K metro 0 – Baku – In un momento storico per Baku che segue la completa restaurazione della propria sovranità territoriale e l’applicazione delle risoluzioni ONU che riconoscono la regione del Karabakh come parte dell’Azerbaijan, prende il via “the Great Return”, il piano per la ricostruzione e il ritorno in Karabakh degli azerbaigiani che negli
K metro 0 – Baku – In un momento storico per Baku che segue la completa restaurazione della propria sovranità territoriale e l’applicazione delle risoluzioni ONU che riconoscono la regione del Karabakh come parte dell’Azerbaijan, prende il via “the Great Return”, il piano per la ricostruzione e il ritorno in Karabakh degli azerbaigiani che negli anni Novanta sono stati costretti a lasciare i propri territori a causa dell’occupazione armena.
Un trentennio durante il quale il movimento separatista – sostenuto ma mai riconosciuto ufficialmente dall’Armenia – ha portato avanti una devastazione pressoché totale dei villaggi e dell’ambiente naturale in cui vivevano i cittadini azerbaigiani del Karabakh, arrestatasi solo nel 2020 in seguito alla vittoria dell’Azerbaijan nella guerra dei 44 giorni e alla riconquista di sette distretti occupati dall’Armenia alla fine del secolo scorso.
In soli tre anni, nonostante le difficoltà connesse alla firma del trattato di pace con l’Armenia e il raggiungimento effettivo dei territori liberati disseminati da mine antiuomo i risultati dell’Azerbaijan possono ritenersi più che soddisfacenti e i propositi per il rientro degli sfollati appaiono promettenti. Lo dimostra in particolare l’esperienza di Aghali, uno smart village completamente sostenibile nell’area di Zangilan, nello Zangezur, abitato da 175 famiglie ritornate in Karabakh nel 2022.
A detta dei Rappresentanti Speciali del Presidente della Repubblica dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, gli step per la ricostruzione dovranno necessariamente includere quattro passaggi fondamentali, ovvero la pianificazione architettonica, le operazioni di sminamento, lo sviluppo delle infrastrutture e la loro effettiva realizzazione, accompagnata dalla realizzazione di programmi in ambito sociale ed economico per offrire garanzie ai cittadini azerbaigiani che vorranno tornare in Karabakh.
Tra gli obiettivi da raggiungere, la questione delle mine risulta essere particolarmente problematica. Allo stato attuale, solo il 20,9% del Karabakh è stata bonificata, e gli incidenti che coinvolgono civili impegnati nelle attività di rimozione delle mine continuano ad essere frequenti per via dell’imprecisione e dell’incorrettezza delle rare mappe consegnate dall’Armenia alle autorità azerbaigiane.
Il terreno in cui si registrano invece i maggiori successi sono le infrastrutture: 10 autostrade per un totale di quasi 422 km e 2 linee ferroviarie che coprono 157 km di territorio sono state realizzate in Karabakh, e in soli 8 mesi è stato costruito l’aeroporto internazionale di Fuzuli che servirà da base per il raggiungimento degli ex territori occupati. Al contempo, 8 aree residenziali e 32 villaggi sono già stati pianificati, e anche grazie a contributi provenienti dall’estero sono state completate 6 scuole, 4 asili e due ospedali.
Su una prospettiva che prevede il ritorno degli sfollati in Karabkah entro il 2030, le stime del governo dell’Azerbaigian prevedono la presenza futura di 150,000 cittadini impiegati in aziende, nell’agricoltura, nel settore minerario, nell’amministrazione pubblica e in una fase più avanzata anche nel settore turistico e nella costituzione di piccole e medie imprese. Un prospetto che a livello locale è già in atto nello smart village di Aghali, che vede 44 cittadini impiegati nel campo della ricostruzione, 31 in scuole ed asili, 50 nel settore produttivo e un centinaio nel settore dei servizi. Compagnie di comunicazione come Bakcell e Azercell, ristoranti e supermercati sono già operativi nel villaggio.
Le questioni aperte e le sfide che il governo dovrà affrontare nella ricostruzione sono tuttavia ancora molteplici, dalla costruzione di un tessuto economico e produttivo, all’elaborazione di piani ed incentivi per stimolare il ritorno degli sfollati negli ex territori occupati, alla rimozione delle mine costruite e disseminate anche dopo la seconda guerra del Karabakh nel 2020. Sfide che richiedono coesione, visioni precise e soprattutto investimenti capaci di risollevare il Karabakh dalla distruzione e dall’abbandono risultante dal trentennio di occupazione, in cui gli azerbaigiani espulsi negli anni Novanta e gli armeni che hanno abbandonato l’area lo scorso settembre che vorranno ritornare potranno vivere gli uni accanto agli altri in un futuro di pace e prosperità.