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Mediterraneo, il viaggio verso la morte di centinaia di migranti

Mediterraneo, il viaggio verso la morte di centinaia di migranti

K metro 0 – Roma – “È una decisione difficile, ma non potevamo restare lì”, racconta Chris, 32 anni, fuggito dal Camerun, ad Ania Jimenez, inviata speciale di RTVE (il più importante gruppo radiotelevisivo in Spagna), che  ha viaggiato per 15 giorni sulla Geo Barents, una nave di Medici Senza Frontiere che soccorre  migranti in

K metro 0 – Roma – “È una decisione difficile, ma non potevamo restare lì”, racconta Chris, 32 anni, fuggito dal Camerun, ad Ania Jimenez, inviata speciale di RTVE (il più importante gruppo radiotelevisivo in Spagna), che  ha viaggiato per 15 giorni sulla Geo Barents, una nave di Medici Senza Frontiere che soccorre  migranti in mare dal 2021. “Se rimanevo, avrei potuto perdere la mia vita e soprattutto quella di mia figlia di 4 anni”.

Tra il 15 e il 16 luglio, la nave di Medici Senza Frontiere ha effettuato, senza sosta, 12 dodici operazioni di soccorso su richiesta del governo italiano. In quasi due giorni sono state salvate 462 persone, tra cui  molti minori non accompagnati, donne incinte e quattro bambini. Il motivo per cui hanno deciso di salire su una barca precaria e rischiare la vita è molto simile. Fuga dalla violenza, dalla miseria o dalla fame. E  dalla paura.

“Il Mediterraneo è il grande cimitero dei neri”, dice Bienvenue, 29 anni, proveniente dalla Costa d’Avorio. Sulla sua barca viaggiavano 38 persone, 4 erano donne e un bambino. Bienvenue è lesbica ed è fuggita dal suo paese per cercare la dignità che non le era stata riconosciuta. Lungo la strada ha incontrato la sua attuale compagna, anche lei in fuga per lo stesso motivo.

All’età di 12 anni, la madre e la nonna di Bienvenue le hanno mutilato il clitoride. Non conosceva il padre, ma il suo nuovo patrigno aveva ucciso sua madre. Sola e senza risorse, è stata data in  sposa a 14 anni. A un uomo molto più grande, che l’aveva violentata e maltrattata e, a 16 anni, ha partorito la sua prima figlia. Le avevano detto che in Tunisia la vita sarebbe stata per lei più facile. E che avrebbe trovato associazioni LGTBQ che potevano aiutarla.

Ma anche lì la vita non è stata facile. “Sono stata venduta – racconta – dai miei stessi fratelli neri come schiava nelle case tunisine”. Dove ha vissuto male per sette anni. “Siamo state minacciate   dalla popolazione locale con i machete. Ci hanno detto che ci avrebbero tagliato la testa e che  dovevamo andarcene, perché la Tunisia non era la nostra casa. Così abbiamo deciso di giocare il tutto per tutto e di salire su una barca”.

La rotta del Mediterraneo centrale è la più utilizzata, ma la più mortale per i migranti che vogliono raggiungere l’Europa. Le coste libiche e tunisine sono vicinissime all’isola italiana di Lampedusa, ma il Mediterraneo non è un mare docile: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) più di 30.000 persone che cercavano di raggiungere l’Europa sono morte su questa rotta marittima dal 2014.

Molti africani sapevano già che l’inferno è in Libia. Ma non sapevano che la Tunisia è diventata un nuovo verminaio. Le recenti dichiarazioni razziste del suo presidente, Kaïs Said, hanno provocato un’ondata xenofoba in tutto il paese. Said ha invocato la fine dell’immigrazione irregolare, accusando direttamente i sub-sahariani di essere la causa dei mali della Tunisia e di volerla “africanizzare”.

La Geo Barents (76 metri di lunghezza) è una  delle navi di salvataggio di maggiore capacità oggi nel Mediterraneo Centrale. “Abbiamo effettuato soccorsi  molto più vicino all’Italia che alla Libia o alla Tunisia. Salviamo in acque internazionali. I porti libici e tunisini non sono posti sicuri. E non possiamo sbarcare persone dove le loro vite sono in pericolo”.

Dopo 48 ore di operazioni di soccorso e, con 462 persone a bordo, le autorità italiane hanno ordinato il rientro in un porto sicuro. Questa volta i porti designati erano due invece di uno solo: Livorno e Marina di Carrara, nel nord del paese, molto lontano dalla zona di soccorso.

In totale, la Geo Barents ha impiegato dodici giorni per percorrere 1.750 miglia nautiche da quando è salpata da Marina di Carrara fino a quando è tornata con i migranti a bordo. L’équipe di Medici Senza Frontiere lamenta che il governo attuale in Italia costringa le navi delle ONG a sbarcare migranti lontano dalle aree di soccorso, perché ci vuole più tempo ed è più costoso. Per questo chiedono “all’UE di agire per tutelare i diritti e non ostacolare le operazioni di soccorso”.

E intanto, domenica 6 agosto un nuovo naufragio di un barcone con a bordo almeno 57 migranti proveniente dai paesi dell’Africa subsahariana è avvenuto domenica al largo dell’isola tunisina di Kerkennah, secondo quanto riportato dall’emittente radiofonica tunisina Mosaique FM. Le autorità tunisine hanno riferito di aver recuperato almeno quattro corpi di migranti che si trovavano a bordo dell’imbarcazione, mentre 51 sono le persone ancora disperse. La Procura della Repubblica del Tribunale di primo grado di Sfax, ha autorizzato l’apertura di un’indagine investigativa sull’affondamento. Il governatorato di Sfax è considerato l’epicentro delle partenze di barconi di migranti diretti verso le coste europee.

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