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India: musulmani discriminati dalla nuova legge sulla cittadinanza

India: musulmani discriminati dalla nuova legge sulla cittadinanza

K metro 0 – New Delhi – Una legge incostituzionale. Che va annullata. Non ci gira intorno Amnesty International India:  la Legge sulla Cittadinanza promulgata dal governo Modi “legittima la discriminazione su base religiosa”. Una bocciatura secca. Di un provvedimento già molto controverso quando la legge entrò in vigore l’11 dicembre 2019. E ora ancor

K metro 0 – New Delhi – Una legge incostituzionale. Che va annullata. Non ci gira intorno Amnesty International India:  la Legge sulla Cittadinanza promulgata dal governo Modi “legittima la discriminazione su base religiosa”.

Una bocciatura secca. Di un provvedimento già molto controverso quando la legge entrò in vigore l’11 dicembre 2019. E ora ancor più contestata dopo che il parlamento indiano ha approvato le disposizioni per la sua attuazione annunciate lunedì 11 marzo 2024, dal premier Narendra Modi.

La Legge sulla Cittadinanza Indiana prevede la prigione o l’espulsione per i migranti irregolari e stabilisce che per richiedere la cittadinanza uno straniero debba aver vissuto in India o lavorato per il governo federale per almeno 11 anni.  Ma  introduce alcune eccezioni per i membri di sei minoranze religiose – induisti, sikh, buddisti, giainisti, parsi e    cristiani – provenienti da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh (in quanto profughi fuggiti a suo tempo da questi paesi di provenienza perché perseguitati come minoranze religiose).

A queste persone viene data la possibilità di richiedere la cittadinanza indiana dopo avere vissuto in India per sei anni, praticamente la metà del tempo previsto per tutti gli altri. Così, per motivi meramente religiosi, finisce che le nuove norme escludono altre comunità religiose – come i tamil fuggiti dallo Sri Lanka, il più numeroso gruppo di rifugiati presente in India, ormai da tre decenni – e le minoranze musulmane vittime di violazioni dei diritti umani nei loro paesi: gli hazara del Pakistan e dell’Afghanistan, i bihari del Bangladesh, gli ahmadi del Pakistan e quella che le Nazioni Unite hanno definito la “minoranza più perseguitata al mondo”: i rohingya del  Myanmar.

Un bel garbuglio. Non c’è che dire… D’altronde, da quando è al governo, Modi ha progressivamente eroso i diritti  dei musulmani che vivono nel paese, con politiche e provvedimenti  all’insegna dell’ l’hindutva (”induità”: un’ideologia nazionalista che esalta il passato indù) che puntano a rendere l’India un paese sempre più nazionalista. Un’ideologia   che ancor oggi permea la politica e le società indiane. E rischia di trasformare l’India, in una “democrazia etnica”,   dove lo spazio per minoranze  (si fa per dire…) come quella musulmana  (200 milioni di persone, la terza popolazione islamica maggiore del mondo, dopo l’Indonesia e il Pakistan) andrà drammaticamente restringendosi. (vedi Mario Baccianini, India, la libertà accademica minacciata dal suprematismo indù, Kmetro0.it, 13 settembre 2023).

La nuova Legge sulla cittadinanza, in sintesi, segna la prima volta che l’India – uno stato ufficialmente laico con una popolazione religiosamente diversificata – ha stabilito criteri religiosi per la cittadinanza.

Le disposizioni per l’attuazione della Legge, appena approvate, sono state introdotte a poche settimane di distanza dalle prossime elezioni politiche previste entro maggio, con Modi Modi che mira a ottenere un terzo mandato.

Nello stato nord-orientale dell’Assam, quasi 2 milioni di persone, ovvero oltre il 5% della popolazione, potrebbero essere private della cittadinanza a meno che non abbiano documenti risalenti al 1971 che dimostrino che i loro antenati sono entrati legalmente nel paese dal vicino Bangladesh.

Il governo Modi ha respinto l’idea che la Legge sia discriminatoria e l’ha difesa come un gesto umanitario. Sostiene che mira solo a estendere la cittadinanza alle minoranze religiose in fuga dalle persecuzioni e non verrebbe usata contro i cittadini indiani.

La Legge sulla Cittadinanza è stata approvata dal parlamento indiano nel 2019, ma il governo di Modi ne ha sospeso l’attuazione dopo lo scoppio di furibonde proteste  a Nuova Delhi e altrove, quando decine di persone furono uccise durante gli scontri.

I musulmani erano particolarmente preoccupati che il governo potesse utilizzare la Legge, combinata con la proposta di un Registro nazionale dei cittadini, per emarginarli.

Il registro è stato implementato solo nell’Assam ma il partito di Modi (il Bharatiya Janata Party, il maggior partito conservatore   del Paese, fautore di una politica nazionalista religiosa  e di difesa dell’identità induista)   ha promesso di lanciare un programma simile di verifica della cittadinanza a livello nazionale.

Intanto, nella tarda serata di lunedì, sono scoppiate proteste nello Stato orientale dell’ Assam e in quello meridionale del Tamil Nadu. Nell’Assam, i manifestanti hanno bruciato copie della legge e gridato slogan, e i partiti di opposizione locali hanno indetto uno sciopero a livello statale per il giorno dopo. Anche il Partito Comunista dell’India (marxista), che governa lo Stato meridionale del Kerala, ha indetto proteste in tutto lo Stato.

L’India ospita 200 milioni di musulmani in un paese di oltre 1,4 miliardi di persone. Sono sparsi in quasi ogni parte del paese e sono stati presi di mira in una serie di attacchi che hanno avuto luogo da quando Modi ha assunto il potere per la prima volta nel 2014.

Decine di musulmani sono stati linciati da folle indù con l’accusa di aver mangiato carne di manzo o di contrabbandare mucche, un animale considerato sacro per gli indù. Le imprese musulmane sono state boicottate, i  loro insediamenti sono stati rasi al suolo e i luoghi di culto dati alle fiamme. Sono stati addirittura lanciati, apertamente,  anche alcuni appelli per il loro genocidio.

I critici affermano che il vistoso silenzio di Modi sulla violenza anti-musulmana ha incoraggiato alcuni dei suoi sostenitori più estremi e ha consentito un maggiore incitamento all’odio contro i musulmani.

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