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Siria, la mezza estate del malcontento

K metro 0 – Beirut – Il “leone” è sotto assedio. Ma diversamente dal padre Hafez al Assad (il “Leone di Damasco”: Assad in arabo significa leone), il giovane virgulto,  Bashar al Assad jr., non è un “enigma avvolto in un altro enigma”, come lo definì una volta il premier israeliano Shimon Peres, parafrasando un

K metro 0 – Beirut – Il “leone” è sotto assedio. Ma diversamente dal padre Hafez al Assad (il “Leone di Damasco”: Assad in arabo significa leone), il giovane virgulto,  Bashar al Assad jr., non è un “enigma avvolto in un altro enigma”, come lo definì una volta il premier israeliano Shimon Peres, parafrasando un detto di Churchill (sulla Russia). E’ come appare: sempre determinato a mantenere un potere autocratico, fra i marosi della guerra civile, scoppiata nel 2011, e delle turbolenze politiche.  Contrario a un sistema federale o a forme di amministrazione autonoma.

Oggi le proteste contro il governo siriano si stanno intensificando nel sud del paese, per la sua decisione di tagliare i sussidi per il carburante quando milioni di persone sono già in affanno per procurarsi i beni di prima necessità a causa dell’iperinflazione.

Già la scorsa settimana, un video condiviso sui social media, mostrava un  grande striscione, raffigurante  il presidente Bashar, dato alle fiamme in una delle piazze principali di Soueida (una città a maggioranza drusa nella Siria Sud-occidentale). Le esortazioni alla protesta si sono rapidamente moltiplicate, accompagnate da filmati di folle che invocavano la caduta  del presidente, con slogan come “Lunga vita alla Siria e abbasso Bashar al-Assad” che riecheggiavano quelli della rivolta pro-democrazia della primavera araba del 2011,  sfociata in una guerra civile.

Soueida è stata testimone di molte  proteste contro Assad negli ultimi 12 anni. Ma questa è la prima volta che si sentono slogan del genere nelle piazze.  

Il regime, da tempo cauto nei suoi rapporti con la setta minoritaria drusa, ha tollerato il dissenso a Soueida e nell’area drusa circostante, più che in altre zone sotto il suo controllo.

Proteste sono scoppiate anche nella vicina provincia di Deraa, riconquistata dalle forze di  Damasco sette anni dopo l’inizio della rivolta del 2011. La scintilla del malcontento è stata il peggioramento delle condizioni di vita.

Ma le proteste si sono intensificate la settimana scorsa, dopo che il governo ha annunciato la revoca totale dei sussidi alla benzina e una revoca parziale dei sussidi al gasolio. Il peggioramento della crisi economica, con un crollo della valuta che ha alimentato l’iperinflazione, ha fatto sprofondare quasi il 90% della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Ma  a peggiorare  ulteriormente la situazione è stato proprio l’improvviso aumento dei prezzi del carburante. Lo stipendio mensile di alcune categorie di  pubblici dipendenti è pari ad appena 20 dollari al tasso di cambio del mercato nero.

Il governo di Bashar ha attribuito la crisi economica alle severe sanzioni statunitensi imposte nel 2019. Ma all’inizio del mese, il “Movimento del 10 agosto”, un nuovo gruppo composto in gran parte da appartenenti alla setta minoritaria alawita, che ha fermamente sostenuto Bashar durante la guerra, ha rivendicato  il miglioramento delle condizioni di vita in Siria. E ha chiesto al governo di portare il salario minimo mensile ad almeno 100 dollari; fornire elettricità per almeno 20 ore al giorno, rispetto alla media attuale di tre ore in molte aree; e rilasciare nuovi passaporti entro un mese, per consentire a molti giovani di lasciare il paese. Chiedendo  inoltre anche il rilascio dei prigionieri politici.

I gruppi di opposizione in esilio sperano che questi sviluppi portino ai cambiamenti tanto attesi. Ma per ora il potere sembra restare saldamente nelle mani di Bashar.

Le critiche dei suoi correligionari alawiti tuttavia, saranno per lui motivo di preoccupazione. Alcuni sarebbero stati arrestati dopo essersi rivolti alle piattaforme dei social media per chiedere al presidente di agire, racconta Lina Sinjab, in una sua corrispondenza per la BBC da Beirut. 

Ahmed Ibrahim Ismail è uno di questi. Viene da Jableh, una città nella provincia costiera nord-occidentale di Latakia, madrepatria degli alawiti. In un’intervista televisiva, due settimane fa, ha criticato pubblicamente il presidente Assad. Pochi giorni dopo, la figlia di Ismail ha annunciato su Facebook che suo padre era stato arrestato.

Molte storie simili circolano online. Negli ultimi 12 anni di proteste e guerre, molti hanno sostenuto che Assad sarebbe riuscito a rimanere al potere solo se la comunità alawita non si fosse rivoltata contro di lui.

Finora non ci sono prove di un forte movimento organizzato che possa minacciare il suo governo, ma la crescente rabbia dell’opinione pubblica – soprattutto tra gli alawiti – potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più grande.

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