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Il genocidio di Srebrenica commemorato a Belgrado contro il negazionismo delle autorità serbe

K metro 0 – Belgrado – 11 luglio 2022. Lo spettro del massacro di Srebrenica è tornato ad aleggiare a Belgrado, nel 27esimo anniversario del genocidio di uomini e ragazzi bosgnacchi (musulmani bosniaci) avvenuto nel luglio 1995 durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina. A partire dalle ore 18, i nomi delle 8.372 vittime, con

K metro 0 – Belgrado – 11 luglio 2022. Lo spettro del massacro di Srebrenica è tornato ad aleggiare a Belgrado, nel 27esimo anniversario del genocidio di uomini e ragazzi bosgnacchi (musulmani bosniaci) avvenuto nel luglio 1995 durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina.

A partire dalle ore 18, i nomi delle 8.372 vittime, con le loro date di nascita, hanno fluttuato intorno al Parlamento della Serbia, a Belgrado, ricordando loro la loro assenza.

Un’opera digitale di Mia David che ha proiettato quei nomi visibili tutt’intorno all’Assemblea nazionale, per circa due ore.

“La vita è ciò di cui i morti sognano” è il titolo del suo progetto digitale, presentato dal Forum tedesco ZFD, dall’Associazione Indipendente dei Giornalisti della Vojvodina (NDNV) e dall’Iniziativa dei giovani per i diritti umani in Serbia (YIHR).

Nessuna istituzione serba ha fatto i conti con la storia per questo crimine, nemmeno nel 27° anniversario del genocidio. E non è di grande consolazione il fatto che l’ambasciata serba a Sarajevo, abbia abbassato la bandiera a mezz’asta.

“È un crimine terribile, ma non un genocidio”, è ancora oggi la posizione ufficiale delle autorità serbe.

Ma il “monumento digitale di Mia David, sostiene Marko Milosavljević dell’Iniziativa Giovani per i diritti umani “è significativo perché ricorda, nonostante il negazionismo dello Stato serbo, le persone specifiche che sono state uccise nominandole sopra e intorno all’edificio dell’Assemblea nazionale. Il luogo in cui si troveranno i nomi è un luogo di responsabilità dello Stato perché non esiste Serbia democratica senza riconoscimento istituzionale e rimpianto per le vittime del genocidio“, ha detto Milosavljević.

Le attuali autorità non hanno ancora deciso di rimuovere il murale del criminale di guerra Ratko Mladić nel centro di Belgrado, nonostante le ripetute richieste dei giovani attivisti per i diritti umani e l’appello del Parlamento affinché sia definitivamente cancellato.

Nel centro commemorativo di Srebrenica-Potočari, alle celebrazioni del 27esimo anniversario del genocidio, ancora una volta le autorità serbe erano assenti, mentre venivano sepolti i resti di altre 50 vittime identificate di Srebrenica, riesumati dalle fosse comuni.

La vittima più giovane sepolta quest’anno è Salim Mustafić, che aveva 16 anni nel luglio 1995. Oltre a Salim, sono stati sepolti altri due minori che avevano solo 17 anni al momento della loro morte: Vahid Smajlović (1978) ed Elvir Muminović (1978).

La vittima più anziana sepolta l’11 luglio a Potočari è Husejin Krdžić, nato nel 1936.

La preghiera funebre è stata guidata dal reisul-ul-ulema: il Gran Muftì della comunità islamica in Bosnia ed Erzegovina, Husein Kavazovic.

“Questo è un giorno di tristezza e di dolore eccessivo”, ha detto l’Imam. “Possa il nostro debito di fede essere riempito con il costante ricordo di questo male che è stato fatto al nostro popolo e possa risvegliare in noi la forza e la determinazione per opporvisi e sconfiggerlo in futuro”.

Oggi Srebrenica si trova all’interno della Repubblica Srpska, a maggioranza serba, una delle due entità (l’altra è la Federazione croato-musulmana) in cui è divisa la Bosnia dopo gli accordi di Dayton del novembre 1995.

Espugnata l’enclave di Srebrenica i serbi conquistarono oltre il 60% della Bosnia. E il massacro dei musulmani bosniaci, compiuto in questa città fra il’11 e il 18 luglio 1995, fu un atto di pulizia etnica, definito come “genocidio” nella sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2007, essendo stato commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi (i musulmani di Bosnia).

Srebrenica, dichiarata dall’ONU “zona protetta” si trovava sotto la tutela di un contingente olandese dell’UNPROF (una forza d’intervento militare delle Nazioni Unite) che non intervenne a difesa dei bosgnacchi, massacrati dall’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladić, appoggiati dal gruppo paramilitare degli “Scorpioni”.

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