K metro 0 – Roma – Francia e Germania, due Stati che costituiscono il motore dell’integrazione europea, stanno adottando soluzioni differenti per affrontare, nel modo più efficace ed efficiente possibile, le sfide legate al cambiamento climatico e all’aumento dei costi dell’energia. Il Dottor Pierluigi Borghini, attualmente coordinatore del Tavolo politica industriale al Ministero dello Sviluppo
K metro 0 – Roma – Francia e Germania, due Stati che costituiscono il motore dell’integrazione europea, stanno adottando soluzioni differenti per affrontare, nel modo più efficace ed efficiente possibile, le sfide legate al cambiamento climatico e all’aumento dei costi dell’energia. Il Dottor Pierluigi Borghini, attualmente coordinatore del Tavolo politica industriale al Ministero dello Sviluppo economico (Mise), ha al centro dei suoi incontri i temi cari al mondo industriale e al paese: l’aumento del costo delle bollette e la futura politica energetica. Kmetro0 ha fatto così, una lunga chiacchierata con l’ex presidente della Confindustria Lazio dal 1993 al 1997 che espone qui soluzioni valide, nel breve e medio termine per abbattere la nostra dipendenza energetica dall’estero.
Intervista di Nizar Ramadan e Alessandro Luongo
Dottore, intanto, lei è per il nucleare o per il carbone?
“Se fossi tedesco sarei per il carbone, dato che in Germania contano su 40 centrali di questo tipo, ma sono italiano, dunque spero che gas e nucleare di nuova generazione siano la risposta alla decarbonizzazione. Al momento nel nostro paese, il 45 per cento della produzione di energia elettrica deriva dalla trasformazione del gas; al 14 per cento dal fotovoltaico- eolico; al 15 per cento dall’idroelettrico; e al 10 per cento è importata dalla Francia, dai suoi reattori nucleari”.
Dunque lei è a favore della politica energetica di Macron?
“Nel 1987 il popolo italiano fu portato da una politica poco preveggente e che parlava alla pancia degli italiani, più che alla testa, a votare con il referendum abrogativo sui limiti e rischi dell’abbandono del nucleare in una nazione, l’Italia, che è stata la prima a studiare esperimenti di fissione nucleare a Trino Vercellese e Montalto di Castro. La decisione per il no al nucleare portò anche alla crisi di un’intera generazione di ingegneri nucleari”.
Quanto l’Europa, a suo avviso, è pronta a difendere il carbone?
“Poco; la Francia è contro, la Germania è favorevole, l’Italia vanta una presenza marginale nell’Iglesiente, in Sardegna, in miniere che hanno un alto tasso di zolfo. Pensi che in passato sono stati spesi 3.000 miliardi di vecchie lire per impianti di desolforazione – quando si lavora il carbone nei giacimenti, se non si usa questo processo i fumi sono tossici – a Montalto di Castro che non sono mai entrati in funzione”.
Eppure l’energia alternativa al fossile si diffonde un po’ ovunque nelle varie regioni italiane?
“Il mondo industriale è molto preoccupato per questo: le energie legate al sole e al vento hanno bisogno di accumulo, ma il picco di consumo nel nostro paese (circa 50 milioni di kW/h) è intorno alle 18, quando il sole splende solo d’estate e in maniera attenuata. Per far fronte alle necessità delle industrie energivore, ad esempio, bisognerebbe accumulare le energie alternative e raddoppiare la potenza delle batterie, con il relativo aumento di litio da smaltire”.
Quali altri paesi potrebbero essere i nostri fornitori alternativi di gas oltre a Russia e Algeria?
“Noi stessi, l’Italia. Abbiamo il gas nell’Adriatico che lasciamo estrarre alla Croazia e Albania. Ben il 20 per cento del fabbisogno nazionale del gas sul 45 per cento di produzione importata potrebbe arrivare da una trivellazione del gas nell’Adriatico, che arriverebbe così a coprire il 9-10 per cento di energia; il fotovoltaico può arrivare, invece, al 3-4 per cento massimo. Invece di investire tanti miliardi di euro in 14 anni per la transizione energetica che stanno pagando cara gli italiani con le bollette, bisognerebbe puntare sulla trivellazione, partita, fra l’altro, settant’anni fa con l’Eni di Mattei. La molla è la fame, e non manca il disegno economico. L’industria darà mandato alla politica per andare in questa direzione”.
