K metro 0 – Parigi – In Francia, come nel resto d’Europa, nulla sembra fermare l’aumento dei prezzi. In un anno il costo della benzina è aumentato del 35,9%, quello del gasolio del 45,9% e quello del gas del 49,3%. Anche per i generi alimentari salgono i prezzi: +6,6% pane e cereali, +17,7% olio. Dati
K metro 0 – Parigi – In Francia, come nel resto d’Europa, nulla sembra fermare l’aumento dei prezzi. In un anno il costo della benzina è aumentato del 35,9%, quello del gasolio del 45,9% e quello del gas del 49,3%. Anche per i generi alimentari salgono i prezzi: +6,6% pane e cereali, +17,7% olio. Dati confermati in uno studio pubblicato, il mese scorso, dall’Istituto Nazionale per gli Studi Statistici ed Economici francese, INSEE: il quale avvertiva che i “prezzi dell’energia stanno accelerando a giugno”.
Nel corso d’un dibattito all’Assemblea Nazionale sull’esame del disegno di legge sul potere d’acquisto, la questione dell’inflazione ha indotto Adrien Quatennens, deputato de La France insoumise, a reagire con forza. Invitato su BFMTV, il parlamentare sovranista ha additato i responsabili, secondo lui, di questa impennata: “l’aumento dei prezzi (…) è dovuto in gran parte alla speculazione (…) dei grandi gruppi“. Quatennens non ha specificato i gruppi industriali presi di mira, né la fonte della sua analisi. Franceinfo ha intervistato vari economisti per verificare l’esattezza delle sue affermazioni.
In tema economico va precisato che la speculazione, entro certi limiti, è un comportamento comune sui mercati. Se un impianto di fertilizzanti petrolchimici ha bisogno di petrolio per produrre i suoi fertilizzanti, potrebbe voler proteggersi da un rialzo dei prezzi con un contratto futures, ovvero il diritto di acquistare un barile per diversi mesi a un prezzo fisso. In questo caso, la fabbrica specula: acquista petrolio a un prezzo diverso da quello del mercato attuale per essere certa del prezzo che pagherà per la sua materia prima.
“Questa si chiama operazione di copertura che ha una logica industriale“, spiega Jacques Percebois, professore all’Università di Montpellier e direttore del Centro di ricerca in economia e diritto dell’energia (Creden). “Se penso che il prezzo del petrolio salirà in futuro a 130 dollari, otterrò più petrolio“, ad esempio con un contratto future che dà diritto ad acquistare un barile a 110 dollari con consegna in tre mesi. “Questa operazione farà salire i prezzi, ma mi permetterà di coprirmi da un prezzo futuro più alto, come le assicurazioni “, ragiona l’economista.
Ma i produttori non sono gli unici speculatori sui mercati delle materie prime. Gli investitori, come banche o fondi, acquistano anche petrolio o generi alimentari con il solo scopo di realizzare un profitto sulla rivendita. Una speculazione essenzialmente finanziaria. Se l’azione degli investitori consente di garantire la liquidità dei mercati, cioè la possibilità di trovare facilmente un acquirente o un venditore, essi sollevano però il sospetto di speculazioni svincolate dalla vita economica reale.
In queste condizioni, è logico incriminare la speculazione di grandi gruppi per spiegare l’attuale inflazione? In altre parole, i produttori stanno organizzando una carenza di prodotto per aumentare artificialmente i prezzi di vendita? La questione divide gli economisti, perché i comportamenti speculativi non sono esattamente gli stessi a seconda dei settori interessati, che si tratti del mercato alimentare o dei prodotti petroliferi, ad esempio.
Il mercato petrolifero non si abbandona a speculazioni puramente finanziarie, dice Percebois. Per lo specialista, i gruppi petroliferi cercano principalmente di proteggersi dalle fluttuazioni dei prezzi. A differenza di Adrien Quatennens, l’economista vuole però essere cauto: “Possiamo misurare il grado di speculazione e il suo effetto sull’aumento dei prezzi solo a posteriori e sarà necessario fare degli studi per analizzarlo”.
