K metro 0 – Gerusalemme – E’ la domanda sollevata da Tia Goldenberg, corrispondente da Gerusalemme dell’Associated Press nell’affrontare questioni tanto delicate quali la difficile situazione giuridica che deve affrontare Israele alle prese con il problema di come perseguire i sospetti di aver preso parte all’attacco del 7 ottobre che ha scatenato la guerra con
K metro 0 – Gerusalemme – E’ la domanda sollevata da Tia Goldenberg, corrispondente da Gerusalemme dell’Associated Press nell’affrontare questioni tanto delicate quali la difficile situazione giuridica che deve affrontare Israele alle prese con il problema di come perseguire i sospetti di aver preso parte all’attacco del 7 ottobre che ha scatenato la guerra con Hamas e offrire una soluzione agli israeliani, comprese le famiglie delle vittime.
La prima considerazione è che nessuna delle opzioni legali disponibili sembra essere adatta. I processi penali di massa potrebbero sopraffare i già lenti tribunali israeliani.
Inoltre, un tribunale ad hoc per crimini di guerra istituito sotto il governo di estrema destra israeliano potrebbe mancare di credibilità. E la liberazione dei sospettati come parte di un accordo per il rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza turberebbe molti israeliani traumatizzati.
“Hanno massacrato, violentato, saccheggiato e sono stati colti in flagrante”, ha detto Yuval Kaplinsky, ex alto funzionario del ministero della Giustizia israeliano. “Non esiste una soluzione miracolosa su come processarli.”
Intanto, secondo le associazioni per i diritti umani, più tempo impiega Israele per decidere il giusto percorso legale, più a lungo i presunti autori del reato languono in pessime condizioni e senza alcun contatto con il mondo esterno. Stando ai dati di fonti israeliane, almeno 27 palestinesi di Gaza sono morti sotto custodia israeliana dall’inizio della guerra.
Come gestisce Israele i sospetti palestinesi?
Per trattenere i palestinesi senza accusa o processo, Israele utilizza regolarmente una misura chiamata detenzione amministrativa. I sospetti palestinesi della Cisgiordania vengono processati nei tribunali militari israeliani che sono da tempo uno strumento dell’occupazione a tempo indeterminato del territorio. Palestinesi e gruppi per i diritti umani affermano che il sistema emette quasi sempre verdetti di colpevolezza. Israele sostiene invece di garantire un giusto processo e di imprigionare coloro che minacciano la sua sicurezza.
Secondo Hawan Jabarin, responsabile del gruppo per i diritti dei palestinesi Al-Haq, qualsiasi processo organizzato da Israele non sarebbe credibile.
I tribunali penali
Sono centinaia i membri di Hamas catturati nelle prime ore dopo l’attacco del 7 ottobre, quando alcuni si trovavano ancora nel territorio dello Stato ebraico, o successivamente, durante l’invasione israeliana di Gaza, e identificati con varie prove come partecipanti al massacro. Per processarli, la magistratura israeliana sta preparandosi a organizzare un processo su larga scala con un gran numero di imputati. Non sarà la prima volta che palestinesi accusati di terrorismo e di strage vanno sotto processo in Israele. Ma a differenza del passato, come ha rivelato il Financial Times, fonti della procura generale di Israele dicono che non si trovano avvocati israeliani pronti a difendere gli autori dell’attacco, senza precedenti nella storia dello Stato ebraico per la quantità di vittime e per l’efferatezza con cui sono state uccise.
Anche per questo, esponenti dei partiti di destra israeliani sostengono che i responsabili del pogrom del 7 ottobre dovrebbero essere processati da un tribunale militare, a porte chiuse. Altri invece, insistono per rispettare anche in questo caso il diritto degli imputati a un normale procedimento giudiziario, a dispetto delle atrocità di cui sono accusati. Qualcuno ricorda che, se tale diritto è stato dato a Eichmann, deve essere esteso pure agli autori della peggiore strage nella storia israeliana.
Spesso, i palestinesi accusati di terrorismo vengono processati da tribunali militari perché le prove da esibire sono coperte dal segreto di Stato o perché si tratta di crimini avvenuti nelle zone occupate dall’esercito in Cisgiordania e ricadono per questo sotto la legge militare. I tribunali penali israeliani, invece, sono distinti da quelli militari e sono ampiamente considerati indipendenti dall’influenza politica.