A suo avviso, il gas e il nucleare ci darebbero maggiore indipendenza?
“Certo. La Francia, con 30 centrali nucleari è autonoma, la Germania pure, anche se ne sta chiudendo tre, ma ha in compenso un forte parco eolico favorito dalle condizioni climatiche. L’Italia dovrebbe, invece, siglare un accordo esclusivo con gli Emirati Arabi per la produzione di ammoniaca, da cui si ricava idrogeno ‘verde”, che è trasportabile via nave. I tedeschi, ad esempio, stanno realizzando un impianto di utilizzo ad Hannover. Noi, in unione con gli Emirati Arabi potremmo portare l’ammoniaca e fare il cracking per ricavarne l’idrogeno verde a Civitavecchia, Montalto di Castro, Taranto, e in Sardegna”.
E ’preoccupato dalle tensioni in corso fra Russia e Ucraina?
“Non più di tanto, perché noi abbiamo bisogno di Putin, ma lui di noi per vendere il gas tramite la Gazprom; però bisognerebbe rinforzare la collaborazione con i paesi dell’est europeo come l’Azerbaigian, ad esempio, e con il mondo arabo. Serve un Mediterraneo da protagonista, e un ruolo cruciale potrebbe giocarlo il nostro paese anche in vista di una cucitura culturale globale”.
A proposito, ha citato l’Azerbaigian. In quali settori l’Italia, potrebbe giocare una partita importante in quel paese?
“Nelle telecomunicazioni, cibersecurity e tecnologia militare. Ad esempio, potremmo fornire i cavi per le fibre ottiche grazie alla nostra Prysmian, e i microprocessori che tanto condizionano la produzione mondiale. Un impegno del genere servirebbe a contrastare in Azerbaigian lo strapotere cinese”.
Che ruolo vede, invece, per l’Italia nei paesi del Golfo?
“La produzione di energia da fossile là è ben sviluppata, sarebbe auspicabile anche il fotovoltaico e l’idrogeno dove il sole è più presente. Noi potremmo collaborare a realizzare impianti per produrre idrogeno verde, grandi infrastrutture in territori dove ci sono spazi immensi”.
Andiamo in Europa, adesso, come vede il Vecchio Continente nello sviluppo economico futuro?
“In Europa l’età media tende a salire, ha una popolazione anziana, mentre l’età media dei paesi in espansione è più bassa, come la Cina, l’India, e in prospettiva l’Africa. Gli europei, tendono a evitare l’immigrazione in tutti i modi, dobbiamo cercare invece valorizzare le risorse di quei paesi in crescita tendo conto anche delle nostre prospettive”.
L’Italia tornerà ad essere un ‘ponte’ fra i popoli nel dialogo internazionale?
“Data la mia età (sorride, Ndr), ho vissuto l’esperienza dei governi Craxi e Andreotti, e Berlusconi; spero che il prossimo governo che verrà nel 2023 sia a forte trazione liberale (Borghini è anche responsabile per le categorie economiche di Forza Italia a Roma, Ndr) e faccia da giunzione in questo senso. Un interscambio culturale dovrebbe essere fatto qui, nella Capitale, per unire Europa, Asia e Africa”.
Per concludere Dottore, Lei ha cercato di far capire la necessità di una politica energetica nazionale orientata non solo ad abbattere nel presente i costi delle bollette per famiglie e imprese?
“Sicuramente. Abbiamo giù raggiunto i 2.700 miliardi di euro di debito pubblico, bisogna fare grande attenzione che i soldi del Pnrr servano a sostenere davvero il rialzo del Pil, altrimenti potremmo sfiorare il 200 per cento del rapporto tra debito pubblico e Pil. In quel caso l’Italia si indebolirebbe sui mercati finanziari e i vantaggi del Piano nazionale di resistenza e resilienza sarebbero vanificati dai maggiori tassi di interesse da pagare. Invece di 50- 60 miliardi di euro l’anno, potremmo doverne sborsare addirittura 150- 160”.