K metro 0 – Roma – “Anche quest’anno, il 24 aprile, noi, italiani di origine armena ed armeni in Italia, uniti in un’unica voce con le organizzazioni che ci rappresentano, facciamo memoria del Genocidio subito dagli armeni, nel 1915, ad opera dell’Impero ottomano”. E’ quanto dichiarano, in un comunicato congiunto, i rappresentanti di Unione Armeni
K metro 0 – Roma – “Anche quest’anno, il 24 aprile, noi, italiani di origine armena ed armeni in Italia, uniti in un’unica voce con le organizzazioni che ci rappresentano, facciamo memoria del Genocidio subito dagli armeni, nel 1915, ad opera dell’Impero ottomano”. E’ quanto dichiarano, in un comunicato congiunto, i rappresentanti di Unione Armeni d’Italia, Unione Talenti Armeni d’Italia e altre associazioni armene, o per i rapporti tra Roma e Yerevan, di Roma, Milano, Padova, Napoli e altre città italiane.
“In un contesto internazionale quale quello attuale, così segnato da instabilità ed incertezza”, prosegue il comunicato, “ci rivolgiamo ai cittadini, ai media e alle Istituzioni sentendo il dovere di un impegno che si rinnova: non solo nel rievocare la tragedia che ha travolto il destino del popolo armeno 107 anni fa, ma anche nel richiamare le urgenze e le sfide che quel ricordo, ancora da troppi ignorato, impone oggi sul presente”. È “una sfida di coraggio, per leggere le conflittualità del presente ed affrontarle senza timori, avendo ben in mente la drammatica lezione del passato, coscienti che la posta in gioco è il nostro futuro, con i suoi valori di integrazione e difesa della propria identità. Per noi, che siamo orgogliosamente anche cittadini italiani, essi sono la vera eredità che proviene da chi ci ha preceduto, e possono diventare un patrimonio da condividere con la nazione in cui abbiamo scelto di vivere”.
ll “Medz Yeghern”, cioè il vero e proprio genocidio del popolo armeno compiuto, nel 1915 “e dintorni”, sotto l’accusa di spionaggio a favore dell’Intesa, dal Governo turco, rappresenta da sempre un’occasione di forti polemiche tra Yerevan ed Ankara. Che tuttora nega l’intenzionalità dello sterminio degli armeni: adducendo la responsabilità delle “marce della morte” di allora, verso le piu’ sperdute regioni dell’Impero ottomano, a semplici iniziative di comandi militari locali, non dirette dal potere di Istanbul. Per la verità, anche il Presidente turco Erdogan si è detto piu’ volte disposto ad aprire pienamente agli studiosi gli archivi pubblici dell’ex-Sublime Porta, ed anzi a creare, sul tema, una commissione mista di studiosi turchi e armeni: proposta, purtroppo, caduta nel vuoto.
In occasione appunto del 107mo anniversario del genocidio armeno, a Roma il Centro di Cultura francese “Institut francais”- Centre Saint Louis di Largo Toniolo, non lontano dal Senato, ha ripresentato al pubblico il film (uscito nelle sale italiane nel 2014, con “toccata e fuga”. dopo esser stato premiato alla mostra del Cinema di Venezia) “Il padre”. Straordinaria pellicola, opera del regista tedesco, d’origine turca, Fatih Akim: coproduzione multinazionale che affronta il tema del Medz Yeghern dallo specifico punto di vista d’un padre, il fabbro armeno Nazareth, giovane marito e padre di famiglia. Che, una notte dell’aprile 1915, vede la polizia turca fargli irruzione in casa (nella cittadina di Mardin), in una serrata “caccia all’armeno”. ‘L’ uomo (un grande Tamar Rahim, attore francese), nella confusione e nel caos viene separato dalla moglie e dalle 2 figlie gemelle, che temerà perdute per sempre.
Scampato alle marce della morte, e fingendosi morto durante una sommaria esecuzione, Nazareth, da nuovo Odisseo, inizierà una “lunga marcia” che lo porterà, in cerca delle sue figlie, dal Medio Oriente sino a Cuba, e infine negli USA (la continua necessità di cambiare itinerario e mezzi di trasporto, in un’ epica ricerca, ricorda anche le peripezie del piccolo Marco Valesini in cerca della mamma nella sconfinata Argentina, eroe del celebre racconto deamicisiano ”Dagli Appennini alle Ande”). Alla fine Nazareth riuscirà a ritrovare una delle sue figlie nel North Dakota, pochi mesi dopo la morte dell’altra, nel 1923: l’anno in cui la Pace di Losanna fra Turchia e potenze dell’Intesa segna ufficialmente la nascita della nuova Turchia di Ataturk, liquidatore del regime dei sultani.
Il film ha preceduto anche “Gli uccelli persi” del 2016, prima pellicola sul genocidio armeno del 1915 prodotta, almeno parzialmente, dal Governo turco. E’ un tolstojano appello contro ogni guerra, e alla forza dell’Amore come “leit.motiv” della vita e motore primario delle azioni umane, da applicare anche in politica attraverso la sua traduzione in lotta nonviolenta. Akim scandaglia perfettamente la mente del protagonista: rievocando anche gli angoscianti sogni di Nazareth, che spesso si sveglia sudato e stravolto dall’illusione d’ aver improvvisamente ritrovato la sua famiglia. Non manca, infine, una citazione da “Il monello”, il mitico film di Chaplin del 1921: di cui Nazareth vede alcune tra le scene più toccanti.