K metro 0 – New York – ieri, 15 maggio, giorno che per gli israeliani ha segnato il 75° anniversario della proclamazione dello Stato d’Israele, ma per i palestinesi, invece, quello dell’inizio del loro drammatico esodo dalla Palestina, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha esortato l’ONU a sospendere l’adesione di Israele alle Nazioni Unite. A meno
K metro 0 – New York – ieri, 15 maggio, giorno che per gli israeliani ha segnato il 75° anniversario della proclamazione dello Stato d’Israele, ma per i palestinesi, invece, quello dell’inizio del loro drammatico esodo dalla Palestina, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha esortato l’ONU a sospendere l’adesione di Israele alle Nazioni Unite. A meno che Tel Aviv non attui le varie risoluzioni che istituiscono Stati separati ebraico e arabo (e, specie da dopo la Guerra dei Sei giorni del ’67, esortano Israele a ritirarsi dalla Cisgiordania occupata), e consenta il ritorno dei rifugiati palestinesi.
Abu Mazen – informa AP – ha parlato durante quella che passa alla storia come la prima commemorazione ufficiale, da parte delle Nazioni Unite, della fuga di centinaia di migliaia di palestinesi da quello che oggi è Israele: fuga che avvenne in seguito appunto alla spartizione 75 anni fa, da parte dell’ONU, della Palestina governata dai britannici in Stati separati, ebraico e arabo (rimasto però, quest’ultimo, solo sulla carta). Israele e USA sono stati tra coloro che hanno, invece, boicottato la commemorazione di quella che gli arabi chiamano “Nakba”, cioè “catastrofe” L’ambasciatore israeliano al Palazzo di Vetro, Gilad Erdan, aveva inviato Domenica scorsa lettere agli ambasciatori degli altri Paesi all’Assemblea Generale, condannando la commemorazione ed esortandoli a non partecipare a quello che ha definito un “evento abominevole” e un “palese tentativo di distorcere la storia”. In una copia della lettera, ottenuta dalla CNN – informa CNN news – Erdan ha dichiarato che tali “eventi servono solo a demonizzare Israele e ad allontanare ulteriormente ogni possibilità di riconciliazione”. Aggiungendo, infine, che gli Stati che avrebbero partecipato avrebbero, a giudizio di Israele, perdonato l’antisemitismo, e dato il via libera ai palestinesi “per continuare a sfruttare gli organi internazionali per promuovere la loro narrativa diffamatoria”..
l portavoce della missione statunitense alle Nazioni Unite, Nate Evans, ha dichiarato che gli Stati Uniti, insieme ad altri Paesi, comunque non hanno mai programmato di partecipare all’evento di ieri, perché hanno “preoccupazioni di lunga data sui pregiudizi anti-israeliani all’interno del sistema Nazioni Unite”. “Non sosteniamo eventi organizzati da organismi progettati per perpetuare pregiudizi anti-israeliani”, ha affermato Evans.
In un discorso di un’ora carico di emozione, Abbas ha chiesto alle nazioni del mondo perché più di 1.000 risoluzioni riguardanti i palestinesi adottate, nel tempo, dagli organi delle Nazioni Unite non fossero mai state attuate. Mostrando, anzi, una lettera del ministro degli Esteri israeliano, Moshe Sharett, dopo l’adozione delle risoluzioni del 1947 e 1948 che promettevano di creare uno Stato palestinese e consentire il ritorno dei rifugiati, e sottolineando, rivolgendosi ad Israele: “O adempiono a questi obblighi o smettono di essere un membro” delle Nazioni Unite.
L’Assemblea Generale ONU che nel ‘47 contava 57 Paesi membri, il 22 novembre di quell’anno approvò la risoluzione che divideva la Palestina in 2 Stati, ebraico e arabo, con 33 voti contro 13, e 10 astenuti. La parte ebraica accettò il piano di spartizione delle Nazioni Unite, e dopo la scadenza, nel ’48, del mandato che l’Inghilterra aveva ottenuto, alla fine della Prima guerra mondiale, su Palestina, Transgiordania e Iraq (già colonie dello sconfitto Impero ottomano), Israele il 14-15 maggio di quell’anno dichiarò la sua indipendenza. Gli arabi respinsero il piano, e i Paesi arabi vicini (Egitto, Transgiordania, Iraq, Siria e Libano) presero immediatamente le armi contro lo Stato ebraico.
