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Intervista a Bruno Scapini, vincitore per la narrativa edita del Premio Intercontinentale di Arte Letteraria Le Nove Muse

Intervista a Bruno Scapini, vincitore per la narrativa edita del Premio Intercontinentale di Arte Letteraria Le Nove Muse

K metro 0 – Venezia – Bruno Scapini già multipremiato con le precedenti sue opere, conferma ancora una volta la particolare attualità delle tematiche proposte. In particolare nel suo ultimo romanzo l’autore presenta con convincente realismo l’ipotesi di utilizzare lo Spazio quale nuovo luogo di confronto per fini di militarizzazione di tre super potenze: USA,

K metro 0 – Venezia – Bruno Scapini già multipremiato con le precedenti sue opere, conferma ancora una volta la particolare attualità delle tematiche proposte. In particolare nel suo ultimo romanzo l’autore presenta con convincente realismo l’ipotesi di utilizzare lo Spazio quale nuovo luogo di confronto per fini di militarizzazione di tre super potenze: USA, Russia, Cina. Un romanzo appena uscito, presentato per la prima volta a Roma nello scorso mese di maggio, eppure “SOMNIUM, Urla dall’Universo”, edito da Calibano Editore, si è già aggiudicato il primo posto per la narrativa edita conquistando nell’edizione 2022 l’unanime verdetto della Giuria del prestigioso Premio Intercontinentale di Arte Letteraria Le Nove Muse.

Come afferma lo stesso autore “Somnium vuole essere un azzardo fantapolitico e al tempo stesso un romanzo in cui si trovano riuniti, creando una trama indubbiamente avvincente, fantasia e realtà, ambizioni e debolezze, speranza e amore” . L’opera è cronologicamente la quarta dopo Operazione Achtamar; Arktikos – La scacchiera di ghiaccio e Artsakh-Confessioni sulla linea di contatto. Per conoscere meglio Bruno Scapini, al di là di quanto esprime nelle sue opere gli abbiamo rivolto alcune domande.

Intervista di Maria Grazia De Angelis

L’ispirazione a scrivere è nata dopo che ha lasciato la Carriera Diplomatica o era già da prima sotto traccia?

E’ una bellissima domanda, questa, per iniziare un’intervista, perché mi offre l’opportunità di parlare un po’ di me e spiegare i motivi che mi hanno portato ad intraprendere la nuova strada dello scrittore. Innanzitutto vorrei aprire una premessa: scrivere per un diplomatico di carriera è decisamente una componente essenziale del suo lavoro. Il diplomatico, infatti, ha per compito istituzionale proprio quello di osservare la realtà politica, economica, sociale e culturale del paese in cui è inviato e riferire, conseguentemente e con frequenza perfino giornaliera, al proprio Governo per fornirgli elementi informativi e proprie valutazioni che valgano a indirizzarlo verso le decisioni più opportune da adottare in tema di politica estera e di cooperazione. Se poi a questo aspetto, che definirei “tecnico”, si aggiunge la dote di cui un diplomatico può disporre nel rendere la propria attitudine allo scrivere gradevole per il lettore, che dire? Allora ci troviamo verosimilmente di fronte non solo ad un diplomatico, ma anche ad uno scrittore al quale manca soltanto l’occasione per trovare una nuova via all’espressione.

Questa occasione quando le è apparsa all’orizzonte?

E’ stato esattamente nel 2018 quando, rileggendo per caso una breve annotazione da me scritta anni addietro sulle impressioni avute guardando lo straordinario paesaggio dell’Armenia, ebbi l’idea di iniziare un romanzo partendo proprio dalle parole di quella annotazione. E’ nata così la mia opera prima, “Operazione Akhtamar”. Un romanzo con cui ho voluto trattare, seppure indirettamente, attraverso una avvincente trama di fantasia, il tema del Genocidio armeno del 1915 perpetrato dalla Turchia ottomana, ma che oggi Ankara si ostina ancora a non riconoscere.

Per tornare quindi alla Sua prima domanda, devo ammettere che probabilmente la vena narrativa doveva già esistere in me durante la Carriera, ma aspettava soltanto l’occasione giusta per palesarsi e rendersi credibile. Sottolineo “credibile” perché proprio in questa mia nuova esperienza ho potuto notare quanto differente sia lo scrivere un rapporto diplomatico dalla narrativa di un romanzo. La tecnica fraseologica, l’impostazione dei dialoghi, il modo di descrivere e lo stesso approccio alla introspezione dei fatti e dei personaggi sono tutti aspetti di un impegno dello scrittore a spogliarsi del vecchio abito professionale per indossarne uno nuovo: quello della libera acquisizione di nuovi modi dell’espressione.

La conoscenza delle dinamiche diplomatiche quanto la si ritrova nei suoi romanzi?

Per quanto mi riguarda, anche se lascio nei miei romanzi un rilevante spazio alla creatività e alla fantasia, ammetto che molto debbo alla mia personale esperienza diplomatica, e questo si rivela soprattutto là ove la trama si sviluppa, intrecciandosi in un articolato quadro di eventi politici in cui sia i contesti, sia i personaggi debbono riflettere la realtà delle situazioni rappresentate e gli stati d’animo del momento. Quando nei miei romanzi si descrivono i dialoghi tra uomini di Stato (come per esempio nello Studio ovale della Casa Bianca o al Cremlino o in altra sede governativa ), o gli interventi nelle sedi internazionali o ancora i passi diplomatici effettuati dai Governi, ecco che la mia personale conoscenza affiora e spinge oltre la mia penna per portare il lettore di fronte ad una realtà in fondo poco conosciuta, al di là del quotidiano, forse estranea ai più, quale può essere per l’appunto il sofisticato mondo della diplomazia.

