenti israeliani. È il “più grande cimitero a cielo aperto” del mondo, sono le testuali parole del responsabile della politica estera dell’Ue, Josep Borrell.
Secondo il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, sono stati uccisi più di 32.000 palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini, dati che l’’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene credibili. Per alcuni membri del gabinetto israeliano, il territorio palestinese – ora intriso di sangue – è maturo per il reinsediamento.
di Sandro Doria