L’ufficio dei difensori pubblici israeliani ha affermato che non fornirà un avvocato finanziato dallo Stato ai sospettati, ritenendo che gli avvocati israeliani, anch’essi segnati dall’attacco di Hamas, siano inadatti e riluttanti a farlo. E ha suggerito di arruolare avvocati stranieri, come nel processo penale israeliano del 1961 contro Adolf Eichmann, uno dei principali organizzatori dell’Olocausto della Germania nazista.
Un simile processo pubblico per i crimini di Hamas potrebbe offrire agli israeliani un certo senso di giustizia. Ma alcuni, come Kaplinsky, ex funzionario del ministero della Giustizia, temono che le narrazioni presentate nei processi penali potrebbero anche funzionare contro Israele fornendo foraggio ai suoi oppositori. Se i pubblici ministeri, ad esempio, non includono le accuse di stupro in qualsiasi atto d’accusa perché le prove in loro possesso non soddisfano i requisiti legali, ciò potrebbe alimentare discussioni sul fatto che la violenza sessuale sia effettivamente avvenuta. Gli avvocati della difesa potrebbero inoltre sollevare sospetti sul bilancio delle vittime dell’attacco tirando in ballo il “fuoco amico”, ovvero i colpi d’arma da fuoco sparati dagli stessi soldati israeliani per errore o a causa di non meglio specificati incidenti nell’uso di armi.
“Come Paese democratico, Israele ha l’obbligo morale di dare un regolare processo e una difesa legale anche agli imputati accusati dei crimini peggiori che si possano immaginare, come nel caso di Eichmann”, dice l’avvocata Hanat Horowitz, a lungo a capo dell’ufficio che fornisce difensori pubblici a chi non può permetterseli. “Coloro che sono accusati di avere commesso crimini contro l’umanità non devono essere difesi da avvocati pagati dal contribuente israeliano, cioè pagati anche dalle famiglie delle vittime e degli ostaggi”, ribatte Elad Danoch, presidente dell’associazione forense del sud di Israele, “perciò in questo caso bisogna rivolgersi ad avvocati stranieri, come nel processo a Eichmann”.
Secondo Dahlia Scheindlin, fellow della Century International Foundation di Tel Aviv, qualsiasi tribunale creato sotto l’attuale governo israeliano di estrema destra sarebbe politicamente contaminato dal sospetto che le leggi siano adattate ai capricci politici dell’attuale governo”.
Ma a giudizio di Barak Medina, professore di diritto all’Università di Gerussalemnnte, sembra che lo Stato stia trattenendo qualsiasi decisione su come processare i sospettati perché si aspetta che vengano rilasciati come parte di un accordo per la liberazione degli ostaggi.
Cosa succede ora ai sospettati?
Molti dei sospettati sarebbero considerati non già “prigionieri politici” ma “combattenti illegali”, il che significa che Israele può estendere la loro detenzione a tempo indeterminato, ritardare il loro accesso a un avvocato e mantenere riservati i procedimenti legali. I gruppi per i diritti umani affermano che la mancanza di trasparenza può favorire gli abusi.
La situazione difficile di Israele è simile a quella che gli Stati Uniti dovettero affrontare dopo gli attacchi dell’11 settembre quando cercarono di catturare il leader di al-Qaeda Osama bin Laden e inviarono centinaia di sospetti al centro di detenzione di Guantanamo a Cuba, suscitando l’indignazione internazionale a causa della tortura dei prigionieri e alla pretesa degli Stati Uniti di trattenere uomini a tempo indeterminato senza accusa.
Ma secondo Avi Kalo, ex consulente legale dell’ intelligence militare israeliana, questa situazione è diversa perché i detenuti del 7 ottobre sono trattenuti nel territorio di Israele e soggetti alla legge israeliana, che garantisce il controllo giudiziario sui loro casi, anche se i gruppi per i diritti umani affermano che questo controllo è imperfetto.
Tal Steiner, direttore esecutivo del Comitato pubblico contro la tortura in Israele, ha affermato che i resoconti dei prigionieri liberati indicano che i detenuti ricevono poco cibo e subiscono trattamenti inumani che potrebbero equivalere a tortura.
Ma il Servizio penitenziario israeliano, ha affermato che ai prigionieri vengono garantiti i loro diritti fondamentali.
Steiner ha detto che il comitato non ha preso posizione sul modo migliore per assicurare gli aggressori alla giustizia. “È una questione giuridica complicata”, ha osservato. “Ma anche l’alternativa di trattenerli in una detenzione prolungata, in segregazione, in condizioni così dure non è un’opzione legale normale”.