K metro 0 – Hong Kong – Nell’ex colonia britannica sulla costa meridionale della Cina, alcuni simpatizzano con le richieste dei manifestanti della Cina continentale di maggiori libertà dopo quasi tre anni di pesanti restrizioni pandemiche. La recente ondata di proteste ha così rappresentato un barlume di speranza per alcuni sostenitori del movimento pro-democrazia di
K metro 0 – Hong Kong – Nell’ex colonia britannica sulla costa meridionale della Cina, alcuni simpatizzano con le richieste dei manifestanti della Cina continentale di maggiori libertà dopo quasi tre anni di pesanti restrizioni pandemiche. La recente ondata di proteste ha così rappresentato un barlume di speranza per alcuni sostenitori del movimento pro-democrazia di Hong Kong, dopo che le autorità locali lo avevano soffocato con una legge sulla sicurezza nazionale promulgata nel 2020.
Così si spera che, riaprendo una finestra per le persone che si riuniscono e fanno sentire la loro voce, le proteste possano concedere una nuova chance al movimento pro-democrazia di Hong Kong, che sta languendo. “Hong Kong ha avuto molte proteste in passato e capiamo come ci si sente a voler dire qualcosa ma a non poterlo fare a causa del governo”, ha dichiarato a Associated Press Kris Tam, 23 anni. Nel 2019, prima della pandemia, centinaia di migliaia di abitanti di Hong Kong sono scesi in piazza per protestare contro la proposta di legge sull’estradizione. Sebbene la proposta di legge sia stata alla fine accantonata, ha scatenato mesi di disordini a volte sfociati in violenti scontri tra polizia e manifestanti.
In base alla legge sulla Sicurezza nazionale, promulgata con l’appoggio del Partito Comunista Cinese al potere, le autorità hanno represso la maggior parte delle manifestazioni pubbliche di dissenso in città, nonostante l’impegno di Pechino di lasciare intatti il sistema giuridico di stampo occidentale e le libertà civili della semi-autonoma Hong Kong per 50 anni dopo il passaggio della città al controllo cinese nel 1997.
Ma manifestazioni raramente viste sono scoppiate in molte città cinesi dopo che il 24 novembre un incendio in un condominio nella città nord-occidentale di Urumqi ha ucciso almeno 10 persone. La tragedia ha scatenato domande infuriate in rete per capire se i vigili del fuoco o le vittime che cercavano di fuggire fossero bloccati da porte chiuse a chiave o da altri controlli anti-virus. Le autorità hanno negato, ma le morti sono diventate il fulcro della frustrazione pubblica. Pechino ha così promesso di ridurre i costi e le interruzioni dei controlli, ma ha detto che si atterrà alla strategia “zero-Covid” nel cercare di stroncare i focolai isolando ogni caso.
Anche le autorità di Hong Kong hanno gestito con leggerezza le proteste guidate dai cinesi della Cina continentale. La polizia ha presidiato una protesta lunedì nel quartiere centrale, delimitando un’area e permettendo alle persone di deporre fiori, candele e fogli bianchi per commemorare le vittime dell’incendio di Urumqi. Tuttavia, gli agenti hanno anche preso nota dei dati personali di diversi manifestanti e ripreso i video della protesta.
Il capo della sicurezza di Hong Kong, Chris Tang, ha dichiarato che le proteste potrebbero minacciare la sicurezza nazionale. Ha definito le manifestazioni locali “altamente organizzate” e un “rudimento di un’altra rivoluzione a colori”, sottintendendo un coinvolgimento straniero.
Non tutti, però, a Hong Kong hanno simpatizzato con i recenti disordini, così come molti hanno disapprovato le precedenti proteste di massa nella loro città. Alcuni hanno detto che la polizia di Hong Kong dovrebbe andare ad aiutare le autorità continentali a reprimere le proteste. Altri addirittura dichiarato che il governo cinese dovrebbe schierare i carri armati, come fece nel 1989 per schiacciare il movimento pro-democrazia incentrato su Piazza Tienanmen, uccidendo centinaia e forse migliaia di manifestanti disarmati.
È impossibile dunque sapere quale sia la percentuale dei 7,4 milioni di abitanti di Hong Kong che sostengono o disapprovano le proteste sia nella loro città che nella Cina continentale.
Intanto, le autorità cinesi hanno creato in Occidente una fitta rete di stazioni di polizia camuffate da uffici di servizi. In Italia sono state trovate almeno 10 stazioni. Lo riferisce l’Espresso. Tutto è partito difatti dal progetto cinese di far rientrare i “fuggitivi” nella madrepatria convincendoli personalmente anziché chiederne l’estradizione. Le prime stazioni d polizia sono state aperte a Milano e Roma.