I Suoi libri possono essere definiti di fantapolitica, ma a ben guardare sono molto più vicini alla realtà di quanto si possa immaginare. E’ questa forse una strategia per raccontare anche fatti scomodi?

Azzardi romanzeschi potrebbero essere definite le trame dei miei romanzi. Una sorta di lotta intima tra l’elemento fantastico e quello realistico, in cui talvolta l’uno prevale sull’altro, ma che più spesso, accavallandosi e intrecciandosi in una teoria di episodi e di accadimenti sorprendenti, fanno in modo che l’illusione creata dal racconto possa trovare il proprio spazio epistemico e creativo in una denuncia capace di trascinare il lettore verso la conoscenza della verità senza però nulla togliere al fine ludico e coinvolgente che una narrazione romanzata deve, a mio avviso, sempre garantire. E’ il modello in fondo che ho scelto per le mie opere: raccontare una trama di invenzione, ma inserendola in un contesto di riferimenti storici, politici, geografici e culturali veri e reali. Lo scopo? Quello di denunciare fatti o situazioni critiche attraverso lo strumento concettuale della “plausibile finzione”.

Ci può parlare dei riconoscimenti ottenuti e dei premi vinti con le Sue opere?

A questo riguardo mi viene immediatamente alla memoria l’emozione che provai nell’apprendere la notizia del primo premio assegnato al mio romanzo del 2018 “Operazione Akhtamar”, opera prima. Era la prima volta in assoluto che mi era stato tributato un tale rilevante riconoscimento. Il mio romanzo era risultato primo classificato al Premio “Golden Books Awards” dell’Accademia degli Artisti di Napoli. Da allora molti altri premi sono seguiti sia per lo stesso romanzo, sia per gli altri pubblicati successivamente. E tra questi vorrei ricordare quelli che mi hanno dato forse più soddisfazione, sia per il livello del riconoscimento assegnatomi, sia per il prestigio rivestito dallo stesso concorso letterario. Ne cito alcuni: lo storico Premio Casentino, il Premio Internazionale Lord Byron, il Premio dell’Accademia di Arte Moderna di Roma, lo Switzerland Literary Prize, Milano Metropoli, il Premio La Ginestra di Firenze, il Premio Salvatore Quasimodo, Le Ragunanze di Roma, il Premio Città di Latina e, da ultimo, il Premio Intercontinentale di Arte Letteraria Le Nove Muse.

I riconoscimenti ricevuti come l’hanno maturata come uomo e come scrittore?

Indubbiamente credo di aver collezionato un bel numero di riconoscimenti, soprattutto se penso ai pochi anni che mi separano dalla mia opera prima del 2018. Ma al di là di ogni considerazione sul grado di soddisfazione che ho ottenuto in termini di successo, sono convinto che il valore dei premi assegnatimi risieda più che altrove nella capacità stimolante che il giudizio di una qualificata giuria letteraria può avere per la crescita e la maturazione di un autore. Il verdetto dei giurati, infatti, agisce, esprimendosi attraverso la selezione valutativa delle opere, sulla formazione stessa dello scrittore, ne plasma la personalità inducendolo con le motivazioni ad arbitrare continuamente tra le varie opzioni espressive dell’Arte contribuendo in tal modo a costruirne l’identità. Quest’ultimo, a mio parere, è forse l’effetto più sorprendente di un riconoscimento letterario. E’ come se la Giuria disponesse di una sorte di sacrale potere strutturante per la edificazione identitaria dello scrittore. E in questo credo consista il grande valore dei premi letterari, al di là naturalmente del prezioso loro contributo alla promozione ed evoluzione dell’Arte per adeguarne i modi di espressione ai valori dei tempi.

Nel Suo ultimo romanzo, Somnium, si spinge nello Spazio. Qual è stata in questa specifica Sua opera la fonte di ispirazione?

Forse proprio in questo romanzo, Somnium, si riflette un mio intento autobiografico. Ma attenzione! Non nel senso che mi identifico, per raccontare la mia storia, nel suo protagonista, Timothy Sanders, un appassionato ricercatore astrofisico, nonché aspirante astronauta. Direi, però, che mi identifico nelle passioni, nei sentimenti del personaggio, nel suo desiderio di conoscenza per trovare una risposta alle astruse domande sui grandi misteri dell’Universo e delle leggi che lo governano. E anzi, al riguardo ammetto, non senza una dose di fierezza, di aver tratto ispirazione proprio da questa mia personale passione che ho nutrito fin dalla più giovane età, quando, trovatomi a dover scegliere quale indirizzo intraprendere all’Università, optai istintivamente per la facoltà di Fisica. Un sogno purtroppo durato solo alcuni mesi, quando, accortomi dell’insanabile divario tra gli elementi di matematica posseduti e quelli richiesti, dovetti fare un passo indietro lasciando che la mia passione divenisse stima e ammirazione per altri uomini, per quanti, scienziati e astrofisici, siano riusciti nel loro intento di proseguire sulla strada della ricerca dando realizzazione ad uno dei sogni più ambiti dell’Umanità: la conquista dello Spazio.

Le parole di Scapini ci fanno riflettere su come, al di là della fascinazione che lo studio del cosmo e dei corpi celesti inevitabilmente porta con sé, si è aggiunta, più recentemente, anche il timore manifestato da più fonti, che proprio lo Spazio extraterrestre possa divenire in un futuro purtroppo non lontano, un altro teatro di scontro tra superpotenze dagli esiti inimmaginabili. La possibilità di una sua militarizzazione, infatti, alla luce dei più recenti sviluppi della “Big Science” e delle tecnologie che ad essa si connettono, sembrerebbe oggi un’ipotesi realistica.

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