K metro 0 – Roma – “Siamo alla canna del gas”. Si fa per dire… perché se la Russia chiude i rubinetti, di gas non ce ne resta neppure per il gesto estremo. Humour nero a parte, la situazione è seria. Ma non tragica, secondo Sergio Miotto, autorevole esperto del settore, direttore commerciale del Consorzio
K metro 0 – Roma – “Siamo alla canna del gas”. Si fa per dire… perché se la Russia chiude i rubinetti, di gas non ce ne resta neppure per il gesto estremo.
Humour nero a parte, la situazione è seria. Ma non tragica, secondo Sergio Miotto, autorevole esperto del settore, direttore commerciale del Consorzio concessioni Reti Gas, ed ex direttore di Confservizi International, una struttura creata negli anni ’90 per promuovere l’internazionalizzazione delle imprese italiane dei servizi pubblici locali (energia, ambiente, trasporti pubblici).
Intervista di Mario Baccianini
La domanda, molto seria, è: cosa accadrebbe se la Russia smettesse di rifornirci di gas?
“Cominciamo col dire che la nostra rete può arrivare a una capacità di entrata di 120 miliardi di mc3 di gas, mentre il consumo annuale è di circa 75 miliardi, qualche anno fa arrivava a 85-90 miliardi. In Germania la capacità di entrata, non è diversificata come la nostra. E non c’è nessun impianto di rigassificazione. In Italia ne abbiamo tre.
Nel 2021 l’Italia ha importato 72,7 miliardi di m3 di gas, a cui si aggiungono 4 miliardi di produzione propria. Il fabbisogno di importazione in questo momento viene coperto quasi interamente tramite gasdotti internazionali.
Abbiamo 9 punti di ingresso principali da cui l’Italia trae la maggior parte del gas che consuma: 6 da metanodotti e 3 da impianti di rigassificazione (del GNL) collegati con Russia, Nord Europa, Azerbaigian e Nord Africa.
Dalla Russia arrivano in Italia 25-26 miliardi di m3 ovvero il 40% del gas totale che importiamo. In Germania ne arrivano 43 miliardi di m3, equivalenti al 51% del suo import”.
Se viene a mancare il gas russo, perché Mosca chiude i gasdotti o perché in questo clima di guerra in Ucraina decidessimo di ridurre la dipendenza dalla Russia, sarebbe un bel problema…
“Ma risolvibile. Abbiamo un’ottima rete di punti di stoccaggio: nove della SNAM, per 17 miliardi di m3, 3 di Edison per 1 miliardo di mc3, e l’ultimo, nato del 2018, di Ital Gas Storage, il primo operatore indipendente del settore, a Cornegliano Laudense, provincia di Lodi. Un impianto tecnologicamente molto avanzato che può immagazzinare fino a 1,6 miliardi di m3.
L’Italia ha quindi, con 20 miliardi di m3, la maggiore capacità di stoccaggio di gas in Europa e, in sinergia con le altre infrastrutture di trasporto e rigassificazione, può avere una buona sicurezza energetica, però con un piano energetico nazionale equilibrato negli approvvigionamenti”.
C’è da chiedersi come mai nonostante i ripetuti allarmi sulla dipendenza energetica dalla Russia dell’Europa, l’Italia oggi dipende per il 40% dal gas russo.
“I numeri dimostrano che potrebbe invece farne a meno”.
Ma per sostituire il gas russo a chi possiamo rivolgerci?
“Nei giorni scorsi le missioni in Algeria, Qatar, Congo e Angola dell’AD dell’ENI, Descalzi, con il ministro degli Esteri, Di Maio, hanno in parte risposto a questa domanda per il futuro, un po’ meno per il passato”.
Una risposta tutta da verificare. Col tempo si vedrà…
“Il punto è che i gasdotti da Algeria, Libia, Azerbaigian stanno lavorando al di sotto della loro capacità, diversamente da quello dalla Russia, mentre si può fare di meglio con il gasdotto che entra a Passo Gries, al confine tra Svizzera e Piemonte, portandoci gas proveniente dalla Norvegia e dal terminal di Rotterdam in Olanda. Anche il terminal off-shore di Rovigo, alimentato dal gas liquido che arriva via nave, è sottoutilizzato, mentre i due terminali GNL di Panigaglia (SNAM) e Livorno (IREN) sono più vicini al pieno utilizzo.