Il destino dei rifugiati palestinesi e dei loro discendenti – stimati in oltre 5 milioni in tutto il Medio Oriente – rimane una delle principali questioni in campo nel conflitto arabo-israeliano. Israele respinge le richieste di un ritorno in massa dei rifugiati, sostenendo che minaccerebbe il carattere ebraico del Paese. Abbas nel suo intervento ha incolpato specificamente la Gran Bretagna, come governante della Palestina prima della spartizione del 1947, e gli Stati Uniti, più importante alleato di Israele, per l’esodo dei palestinesi: sottolineando che questi due Paesi “hanno la responsabilità politica ed etica” per lo sfratto dei palestinesi e l’impianto di Israele “nella nostra patria storica”. Passando all’attualità, Abu Mazen ha fortemente criticato Israele per la sua abitudine di definirsi l’unica democrazia in Medio Oriente, sostenendo (cosa peraltro inesatta) che “è l’unico Stato al mondo che occupa un altro popolo”. E ha contestato Tel Aviv anche in tema ambientale: respingendo l’insistenza di Israele sull’ aver “fatto fiorire il deserto” dal ’48 in poi, e ricordando che anche la Palestina prima del 1947 era “molto civilizzata”, verde, con laghi e fiumi, ed esportava arance in Europa.
Venendo al dunque, Abbas ha affermato che il diritto più importante che i palestinesi chiedono ora di rispettare è l’autodeterminazione e uno Stato indipendente basato su quelli che erano i confini del giugno 1967, alla vigilia della Guerra dei Sei giorni (sostanzialmente, ricordiamo, proprio cio’ che Israele e Autorità Nazionale Palestinese avevano già concordato con gli accordi di Oslo del ’92 e Washington del ’93: rimasto, poi, in gran parte, lettera morta con l’incagliarsi del processo di pace in seguito all’uccisione, nel ’95, del premier laburista israeliano Ytzhak Rabin da parte di un estremista ebraico). Ha ribadito che i palestinesi, nel tempo, hanno dichiarato di accettare solo il 22% del territorio della Palestina del 1947, come parte di una soluzione a due Stati al pluridecennale conflitto tra i due popoli: e non il 44% che era stato loro concesso inizialmente, nel piano dell’ONU per la partizione della Palestina del 1947. Ma ha aggiunto pessimisticamente che la soluzione dei due Stati oggi sta per essere “distrutta”: puntando il dito contro i ministri israeliani “che chiedono pubblicamente un’altra nakba contro i palestinesi” e gli israeliani che vogliono addirittura l’uccisione di palestinesi, e insistendo con aria di sfida che i palestinesi non lasceranno mai né rinunceranno a Gerusalemme est, che vogliono come loro capitale.
Questa commemorazione della Nakba da parte dell’ONU, storicamente e politicamente molto importante, arriva mentre gli scontri armati tra israeliani e palestinesi, a Gaza e altrove, si sono intensificati, e in Israele proseguono le proteste contro il governo di destra del primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo piano per rivedere lo status della magistratura israeliana: situazione, tutta, che suscita una crescente preoccupazione internazionale.
Abbas ha voluto precisare, comunque, che i palestinesi non sono contro gli ebrei, ma “sono contro coloro che occupano la nostra terra”. Abu Mazen – come lo chiama familiarmente il suo popolo – è nato a Safed in Galilea, ora parte di Israele, e ha detto, come tanti altri profughi palestinesi, che vuole tornare a casa. Ha aggiunto che Israele dovrebbe riconoscere le sue colpe e scusarsi per la Nakba, che ha creato la più lunga crisi di rifugiati al mondo, e pagare un risarcimento ai rifugiati, e per la terra, la Cisgiordania, che ora occupa. Se queste cause non saranno affrontate, alla radice, i palestinesi continueranno a perseguire i propri diritti e intraprendere azioni legali (la cosiddetta “Intifada diplomatica” iniziata già nel primo decennio del Duemila), in particolare presso la Corte penale internazionale e gli altri organismi delle Nazioni Unite che si occupano in vario modo del Medioriente.
Ma Israele resta contrario. “Combatteremo la menzogna della ‘Nakba’ con tutta la forza e non permetteremo ai palestinesi di continuare a diffondere menzogne e distorcere la storia”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Eli Cohen in una nota ufficiale. Con l’avvicinarsi del 75° anniversario, già lo scorso 30 novembre l’Assemblea Generale ONU, ora composta da 193 membri, aveva approvato una risoluzione – con 90 voti favorevoli, 30 contrari e 47 astensioni – chiedendo al Comitato delle Nazioni Unite sull’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese di organizzare un evento di alto livello il 15 maggio, per commemorare la Nakba. Gli USA e il Regno Unito sono stati tra i Paesi unitisi a Israele nel votare contro. Mahmud Abbas ha chiesto all’Assemblea Generale di stabilire il 15 maggio di ogni anno come Giornata internazionale “per commemorare la difficile situazione palestinese” e per riconoscere il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato indipendente.