Perché non si può escludere del tutto un effetto della speculazione sulla volatilità dei prezzi del petrolio. “Potrebbe amplificare i movimenti al rialzo e al ribasso” dei prezzi, assicura Carine Sebi, specialista in energia e professoressa alla Grenoble Ecole de Management (GEM). Secondo un rapporto del Senato francese del 2005, “la speculazione rappresenta il 10-20% del prezzo del petrolio, che non è trascurabile”.
Il mercato dei cereali, d’altra parte, sembra ancora più sensibile alla manipolazione dei prezzi rispetto a quello petrolifero. Secondo Olivier De Schutter, autore di un rapporto sul diritto al cibo all’Onu e membro di Ipes-Food, una giuria di esperti sulle questioni alimentari, sul mercato c’è davvero una speculazione. De Schutter denuncia la responsabilità delle società commerciali che mediano tra produttori e acquirenti di cereali. “I commercianti di cereali sono un piccolo numero di società altamente concentrate che controllano il 75-80% del commercio“, afferma.“Possono ritardare le vendite, accumulare scorte e, attraverso i loro atti di acquisto e vendita, speculare su prezzi alimentari più elevati per creare una sorta di scarsità”.
Un’analisi respinta, però, da Philippe Chalmin, economista liberale e presidente dell’Osservatorio sulla formazione dei prezzi e dei margini dei prodotti alimentari. Collegare la speculazione all’inflazione è fortemente errato, afferma. “Ci sono stati molti studi per valutare l’effetto della speculazione sui mercati. Hanno dimostrato che nel medio termine non c’è stato alcun impatto in termini di incidenza sui prezzi, o addirittura, al contrario, un impatto correttivo”. Un rapporto pubblicato nel 2011 dalla Commissione Affari economici dell’Assemblea nazionale conferma “che non è stato possibile stabilire un legame sistematico tra speculazione e formazione dei prezzi a lungo termine”.
Nonostante l’assenza di studi che dimostrino la manipolazione dei prezzi da parte degli speculatori, le ONG comunque rimangono preoccupate e chiedono una maggiore regolamentazione sui mercati alimentari. “La mancanza di prove scientifiche recenti sull’impatto della speculazione eccessiva sui prezzi dei generi alimentari non giustifica l’assenza di un intervento politico“, insiste Thomas Braunschweig, esperto di politica commerciale presso l’ONG Public Eye. intervenendo sulla testata svizzera La Vie économique.
In sintesi, è difficile essere determinati nelle proprie affemazioni come Adrien Quatennens. Finora, nessuno studio ha stabilito un legame indiscutibile tra l’aumento dei prezzi delle materie prime e la speculazione aziendale. Ma alcuni mercati, come quello dei cereali, mostrano effettive vulnerabilità in termini di manipolazione dei prezzi.
Un esame più tecnico e meno politicamente motivato parte dall’andamento delle scorte che, come sostiene il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, dovrebbero aumentare con l’aumento dei prezzi e ridursi con la loro riduzione perché fosse convalidata l’ipotesi di un ruolo decisivo degli speculatori. Roger Bootle, di Capital Economics, autore del saggio “La morte dell’inflazione”, ha osservato a suo tempo che fra l’inizio del 2003 e la metà del 2006 sono cresciute sia le scorte di petrolio nei Paesi industriali sia il prezzo del greggio (da 20 dollari al barile a 80, allora un record).
Nella seconda metà del 2006, entrambi sono calati. Dove i due movimenti hanno iniziato a non combaciare più, tuttavia, è stato proprio nel periodo di impennata delle quotazioni a partire dall’inizio del 2007, quando si è cominciato a puntare il dito contro gli speculatori, divenuti poi nel 2008, con la crisi mondiale seguita al crollo della Lehman Brothers: in questo periodo le scorte sono state in progressivo calo, seppur moderato, e non in ascesa, come vorrebbe la teoria anti-speculazione.