Non sono quindi le infrastrutture che ci mancano”
Importanti sarebbero poi le potenzialità di sviluppo della rete attraverso nuovi impianti di rigassificazione.
“Quello di Porto Empedocle, ad Agrigento, è ad esempio un progetto che ENEL ha lasciato in sospeso ma aveva ottenuto tutte le autorizzazioni e predisposto le basi con un investimento di alcune centinaia di milioni di euro. Se fosse completato in due o tre anni, fornirebbe una capacità di importazione di altri 10 miliardi di m3. Anche quello di Gioia Tauro, progetto di Sorgenia, potrebbe essere ultimato in pochi anni con un risultato analogo.
Va ricordata poi l’annosa vicenda dell’impianto di rigasificazione di Brindisi, oggetto di contenzioso con la British Gas, a cui fu revocata di fatto l’autorizzazione dopo che era stato concluso positivamente tutto l’iter, a causa dell’opposizione del Comune e della Regione Puglia.
Riassumendo, dall’Algeria, attraverso il gasdotto Transmed, che termina in Sicilia, a Mazara del Vallo, arriva oltre un quarto del totale del gas importato dall’Italia, ovvero tra i 16 e i 22 miliardi di m3, secondo diverse stime. A fronte di una capacità di entrata di Transmed, pari a quasi 30 miliardi di m3, l’aumento potenziale delle forniture algerine potrebbe passare da 16/22 miliardi a 30 miliardi di m3. Di cui due miliardi aggiuntivi nel breve periodo, il resto più a lungo termine.
Dalla Libia, attraverso il gasdotto Greenstream che termina, sempre in Sicilia, a Gela, arrivano oggi fra i 3 e i 5 miliardi di m3, che potrebbero salire a 8/9 miliardi, sempre nel lungo periodo”.
Secondo altre stime, produzioni aggiuntive per 10 miliardi di metri cubi da Algeria e Libia sarebbero disponibili già nei prossimi mesi, il resto non a breve.
Poi ci sono gli altri punti di entrata. Come il TAP, il gasdotto Trans-Adriatico che arriva dall’Azerbaijan alle coste pugliesi (a Melendugno nel Salento).
“Ha rischiato di fare la stessa fine del rigasificatore di Brindisi. Oggi ci fornisce circa 5 miliardi di m3, ma potrebbe arrivare a 10-12 miliardi.
Salendo a nord, dal punto di interconnessione di Passo Gries con Transitgas, la pipeline che trasporta il gas proveniente dal Nord Europa, potrebbe assicurare forniture aggiuntive di alcuni miliardi di m3.
E’ un punto di entrata strategico perché consente un flusso di gas bi-direzionale, in entrata in Italia, ma anche in uscita verso l’Europa, mitigandone la dipendenza dalla Russia, com’è già avvenuto quest’anno per periodi limitati”.
Gli altri due punti di entrata, Tarvisio e Gorizia, trasportano gas dalla Russia. E non rientrano certo nei piani di sostituzione del gas russo… Ma veniamo ai rigassificatori.
“Quello di Porto Levante (Rovigo), trasforma il GNL proveniente dal Qatar, circa 7 miliardi di m3, ma ha un potenziale aggiuntivo di altri 3-4 miliardi.
C’è poi quello di Panigaglia, nel Golfo della Spezia, che processa GNL proveniente da Africa e Nord Africa, in particolare dall’Algeria. Ha oggi una capacità di rigassificazione di 3,4 miliardi di m3, che non può essere ampliata. E infine c’è il terminale GNL al largo delle coste tra Livorno e Pisa. Ha oggi una capacità di rigassificazione di 3,75 miliardi di m3, solo parzialmente utilizzata. Si potrebbe incrementare.
Governo e SNAM stanno cercando di portare quest’anno un paio di impianti simili a quello di Livorno sulla costa italiana, uno in acquisto il secondo in noleggio, per tamponare a breve la situazione con altri 5-6 mliardi di m3 di capacità in entrata di GNL”.
