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DI GIACOMO (S.PP.) – Il grido d’allarme del procuratore Ardita va preso sul serio

K metro 0 – Napoli – “Questa volta il nuovo grido d’allarme del procuratore Sebastiano Ardita, autore del libro“Al di sopra della legge”, non può passare inosservato e tanto meno essere ulteriormente sottovalutato perché, come riprovano i numerosi episodi di cronaca e come sindacato denunciamo da troppo tempo, la mafia continua a comandare dall’interno degli

K metro 0 – Napoli – “Questa volta il nuovo grido d’allarme del procuratore Sebastiano Ardita, autore del libro“Al di sopra della legge”, non può passare inosservato e tanto meno essere ulteriormente sottovalutato perché, come riprovano i numerosi episodi di cronaca e come sindacato denunciamo da troppo tempo, la mafia continua a comandare dall’interno degli istituti penitenziari”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria – che aggiunge: “il procuratore Ardita sostiene due elementi che richiedono l’attenzione dovuta: non ci sono “zone franche” nel comando della mafia dalle carceri; lo Stato si è “fermato” a contrastare questa situazione. Questo significa che se qualcuno si era illuso che la criminalità spadroneggiasse solo negli istituti del Sud, magari quelli siciliani e campani, deve ricredersi perché il fenomeno è piuttosto ramificato utilizzando gli strumenti della comunicazione. Sono in primo luogo i telefonini –una dozzina sequestrati in media la settimana –che arrivano a detenuti eccellenti e comunque appartenenti a clan soprattutto a bordo di droni e persino nascosti in palloni di calcio, gli strumenti per impartire ordini all’interno della dimensione penitenziaria e anche nei territori. Condividiamo la denuncia di inerzia dello Stato. Bastano le parole del procuratore a spiegarne la gravità: in carcere la condizione di chi riesce a comunicare con l’esterno manda un pessimo segnale, fa credere che la mafia non solo nonè sconfitta ma è in condizioni ancora di fare proseliti. Questo è un aspetto che lo Stato non può trascurare. E noi aggiungiamo: lo Stato ha alzato “bandiera bianca ”lasciando da soli gli agenti. Il personale penitenziario si trova quotidianamente a combattere su due fronti: da una parte l’incapacità dello Stato di garantire l’incolumità personale e dall’altra i detenuti violenti che nella “caccia all’agente” non si tirano indietro per nessun motivo. Ma se lo Stato ha abdicato alle sue prerogative e funzioni in termini di legalità e sicurezza nelle carceri, il fatto più grave –aggiunge –è che il personale penitenziario non può difendersi per il timore di finire sotto inchiesta per il reato di tortura.

Siamo arrivati ad una media di un’inchiesta la settimana contro agenti che reagiscono ad atti violenti e provocatori dei soliti criminali che non hanno più nulla da perdere. La questione è sempre la stessa: se non si introducono misure di inasprimento della pena per il reato di aggressione al personale penitenziario continuerà ad affermarsi il principio della impunibilità e con esso l’effetto emulazione per gli altri detenuti che vogliono dimostrare che il comando è saldo nelle mani dei criminali e boss di mafia e camorra”.

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