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Quale presidenzialismo per l’Italia?

Quale presidenzialismo per l’Italia?

Casellati, ascolto e condivisione ma la riforma deve avere due pilastri. Elezione diretta e stabilità. Confronto con il costituzionalista Sabino Cassese organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi. K metro 0 – Agenzia Nova – Il perimetro è tracciato e, seppur con spirito di massima condivisione e ascolto, non si può sconfinare. La riforma istituzionale del nostro Paese deve partire

Casellati, ascolto e condivisione ma la riforma deve avere due pilastri. Elezione diretta e stabilità. Confronto con il costituzionalista Sabino Cassese organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi.

K metro 0 – Agenzia Nova – Il perimetro è tracciato e, seppur con spirito di massima condivisione e ascolto, non si può sconfinare. La riforma istituzionale del nostro Paese deve partire da due punti saldi: elezione diretta del presidente, sia esso della Repubblica o del Consiglio, e la massima stabilità per l’esecutivo. Ad indicare il perimetro entro cui si muoverà la maggioranza per arrivare, dopo 40 anni, alla riforma della Carta e per portare il Paese verso una forma di presidenzialismo, è stato il ministro per le Riforme istituzionali, Elisabetta Casellati, nel corso di un confronto con il costituzionalista Sabino Cassese organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi. Partendo dall’analisi della proposta della fondazione stessa, che prevede l’elezione di eleggere un assemblea per arrivare ad una riforma complessiva della seconda parte della Costituzione, il ministro ha assicurato di non avere “alcun pregiudizio” verso il metodo di lavoro, ma ha indicato alcuni aspetti di cui tenere conto. A cominciare dal fatto che “il metodo usato in passato è stato quello di formare delle commissioni di esperti, ed è giusto. Però – ha ricordato il ministro – dopo aver predisposto una bozza di riforma” la politica “ha fatto cadere anni di lavoro e approfondimento”. Meglio dunque “partire” con un altro approccio e “dall’ascolto” delle forze politiche, senza alcun “muro ideologico”. In questo senso, dal nuovo segretario del Partito democratico, Ella Schlein, il ministro si aspetta “una grande apertura” per trovare insieme un punto di caduta.

Altro tema sulla strada delle riforme è quello dei fallimenti dei referendum precedenti, dovuta anche alla complessità dei quesiti. Il Paese, ha chiarito il ministro, avrebbe bisogno di “una riforma organica della seconda parte della Costituzione” ma quando si è arrivati ai referendum “non si è mai riusciti a coinvolgere i cittadini perché era talmente complicato il complesso degli articoli che, a mio avviso, si sono sentiti spodestati del loro diritto di esprimersi, perché non sufficientemente consapevoli”. Meglio dunque coinvolgere i cittadini “su specifici aspetti” in modo che possano dare “davvero il proprio contributo, con una scelta consapevole”. C’è poi il tema della strada da intraprendere per arrivare all’obiettivo. Su questo il ministro ha le idee chiare: “Credo che la forma migliore sia quella dell’articolo 138. La mia preferenza – ha scandito – è imboccare l’articolo 138, attraverso il metodo dell’ascolto perché la maggioranza non ha una posizione precostituita su una forma” istituzionale “rispetto ad un’altra”. Posto anche il fatto che modelli in vigore in altri Paesi, come il semi-presidenzialismo alla francese o altri sistemi, possono comunque essere “adattati alla sensibilità del nostro Paese”. Di certo, e su questo il ministro ha voluto essere chiaro, qualunque legge “dovessimo fare ci sarebbe una norma transitoria” perché sarebbe “una sgrammaticatura istituzionale pensare che l’approvazione di una legge possa portare ad elezioni dirette e far cadere il mandato del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio”. Dunque una nuova legge, che dovesse prevedere l’elezione diretta del Capo dello Stato, “entrerebbe in vigore nel 2029, al termine del mandato del presidente”.

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