K metro 0 – Baku – A margine del conflitto in Karabakh tra Armenia e Azerbaijan, la vasta gamma di danni ambientali commessi dall’Armenia e da imprese private che hanno operato sotto la sua sovranità negli ex-territori occupati dell’Azerbaijan (ed in particolare nella regione del Karabakh) rappresenta una delle problematiche più critiche per la transizione
K metro 0 – Baku – A margine del conflitto in Karabakh tra Armenia e Azerbaijan, la vasta gamma di danni ambientali commessi dall’Armenia e da imprese private che hanno operato sotto la sua sovranità negli ex-territori occupati dell’Azerbaijan (ed in particolare nella regione del Karabakh) rappresenta una delle problematiche più critiche per la transizione post-bellica nel Caucaso Meridionale.
Una questione ancor più cruciale se considerata nell’ambito dei piani governativi per la ricostruzione del Karabakh e il rientro degli azerbaigiani espulsi forzatamente a partire dagli anni Novanta, tanto per via delle azioni necessarie alla bonifica ambientale dei territori interessati, quanto – ancor prima – per le difficoltà nella verifica dell’entità dei danni ecologici commessi dall’Armenia.
A questo proposito, poiché la distruzione dell’ecosistema del Karabakh e i danni all’ambiente sono stati commessi in territori internazionalmente riconosciuti come occupati fino al 19 settembre scorso quando l’Azerbaijan ha ripristinato la propria sovranità territoriale, le fonti disponibili a cui è possibile fare riferimento nel processo di valutazione dei crimini ambientali commessi sono esclusivamente report di Organizzazioni Internazionali e agenzie governative di entrambi i Paesi, oltre a rari reportage di testate giornalistiche indipendenti in Armenia, che hanno raccolto testimonianze delle azioni di ecocidio commesse. Allo stesso tempo, un costante e periodico lavoro di raccolta di immagini satellitari da parte dell’Agenzia Spaziale dell’Azerbaijan Azercosmos ha permesso di monitorare e comparare lo status ambientale dei territori occupati negli ultimi trent’anni, permettendo così al governo dell’Azerbaijan di individuare eventuali danni ecologici nell’area.
In merito, la questione della contaminazione da mine antiuomo è tra le conseguenze umanitarie e ambientali più dannose della prima e della seconda guerra del Karabakh. Secondo i dati più recenti di ANAMA, l’agenzia della Repubblica dell’Azerbaijan che si occupa della bonifica dei territori inquinati dalle mine, il ricorso a tali armi è stato responsabile della morte di quasi 3500 azerbaigiani dal 1991, di cui oltre 300 dalla fine della seconda guerra del Karabakh del 2020.
Non meno importante, sono numerosi i casi riportati di inquinamento delle risorse idriche e utilizzo dell’acqua come strumento politico da parte del regime separatista in Karabakh. Al riguardo, una premessa geografica appare imprescindibile. Per via della propria localizzazione a valle dei fiumi, l’Azerbaijan si trova in una posizione estremamente vulnerabile dal punto di vista idrico. La maggior parte dei fiumi che scorrono in Azerbaijan nascono infatti dall’Armenia o dalla regione del Karabakh su cui Baku non ha avuto il controllo per quasi trent’anni, fattore che rende il Paese totalmente dipendente dall’influsso esterno di acqua dagli Stati confinanti (incluso l’Iran).
Non sorprende dunque la gravità dell’impatto che ha avuto l’inquinamento del fiume Ochkuchay, tributario dell’Araz – il secondo fiume più lungo del Caucaso Meridionale – e del Kura, che sfocia nel mar Caspio. Alcune analisi delle acque dell’Ochkuchay condotte tra i mesi di gennaio e marzo 2021 hanno rinvenuto quantità anomale di metalli pesanti, con grande probabilità di provenienza da scarichi e rifiuti senza alcun trattamento preliminare riversati nel fiume da imprese minerarie che operano in Armenia meridionale.
Al contempo, si sono verificati plurimi episodi di controllo ed uso delle risorse idriche del bacino di Sarsang a fini politici da parte dei separatisti armeni, i quali hanno sistematicamente ridotto la quantità di acqua rilasciata in estate – quando la domanda in Azerbaijan è più alta per motivi connessi all’agricoltura, e al contrario rilasciato circa l’85% delle riserve idriche in inverno, provocando inondazioni nei villaggi azerbaigiani. Sulla questione si è pronunciato nel 2016 il Consiglio d’Europa, che in una risoluzione dell’Assemblea Parlamentare ha espresso preoccupazione per le condizioni ambientali delle aree intorno al bacino di Sarsang e ha invitato l’Armenia ad interrompere la strumentalizzazione delle acque.
Da ultimo, particolarmente esemplificative sono le operazioni di estrazione di oro e rame durante la presenza del regime separatista nei giacimenti di Gizilbulag e Damirili. A compiere materialmente le operazioni estrattive è la società armena con sede a Khankendi Base Metals, parte di Holding Vallex Group registrata in Svizzera, che per l’estrazione di risorse localizzate su un’area protetta di oltre 850 ettari ha disboscato circa 82 ettari di foreste tra il 2012 e il 2015.
Con la liberazione dei territori occupati, la questione ambientale è divenuta una priorità per l’Azerbaijan, che non ha esitato a dare avvio a contenziosi legali con il duplice obiettivo della responsabilità e della pace, elementi irrinunciabili per una stabilità duratura in Caucaso Meridionale.