Poi ci sarebbe il gas di produzione propria. L’Italia ha riserve di 350 miliardi di m3, in gran parte al largo, nell’ Adriatico. Trent’anni fa ne estraeva 30 miliardi di m3 all’anno, oggi solo 4 miliardi, a fronte di un consumo di 76 miliardi di m3 l’anno scorso. Come si spiega?
“Per diversi motivi. Mancanza di investimenti in tecnologie adeguate nel caso di alcuni giacimenti. Poi per la scelta, da condividere, di non usare la tecnica del fracking ovvero della fratturazione idraulica, considerata dagli ecologisti invasiva per l’ambiente, per i possibili effetti di subsidenza ossia di abbassamento della superficie terrestre con il rischio conseguente di terremoti. Ma anche e soprattuto per i costi di estrazione”.
Insomma si è preferita la convenienza del momento, puntando sull’import, rispetto alla preveggenza a lungo termine, che avrebbe consigliato un aumento della produzione italiana…
“Fatto sta che nel mix di importazioni italiane di gas, la quota russa è così alta quando si poteva abbassare ben prima della guerra in Ucraina”.
E adesso come siamo messi? Quanta autonomia abbiamo?. “Anche nell’ipotesi, inverosimile, che non arrivi alcuna fornitura, abbiamo un mese di autonomia.
Ad aprile cominceremo a riempire i siti di stoccaggio per il prossimo anno termico che inizia a ottobre. Abbiamo una capacità di stoccaggio di 20 miliardi di m3, oltre a circa 5 miliardi di stoccaggio strategico cui non si deve attingere: serve per mantenere la pressione di esercizio nel sistema dei gasdotti.
Ci restano quindi a fine inverno negli stoccaggi oltre un terzo dei 20 miliardi di m3 di gas potenzialmente disponibile all’inizio dell’anno termico. E una rete di punti di stoccaggio che l’Ue vorrebbe mettere in comune, vista la sua grande capacità… speriamo che il governo sappia valorizzare questo asset nei prossimi indispensabili accordi europei.
In questi giorni è insorta la preoccupazione per il fatto che sono andate deserte le aste per il riempimento degli stoccaggi. Ma comprare gas ai prezzi massimi del dopoguerra per stoccarlo e venderlo, probabilmente rimettendoci, non è stata una procedura molto incentivante per gli operatori. E’ opportuno che il governo con la Snam e l’Arera, l’autorità di regolazione dell’energia, mettano a punto in fretta una modalità di svolgimento delle aste che eviti questo inconveniente, perché rischieremmo, allora sì, di passare un inverno al freddo”.
In conclusione, tenuto conto di tutti questi fattori di vantaggio e delle previsioni di aumento dei flussi di approvvigionamento extra-russi, a breve-medio termine, in Italia possiamo prevedere, secondo gli esperti, un buon livello di autonomia.
“Per almeno 15 anni il nostro sistema energetico avrà bisogno però di quantità importanti di gas naturale. Servirà la massima diversificazione delle fonti di approvvigionament, sfruttando al meglio la posizione geografica del nostro paese. E continuando nella ricerca di nuovi giacimenti, come sta facendo l’ENI in Egitto o in Congo. Dobbiamo realizzare un sistema completo, integrato con i paesi dell’Africa, per la liquefazione del GNL, il trasporto via nave e la ri-gassificazione, per il quale occorrono dai 5 ai 10 anni”.
Nel frattempo le pipelines restano a breve una struttura portante fondamentale. Anche perché il trasporto di GNL via mare, è costoso (quello che ci ha promesso Biden costerà il 30% in più) e più soggetto alle alee del mercato. Le navi metaniere non vanno dove le porta il cuore, ma dove si ricavano più profitti… Il venditore può cambiare idea in mezzo al mare e girare la prua verso destinazioni più convenienti. Se tra una settimana il prezzo è più alto in Asia, le navi metaniere fanno rotta a Oriente.
Eliminare del tutto la dipendenza europea dal gas russo resta quindi un problema di soluzione non facile né immediata. Hic Rhodus, hic salta. Vale per noi, ma anche per la Germania: Hier ist di Rose, hier tanze, “Qui è la rosa, qui devi danzare”.