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Oylem Goylem”: Moni Ovadia, 200 anni di cultura ebraica, tra Europa e USA

Oylem Goylem”: Moni Ovadia, 200 anni di cultura ebraica, tra Europa e USA

K metro 0 – Roma – Nato a Plovdiv (l’antica Filippopoli), in Bulgaria, nel 1946, ma trasferitosi molto presto in Italia, a Milano, Moni Ovadia appartiene a una famiglia ebraica d’origine sefardita, ma che di fatto, da molti anni, era impiantata in ambiente di cultura yiddish mitteleuropea. Circostanza che ha fortemente influenzato tutta la sua

K metro 0 – Roma – Nato a Plovdiv (l’antica Filippopoli), in Bulgaria, nel 1946, ma trasferitosi molto presto in Italia, a Milano, Moni Ovadia appartiene a una famiglia ebraica d’origine sefardita, ma che di fatto, da molti anni, era impiantata in ambiente di cultura yiddish mitteleuropea. Circostanza che ha fortemente influenzato tutta la sua opera di uomo e di artista, dedita al recupero e alla rielaborazione del patrimonio artistico, letterario, religioso e musicale ebraico dell’Europa orientale.

Contemporaneamente al suo percorso accademico (laurea in Scienze Politiche alla Statale di Milano), Ovadia muove i primi passi artistici sotto la guida dell’etnomusicologo e storico sociale Roberto Leydi con cui inizia la carriera di cantante e musicista nel Gruppo dell’Almanacco Popolare.

L’esordio teatrale è dell’84; nel ’90 fonda la Theater Orchestra e lavora col milanese “CRT Artificio”, con cui produce “Golem” che porterà sui palcoscenici di Bari, Milano, Roma, Berlino, Parigi e New York. La vera svolta è “Oylem Goylem”, lo spettacolo con cui si impone, nei primissimi anni ’90, all’attenzione del grande pubblico. Lo spettacolo fonde abilmente musica klezmer (genere musicale tradizionale degli ebrei askenaziti dell’Est europeo), riflessioni condotte alla luce della cultura e del tradizionale umorismo ebraico, storielle e barzellette (spettacolo poi ripreso dalla RAI,e pubblicato in seguito, nel 2005, da Einaudi in cofanetto e DVD).

Questo stesso spettacolo, in questi giorni, è stato ripresentato da Ovadia, con grande successo, a Roma al Teatro del Vascello, nei pressi del Gianicolo.

Intervista di Fabrizio Federici

Maestro, partiamo dal titolo: “Oylem Goylem”, sono parole in lingua yiddish, suppongo, ma cosa significano?

“Oylem” viene dalla parola ebraica “Olam”, cioè “Il mondo”. “Goylem”, da “Golem”, che – come parte del pubblico senz’altro sa – è una figura della mitologia ebraica immaginaria e antropomorfa, menzionata gia’nella Cabala e appartenente anche al folklore ebraico, soprattutto rinascimentale: una sorta di robot “ante litteram”, di pupazzone con forza straordinaria, ma inevitabilmente goffo. Queste due parole, allora, significano letteralmente “Mondo goffo”, sono un’espressione per indicare la complessità e, al tempo stesso, i lati ridicoli della vita e del mondo.

Se non erro, questo Suo spettacolo debuttò, una trentina d’anni fa, sempre al Teatro del Vascello…

Sì: esattamente trent’anni fa. Devo dire che il pubblico anche stavolta l’ha accolto molto positivamente: è un testo che ha sempre avuto successo, specie – com’è logico – in città, come ad esempio Bologna o Trieste, storicamente caratterizzate da una forte presenza ebraica. Roma è stata la penultima tappa di questa tourneé; che si concluderà, nei prossimi giorni, a Milano.

Punto di forza essenziale di questo Suo testo, quindi, è l’attingere a tutto il repertorio della tradizione e della cultura popolare ebraica soprattutto dell’Europa orientale, specialmente in lingua Yiddish. Spieghiamolo ai lettori…

L’Yiddish è una lingua di uso quotidiano dell’ebraismo mentre l’ebraico biblico è la lingua sacra per eccellenza, da impiegare solo per usi sacri. L’yiddish è stato parlato per secoli nella vita quotidiana, dalle comunità ebraiche dell’ Europa orientale, dal Medioevo sino alle grandi tragedie della Seconda guerra mondiale. Dopo la quale, causa la terribile “pulizia etnica” fatta dai nazisti, – su circa 6 milioni di morti della Shoah, ben 5 milioni e mezzo, non dimentichiamolo, erano europei dell’Est- ben pochi degli ebrei rimasti in Europa orientale, oggi, parlano questa lingua che però è parlata diffusamente dagli ebrei ortodossi di Israele, Francia, Gran Bretagna, USA (dove addirittura, è stata anche prodotta una fiction in Yiddish).

