K metro 0 – Medio Oriente – Si va inasprendo, per frequenza e durezza di attacchi, il conflitto israelo-palestinese: con un’escalation di vittime da ambo le parti cui segue la consueta “guerra delle cifre e delle responsabilità”. Proprio il 3 luglio, ha riferito il ministero della Sanità palestinese, almeno tre palestinesi sono rimasti uccisi in un
K metro 0 – Medio Oriente – Si va inasprendo, per frequenza e durezza di attacchi, il conflitto israelo-palestinese: con un’escalation di vittime da ambo le parti cui segue la consueta “guerra delle cifre e delle responsabilità”. Proprio il 3 luglio, ha riferito il ministero della Sanità palestinese, almeno tre palestinesi sono rimasti uccisi in un nuovo attacco sferrato da Israele a Jenin, importante centro agricolo della Cisgiordania settentrionale, sotto l’amministrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, e altri 13 (o più di 25, secondo l’agenzia stampa Wafa) sono stati feriti. Un comunicato, sempre del 3 luglio, dell’Ambasciata palestinese a Roma precisa che, a Jenin c’erano già stati 9 morti e decine di feriti in un primo attacco israeliano il 26 gennaio: cui son seguiti altri due attacchi il 19 giugno e la notte tra il 2 e il 3 luglio, che avrebbero causato, rispettivamente, 7 morti e un centinaio di feriti e 8 morti e una cinquantina di feriti, di cui 10 molto gravi. Mentre, secondo la stessa radio militare israeliana, sotto le macerie di un edificio colpito dall’aviazione di Tel Aviv ci sono ancora diversi colpi sepolti: l’emittente stima che in questa fase siano stati uccisi una decina di miliziani palestinesi.
Secondo i media locali, quest’offensiva contro Jenin e il suo campo profughi è stata decisa da Tel Aviv circa 10 giorni fa, in seguito ad un grave attentato in Cisgiordania in cui 4 israeliani sono rimasti uccisi. Quest’anno, effettivamente il il numero di israeliani morti in attacchi terroristici da parte dei palestinesi, per quanto sempre inferiore a quello dei caduti della controparte, è notevole: almeno 24 israeliani risultano già uccisi a metà anno, e non accadeva da sette anni. Ma da parte palestinese, ci sono stati finora 141 morti, il maggior numero annuo in oltre dieci anni: superiore- se non erriamo – anche al centinaio circa di caduti del 2018, al tempo degli assalti in massa (in parte organizzati da Hamas) dei manifestanti da Gaza alle barriere confinarie con Israele. In gran parte, i caduti palestinesi sono militanti o terroristi, di Hamas o altri gruppi minori, uccisi in scontri coi soldati israeliani. Ma, com’è noto da tempo, ci sono anche molte vittime civili: ad esempio, nella recente uccisione mirata di un leader del gruppo terroristico “Jihad islamica”, è stato ammesso, da Israele, che, nell’azione, anche i suoi figli e la moglie sono morti.
In un primo commento sui fatti di Jenin, al-Fatah, il gruppo maggioritario dell’OLP, accusa Israele di aver lanciato un “attacco barbaro” che comunque “non ci dissuaderà dal continuare a difendere il nostro popolo fino alla libertà e alla indipendenza”. “Le forze israeliane operano nelle ultime ore con uno sforzo concentrato contro focolai di terrorismo a Jenin”, ribatte il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, su twitter: avvertendo che sarà adottato “un atteggiamento offensivo contro chiunque colpisca cittadini israeliani. Costoro pagheranno un prezzo elevato”.
Altra cifra di solito raramente notata dall’opinione pubblica mondiale è che, quest’anno, risultano, poi, almeno 110 israeliani di origine arabo-palestinese uccisi: nel settore arabo di Israele, molte persone sono state vittime di crimini violenti, di stampo mafioso, e lo Stato non riesce a individuare i responsabili. Un problema nuovo, per le cui origini si fanno varie ipotesi, e che complica ulteriormente la già intricata situazione di tutta l’area.
La realtà di tutte queste cifre contrasta fortemente coi trionfalistici annunci del governo israeliano prima e dopo le elezioni politiche dello scorso anno: soprattutto quelli del ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, che ha più volte attratto l’attenzione con dichiarazioni di estrema destra e razziste. Ben-Gvir, comunque, ha promesso, nel suo programma, “Meno omicidi di israeliani, riduzione della violenza in Cisgiordania e lotta alla criminalità mortale nel settore arabo”. Ma dopo pochi mesi, le sue politiche e quelle dei partiti estremisti dei coloni sono fallite su tutta la linea, anche per l’ “autogol” israeliano di un nuovo piano d’espansione degli insediamenti in Cisgiordania (più di 5.000 nuove unità abitative nei “settlements”, secondo il governo di estrema destra di Netanyahu), che ha esasperato i palestinesi. Israele conduce operazioni e incursioni militari sempre più vaste, ma anche i combattenti palestinesi si stanno armando in modo piu’ sofisticato: una cellula della Resistenza palestinese, ad esempio, ha pubblicato ultimamente un video del lancio di un razzo stavolta dalla Cisgiordania. L’idea che la Westbank possa diventare una seconda Gaza, con attacchi missilistici incontrollabili, e, soprattutto, da una distanza assai minore di quella della Striscia, terrorizza gli israeliani.
Intanto, il Dipartimento di Stato USA è intervenuto precisando di sostenere il “diritto di Israele a difendersi contro Hamas, la Jihad islamica palestinese e altri gruppi terroristici” : ma sottolineando, al tempo stesso, che è “imperativo prendere tutte le precauzioni possibili per prevenire la perdita di vite civili”. Nabil Abu Rudeinah, portavoce del Presidente palestinese Abu Mazen, citato sempre dalla Wafa, ha invitato “la comunità internazionale a rompere il suo vergognoso silenzio e ad agire seriamente per costringere Israele a fermare la sua aggressione”.