K metro 0 – Parigi – Di male in peggio. Di mese in mese. Nei primi sei mesi del 2022 sono andati distrutti quasi 4.000 km quadrati di foresta amazzonica. Tre volte tanto rispetto al 2017. E più di tre volte la superficie di Roma, fa notare il WWF. E’ il quarto anno consecutivo con
K metro 0 – Parigi – Di male in peggio. Di mese in mese. Nei primi sei mesi del 2022 sono andati distrutti quasi 4.000 km quadrati di foresta amazzonica. Tre volte tanto rispetto al 2017. E più di tre volte la superficie di Roma, fa notare il WWF.
E’ il quarto anno consecutivo con un record di deforestazione nello stesso periodo. E ogni anno, il periodo da giugno a settembre è caratterizzato da un’impennata d’incendi nella più grande foresta tropicale del mondo. Un disastro ambientale causato dall’attività umana.
Mentre il Brasile, il paese in cui si estende la maggior parte di questa foresta fluviale, ha celebrato la Giornata dell’Amazzonia, il 5 settembre scorso, una “enorme nuvola di fumo e alte concentrazioni di anidride carbonica” coprivano il prezioso ecosistema, come documentano dal vivo le immagini di Copernicus, un programma di osservazione satellitare della Terra lanciata nel 1998 dalla Commissione Europea e da un pool di agenzie spaziali.
Un pennacchio di fumo che si estende per circa 4.000 km, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale.
La Giornata dell’Amazzonia, stabilita in Brasile dal 1850 per celebrare la creazione della provincia di Amazonas, ha dato origine in seguito all’attuale Stato con questo stesso nome. Ma in tempi più recenti ha iniziato ad essere commemorata in tutto il mondo per aumentare la consapevolezza sullo stato di degrado della foresta tropicale e le sue conseguenze a livello globale.
Quest’anno, in cui sta per scadere, in Brasile, il mandato del presidente Jair Bolsonaro, che punta alla rielezione, i dati della stagione 2022 (che va da agosto 2021 al luglio dell’anno in corso) raccolti dalla ONG brasiliana Imazon segnalano un peggioramento della deforestazione rispetto all’anno scorso. Solo del 3%. Ma va considerato che il 2021 è stato l’anno peggiore dal 2006…
Resta il fatto che la più grande foresta tropicale del pianeta è un territorio sul punto di essere spazzato via da pressioni economiche, politiche, ambientali e climatiche.
Dopo il peggior mese di agosto dal 2010, con 33.116 incendi (rispetto ai 28.060 dell’agosto 2021), l’Amazzonia inizia il mese di settembre in fiamme. L’Istituto brasiliano per la ricerca spaziale (INPE) ha già individuato 12.133 incendi nella regione, oltre il 70% del numero totale di incendi registrati per tutto settembre 2021. Incendi essenzialmente di origine umana, ha spiegato Jean-Pierre Wigneron, ricercatore dell’Inrae (l’istituo nazionale francese per la ricerca sull’agricoltura) a Marie-Adélaïde Scigacz di franceinfo.
“La foresta pluviale amazzonica è una foresta umida. Senza l’intervento umano, molto probabilmente ci sarebbero pochissimi incendi”, sostiene l’esperto. I focolai sono diffusi in tutta l’Amazzonia – un territorio a cavallo di otto paesi – e hanno colpito in particolare il Brasile.
Come spesso, è lo sviluppo economico a motivare queste distruzioni. A cominciare dallo sfruttamento agricolo – motore primo della deforestazione – e dalla silvicoltura: “Gli alberi più belli vengono abbattuti perché il loro legno viene venduto a un prezzo molto alto. Ciò che resta è poi di minor interesse economico. L’idea è quindi quella di bruciare la superficie per fare pascoli e colture come la soia”, riassume Wigneron.
Questi incendi per lo più criminali a scapito della foresta alimentano un’economia basata sulla distruzione di questo ecosistema. “Il settore agricolo è responsabile dell’84% della deforestazione. Le invasioni [della terra], così come gli incendi, sono correlati in modo diretto all’espansione dell’agricoltura”, secondo la ONG Amazon Watch. Questa attività sta gradualmente divorando la foresta, soprattutto in un’area che si estende dall’Oceano Atlantico al confine con la Bolivia.
Nel 2022 in un’altra regione agricola, denominata Amacro (al crocevia degli Stati di Amazonas, Acri e Rondonia), si è concentrato “il 40% degli incendi individuati dall’inizio dell’anno nell’Amazzonia brasiliana”, ha osservato Romulo Batista, portavoce di Greenpeace in Brasile.
Amazon Watch rileva che “nelle aree protette, i terreni agricoli si sono ampliati del 220% tra il 2001 e il 2018 e del 160% nei territori indigeni”. Gli incendi fanno anche parte di una strategia volta a cacciare le popolazioni indigene, impegnate in prima linea nella protezione di questo habitat e al centro di violenti conflitti territoriali.
“Dall’arrivo di Jair Bolsonaro alla guida del Brasile, il tasso di deforestazione è quadruplicato”, spiega Pierre Cannet, direttore delle campagne di WWF Francia.
Il presidente (di estrema destra) ha indebolito gli organismi di monitoraggio dell’Amazzonia e incoraggiato le attività estrattive e agricole nelle aree protette. Così “i criminali operano impunemente”.
Ma per Pierre Cannet, “questi incendi sollevano anche interrogativi sul nostro stesso consumo e sulla responsabilità dei nostri leader”. Al termine della filiera, i consumatori europei beneficiano, attraverso prodotti importati, del frutto della distruzione della foresta amazzonica.
Gli eurodeputati voteranno anche il 13 settembre su una legge contro la deforestazione. Il testo sottolinea, tra l’altro, “l’obbligo di riferire su questo legame tra la deforestazione e i prodotti che importiamo”, dal legno brasiliano che troviamo nei negozi di bricolage, alla soia per sfamare gli allevamenti, alla carne di manzo che a volte troviamo nei nostri piatti.
La siccità, poi, aggrava gli incendi provocati dall’uomo. Più aumenta, più gli incendi si diffonderanno, anche involontariamente, in aree che inizialmente non avrebbero dovuto essere bruciate.
E la massiccia trasformazione di queste terre, passate dai boschi ai pascoli, contribuisce all’aumento della siccità favorita dal riscaldamento globale.
Facendo spazio a nuovi usi, come il pascolo, la regione ora emette più carbonio di quanto ne catturi. Con un impatto diretto su di noi, che si tratti delle nostre ondate di caldo o della nostra capacità di nutrirci”, conclude Pierre Cannet, del WWF.
Un altro studio, pubblicato sull’autorevole rivista scientifica “Nature” ha calcolato che l’Amazzonia produce 1 miliardo di tonnellate di CO2 l’anno. In altri termini, il degrado è già arrivato a un punto tale da trasformare quello che era il “polmone verde del pianeta” in un contributore netto di gas serra. E già un anno fa, lo IUCN (la più grande organizzazione conservazionista al mondo) aveva ufficialmente chiesto di proteggere almeno l’80% della foresta entro il 2025, spiegando che solo una misura di questa portata può tutelare in modo adeguato una delle regioni a maggior biodiversità del pianeta.