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Guerra, epidemie, cataclismi: come gestire l’angoscia esistenziale

Guerra, epidemie, cataclismi: come gestire l’angoscia esistenziale

K metro 0 – Roma – L’incalzare di eventi catastrofici, dalla pandemia alla guerra agli estremi climatici, provoca ormai uno stato di angoscia permanente. Non più legato a un pericolo imminente presto scongiurabile. Un’angoscia sempre più diffusa. Una sola occhiata ai titoli di giornali e TG basta a suscitare preoccupazione per il futuro della nostra

K metro 0 – Roma – L’incalzare di eventi catastrofici, dalla pandemia alla guerra agli estremi climatici, provoca ormai uno stato di angoscia permanente. Non più legato a un pericolo imminente presto scongiurabile.

Un’angoscia sempre più diffusa. Una sola occhiata ai titoli di giornali e TG basta a suscitare preoccupazione per il futuro della nostra stessa esistenza.

Sulla scia della pandemia di Covid-19, abbiamo assistito a focolai internazionali di vaiolo delle scimmie. L’invasione russa dell’Ucraina ha aumentato il rischio di una guerra nucleare globale. E gli eventi meteorologici estremi hanno fatto riemergere la dura realtà dell’emergenza climatica.

È naturale chiedersi se l’ansia suscitata da questi titoli quotidiani possa plasmare il modo in cui pensiamo e agiamo. La risposta di David Robson, noto divulgatore scientifico della BBC, è che sembrerebbe proprio di sì.

Oltre a farci sentire depressi e stressati, i continui promemoria delle minacce incombenti possono farci diventare più chiusi e dogmatici. E più suscettibili alle teorie complottiste, come antidoto all’incertezza.

Ma può esistere anche un contravveleno allo stato emotivo doloroso e oppressivo dell’angoscia esistenziale. Possiamo incanalarla in modo più costruttivo in attività creative.

Possiamo imparare a gestirla. La “teoria della gestione dell’angoscia esistenziale”, emersa alla fine degli anni ’80, riguardava principalmente la crisi esistenziale più basilare – i pensieri sulla nostra stessa morte – che, secondo gli psicologi, ci avrebbero portato a cercare conforto nella nostra identità e cultura di gruppo.

Sentirsi parte di qualcosa più grande di noi – come la nostra nazionalità, la nostra religione o il nostro credo politico – può dare un senso alle nostre vite, rendendo il pensiero della morte meno spaventoso.

Uno studio ha scoperto che le persone diventano sempre più dogmatiche dopo eventi, come malattie gravi, che le portano a riconoscere la vulnerabilità dell’esistenza.

Un altro metodo per chiarire gli effetti dell’angoscia esistenziale consiste nell’analizzare le reazioni delle persone alle crisi globali utilizzando grandi insiemi di dati ricavati dai siti web dei social media.

Da una ricerca condotta da Almog Simchon, nell’ambito del suo dottorato di ricerca presso la Ben-Gurion University in Israele sotto la supervisione dello psicologo sociale Michael Gilead, sono emersi risultati molto interessanti.

Il suo obiettivo era capire come cambiano gli atteggiamenti delle persone in risposta alla minaccia esistenziale degli atti terroristici, attraverso analisi testuali di oltre 2,5 milioni di tweet tra il 2016 e il 2018. Questo periodo includeva la sparatoria al nightclub Pulse, un locale gay di Orlando, in Florida, nel giugno 2016 (49 morti, 58 feriti, uno degli eventi terroristici con più morti negli USA dopo l’11 settembre 2001), la sparatoria all’aeroporto di Fort Lauderdale in Florida nel gennaio 2017 (5 morti, 13 feriti) e l’attentato (rivendicato dall’ISIS) alla Manchester Arena nel maggio 2017 (22 morti e un centinaio di feriti durante il concerto della cantante statunitense Ariana Grande).

Per misurare le opinioni delle persone in questo periodo, Simchon ha utilizzato alcuni classici indicatori linguistici di certezza – come “assolutamente”, “mai”, “chiaramente, “estremamente” o “innegabile”.

Termini che “non lasciano spazio alle sfumature”, ha spiegato Simchon. Calcolando la loro frequenza nelle regioni più immediatamente colpite dagli attentati, ha notato un aumento significativo – di oltre il 20% – della certezza linguistica delle persone a seguito di ciascuno degli eventi. Sebbene le sue analisi non abbiano esaminato i tweets delle persone, sembrava che le loro convinzioni, in generale, stessero diventando più dogmatiche e meno sfumate in risposta all’evento.

Per replicare la sua scoperta, Simchon ha esaminato gli effetti della pandemia di Covid-19. Concentrando questa volta la sua analisi su 800.000 tweet, pubblicati tra il 25 febbraio e il 15 aprile 2020 a New York, lo Stato americano con il più alto tasso di mortalità.

Come previsto, ha riscontrato un forte aumento degli indicatori linguistici di certezza mentre le persone affrontavano il pericolo quotidiano del contagio, da cui si arguiva un aumento di atteggiamenti più dogmatici.

Quando leggiamo notizie di eventi angoscianti, questo ci rammenta la fragilità della nostra esistenza, per cui cercheremo di ignorare le sfumature che potrebbero aumentare l’incertezza, trovando invece conforto nell’esprimere opinioni inequivocabili “in bianco e nero” che riaffermano la nostra identità culturale e la nostra visione del mondo.

Lo stesso discorso vale anche per le teorie complottiste, che possono ridurre l’angoscia esistenziale fornendo una facile spiegazione dei pericoli.

È una triste ironia che queste risposte istintive alla minaccia esistenziale siano spesso controproducenti e ci impediscano di affrontare i pericoli.

Fortunatamente, possiamo però incanalare la nostra angoscia esistenziale in modo più costruttivo, come dimostrano molte persone che riescono a trasformare naturalmente i sentimenti di disperazione in atti di creazione.

Come in economia esiste il fenomeno della “distruzione creatrice”, spiegato da Schumpeter, anche in piscologia sociale esiste quello della “disperazione creativa”. Le persone compiono cioè sforzi creativi per sedare la loro angoscia esistenziale, mentre cercano di fornire un contributo significativo al mondo circostante. Questo conforto potrebbe derivare dalla consapevolezza che aiutando, ad esempio, altre persone, avvantaggiano la società nel suo insieme con i loro sforzi innovativi.

Una recente ricerca, condotta da Yu-Xin Cui e dai suoi colleghi dell’Università cinese di Nankai durante la pandemia di Covid-19, ha scoperto che chiedere ai partecipanti di fornire idee per raccogliere fondi per un ente di beneficenza tendeva ad alleviare le ansie delle persone per l’aumento del numero di vittime.

Guardando indietro alla pandemia, possiamo ricordare molti esempi di creatività durante le crisi: come l’esplosione di murales nelle grandi città che celebravano le persone che hanno perso la vita o i numerosi cantanti e complessi musicali che si esibivano in concerti gratuiti per rallegrare i loro fan.

In conclusione, invece di cercare conforto nelle teorie complottiste o in rigide opinioni, possiamo migliorare il mondo che ci circonda, attraverso l’arte, la musica o l’innovazione tecnologica.

Parafrasando lo slogan del governo britannico nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, “Keep Calm and Carry On” potremmo dire oggi “Keep calm and Create”.

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