K metro 0 – Salerno – Spesso per parlare del presente appare appropriato richiamare il passato e, in particolare, richiamare quel passato in cui uomini saggi hanno saputo indirizzare, proprio, l’odierno presente. Cogliendo, a loro modo, addirittura, nell’attimo di un istante il senso della sfida ad un futuro che meritava di essere esplorato, in nome
K metro 0 – Salerno – Spesso per parlare del presente appare appropriato richiamare il passato e, in particolare, richiamare quel passato in cui uomini saggi hanno saputo indirizzare, proprio, l’odierno presente. Cogliendo, a loro modo, addirittura, nell’attimo di un istante il senso della sfida ad un futuro che meritava di essere esplorato, in nome di una conoscenza da acquisire e destinare a posteri capaci di raccogliere, della sfida, esiti e scoperte.
A riferire, in prima persona, i contorni della scena della sfida è lo stesso protagonista, che racconta di uno sguardo, lanciato dal proscenio di una veduta napoletana e proteso all’orizzonte a scrutare, in lontananza, la sagoma dei Monti Lattari. Corre l’anno 1876 e l’uomo che racconta è Giustino Fortunato, già col piglio del meridionalista, ma a sua insaputa. Manca, infatti, ancora lo scranno nel Parlamento dell’Italia, appena unita, per sollevare, come farà, la questione economica e sociale del Mezzogiorno d’Italia. Cui il tempo definirà, con iconico appellativo, la questione meridionale. Al momento nel suo immaginario, di esploratore dell’Appennino meridionale, è riflessa solo una scena – sognata – che lui stesso trasformerà, nell’anno successivo, in vero e proprio scenario d’avventura. Da vivere nel presente e far convivere nel futuro, come il seguito della vicenda ci dirà. Nasce così, da un sogno, l’Alta via dei Monti Lattari. Sogno smisurato. Come smisurata è l’ambizione di percorrerne il crinale più elevato (“perché mai non percorrerla da un capo all’altro, d’in su le creste ineguali della sua ossatura principale?”), partendo dalle pendici montane del massiccio a Cava dei Tirreni per arrivare ai piedi che la montagna bagna nelle acque marine della Punta della Campanella a Massa Lubrense. Basteranno tre giorni di intenso cammino per ultimare la traversata e far sì che la realtà si sostituisca all’immaginazione, di uno studioso che, da lì a poco, interpreterà le battaglie parlamentari per la denuncia delle arretratezze del mezzogiorno d’Italia. Questa la storia fatta e scritta da Giustino Fortunato e di cui si fa memoria, oggi, grazie all’idea di volenterosi giovani che rievocando, da Cava dei Tirreni a Punta Campanella, a metà del mese di ottobre, il cammino del vate del meridionalismo, indossano abiti d’epoca ed affrontano quel pezzo di storia che lega i Monti Lattari al più ampio cammino percorso dal Fortunato, lungo l’appennino meridionale. E, al contempo, lungo uno scenario che appare, all’odierno camminatore, una interessante occasione per il “solvitur ambulando” (si risolve camminando), secondo l’insegnamento lasciato da Diogene di Sinope.
L’Alta via dei Monti Lattari, nota nella cartografia come sentiero 300, quindi, è molto di più di un algido numero, ma l’emblema di un paesaggio che fa di un frammento di meridione, l’apice di una bellezza universale, cui il mondo tributa ammirazione e meraviglia, inducendo nella lontananza del ricordo, la nostalgia del perenne ritorno. Complimenti, a Giovanni, Daniele, Angelo ed a tutti coloro i quali, insieme a loro, testimoniano la splendida storia dell’Alta via dei Monti Lattari, alimentandone l’incessante memoria in quanti, ponendosi nel solco della memoria, inseguono la propria vita, partendo da una storica suggestione.