Lingua nata quando, e su quali basi?

Lo Yiddish trae le sue origini dalla cultura degli ebrei askenaziti (Europa orientale), sviluppatasi nei primi secoli del Medioevo anche in Baviera e in Renania, e poi diffusasi in Italia settentrionale, Paesi Bassi, Europa centrale. La base di questa lingua era il tedesco (quello precedente la riforma linguistica di Lutero); lo Yiddish, però, divenne poi “anarchico”, portato ad assorbire e rielaborare parole un po’ di tutte le lingue in seguito alla grande epidemia di peste del 1348 (quella descritta dal Boccaccio nel “Decameron”, N. d.R.). Di questa, “tanto per cambiare”, furono incolpati gli ebrei (a Tolone e Barcellona ci furono massacri e saccheggi, causati dall’isteria generale della popolazione, N.d.R.) che, allora, cercarono nuove patrie in Polonia – ben accolti dal re Casimiro il Grande – e in Russia, dove, invece, sarebbe iniziata, di lì a poco, l’epoca dei pogrom. Tutto questo processo, da un lato, accelerò nel mondo la diaspora ebraica; mentre il conseguente esilio del popolo ebraico ha fatto sì che lo Yiddish abbia introdotto parole in uso nei vari Paesi dove gli ebrei si erano stanziati, parole entrate poi a far parte dello Yiddish comunemente parlato.

In questo Suo spettacolo si parla pure di grandi scrittori ebrei, che si sono espressi anche in Yiddish: come Franz Kafka e Yitzhak Katzenelson…

Kafka non era un esperto di Yiddish, ma nel primo decennio del ‘900 avviò una grande amicizia con Jizchak Lowi, il capocomico del teatro Yiddish di Leopoli, che lo introdusse in questo mondo. Secondo il più grande critico di Kafka – Giuliano Baioni – fu proprio la conoscenza approfondita della cultura yiddish a permettere a Kafka di scrivere i suoi romanzi fondamentali , in primis “Il processo”.  Nello spettacolo, parlo anche di Yitzhak Katzenelson , un poeta ebreo polacco che scrisse in yiddish il grande poema “Canto del popolo ebraico massacrato”. Questo autore morì ad Auschwitz nel 1944.

Il suo “Oylem Goylem” è dunque un grande affresco di quel mondo che dai territori dell’Europa Orientale, attraverso l’esilio negli ultimi due secoli, raggiunse anche le coste del Nord America, dove gli ebrei contribuirono alla cultura di quel gigantesco melting pot. Ma come giudica il crescente fenomeno dell’antisemitismo in Italia oggi?

Percepisco una latenza di antisemitismo che si manifesta soprattutto con atavici pregiudizi che a volte degenerano in vere e proprie ostilità, polemiche politico-religiose e gesti provocatori. Come ci insegna la storia, nella fattispecie quella europea degli anni Venti e Trenta, l’antisemitismo diventa veramente pericoloso quando si insinua in maniera strisciante, poco a poco, nella mentalità comune. Oggi non siamo certo in situazioni del genere: se andiamo a vedere, nessuna forza politica, neanche le più estremiste, ha nel suo programma l’antisemitismo. Sono molto più gravi oggi, i pregiudizi nei confronti di zingari ed extra comunitari. Ma è bene non abbassare mai la guardia e vigilare con attenzione

In ultimo vorrei chiederle, dei suoi rapporti con le Comunità ebraiche italiane, specialmente quella romana.

Non ho più rapporti con la Comunità romana per le mie posizioni critiche nei confronti dei vari governi di Israele. Le violazioni del diritto internazionale, mi riferisco all’occupazione e alla colonizzazione dei territori palestinesi, durano da oltre cinquant’anni. Ho imparato dai profeti d’Israele che bisogna essere al fianco dell’oppresso. Io esprimo opinioni, non sono depositario di nessuna verità. Penso però che questa situazione sia ingiusta. Per i palestinesi, che sono le vittime, ma anche per gli israeliani.

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