K metro 0 – Nuova Delhi – Uno spettro si aggira per il subcontinente indiano: l’hindutva (“induità”) un’ideologia nazionalista che esalta il suo passato indù. E ancor oggi permea la politica e le società indiane. E rischia di trasformare l’India, per dirla col politologo francese Christophe Jaffrelot, in una “democrazia etnica”, dove lo spazio per
K metro 0 – Nuova Delhi – Uno spettro si aggira per il subcontinente indiano: l’hindutva (“induità”) un’ideologia nazionalista che esalta il suo passato indù. E ancor oggi permea la politica e le società indiane. E rischia di trasformare l’India, per dirla col politologo francese Christophe Jaffrelot, in una “democrazia etnica”, dove lo spazio per le minoranze etniche e religiose (oltre 180 milioni di musulmani, la terza popolazione islamica maggiore del mondo, dopo l’Indonesia e il Pakistan) andrà drammaticamente restringendosi.
Tramite i ministeri dell’Istruzione e della Cultura, il governo del premier Nerindra Modi, il cui partito il BJP (Bharatiya Janata Party) è sempre più influenzato da questa ideologia, punta a una “pulizia storica” e a una riscrittura in chiave confessionale hindu, della società indiana. Esemplare – in negativo ben s’intende – il caso, riportato da Sonia Sarkar di al Jazeera, dell’Università privata di Ashoka accusata di soffocare la libertà accademica dopo aver preso le distanze dal documento di ricerca di un professore, “forzandolo” alle dimissioni.
L’oggetto della discordia è un report di 50 pagine, intitolato “Democratic Backsliding in the World’s Largest Democracy”: un’analisi delle tendenze regressive della più grande democrazia del mondo volta dimostrare la distorsione del diritto di voto (voter suppression) in India, a favore del partito del premier Modi.
Lo studio avanza il sospetto di “manipolazioni” elettorali su diversi seggi durante le elezioni generali del 2019, attraverso “discriminazioni mirate contro la minoranza più numerosa dell’India, i musulmani, in parte facilitate dallo scarso monitoraggio da parte degli osservatori elettorali”.
Ne emerge “un quadro preoccupante per il futuro della democrazia”, si legge nel Sommario della ricerca condotta da Sabyasachi Das, professore assistente di economia, che ha dovuto affrontare la reazione dei sostenitori del partito di Modi dopo aver diffuso il suo report sui social media lo scorso luglio.
Prima della nuova sessione accademica studenti e insegnanti avevano protestato contro le dimissioni del professore denunciando il declino della libertà accademica in India. Più di 80 docenti hanno scritto una lettera alle autorità universitarie il 13 agosto, dicendo che “soffocare la critica” significa “avvelenare” la linfa vitale della pedagogia.
L’Università però non ha fatto marcia indietro. Ma il dipartimento di economia ha appoggiato Das, affermando che il suo report, che deve ancora essere sottoposto a revisione paritaria, “non ha violato” alcuna norma accettata della pratica accademica, e ha chiesto la reintegrazione incondizionata del professor Das.
Intanto, il segretario del Fronte nazionale democratico degli insegnanti (NDTF), l’estrema destra Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), genitore ideologico del BJP, ha dichiarato ad Al Jazeera che “lo Stato ha il diritto di mettere sotto sorveglianza un accademico se non riesce a dimostrare le sue affermazioni con fatti sostanziali”.
Le università pubbliche e private in India sono state strettamente “controllate” e vengono “punite” se sfidano la linea del governo, denuncia Amit Chaudhuri, capo del dipartimento di scrittura creativa dell’Università di Ashoka. L’istruzione versa, a suo giudizio, in una condizione
“molto peggiore” di quanto non appia. E se ne parla poco per “timore di ulteriori ritorsioni”. Le università, come habitat per la libera discussione intellettuale, vengono “guardate con sospetto” dal partito al potere.
L’obiettivo dei fondatori dell’Università di Ashoka, secondo il professor Saikat Majumdar, era quello di favorire lo sviluppo di un’ educazione liberale in scienze umane, sociali e naturali sul modello delle università americane, che potesse eguagliare il MIT, la University of Pennsylavania e la Stanford University.
Ma il governo Modi, secondo i critici, ha cercato di indebolire le istituzioni pubbliche e private, manipolando la storia per adattarla al suo orientamento di estrema destra. Così, importanti centri di ricerca indipendenti sono stati attaccati e, spesso, privati dei finanziamenti.
Un sondaggio globale ha rilevato che l’indice di libertà accademica dell’India nel 2022 si collocava nel 30% più basso tra 179 paesi, tra cui Stati Uniti e Cina.
A gennaio, un’università finanziata a livello centrale ha sospeso gli studenti per aver guardato un documentario della BBC che avanzava sospetti sul ruolo di Modi nelle rivolte del Gujarat del 2002 (le violenze contro i musulmani definite “un pogrom sponsorizzato dallo stato”, cioè dal BJP di Modi).
Insegnanti della Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi sono stati presi di mira per aver protestato contro le manipolazioni elettorali (per impedire, rendere difficile, scoraggiare il voto alle “minoranze”, specialmente musulmane) in modo da favorire i candidati del BJP nel 2018.
Ad alcuni di loro è stato “negato” un anno sabbatico o il permesso di frequentare seminari e persino la pensione dopo il congedo.
Il governo Modi è stato accusato di aver riscritto i libri di testo scolastici per adattarli all’agenda nazionalista indù, rimuovendo i riferimenti all’epoca dei Moghul (la più importante dinastia imperiale indiana di religione musulmana), alla lotta di un combattente della libertà come il Mahatma Gandhi contro il nazionalismo indù, e distorcendo la verità sul massacro del Gujarat del 2002.
Gli accademici dovrebbero essere preparati a ulteriori attacchi nell’attuale clima politico, dice Mukul Sharma, docente all’Università di Ashoka, che prende il nome da Ashoka il Grande, l’”imperatore pacifista” che nel III secolo si convertì al buddismo e rinnegò l’uso della violenza per governare…