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140 anni fa, a Dublino, nasceva James Joyce, interprete del malessere dell’uomo

140 anni fa, a Dublino, nasceva James Joyce, interprete del malessere dell’uomo

K metro 0 – Dublino – Proprio 140 anni fa, per la precisione il 2 febbraio 1882, nasceva, a Dublino, James Joyce. Cioè uno dei piu’ grandi scrittori contemporanei, come Oscar Wilde dublinese (ma diversissimo per tematiche e stile).Un uomo mediocre come uomo, ma grandissimo come scrittore: l’autore dei “Racconti di Dublino”, e “Ritratto di

K metro 0 – Dublino – Proprio 140 anni fa, per la precisione il 2 febbraio 1882, nasceva, a Dublino, James Joyce. Cioè uno dei piu’ grandi scrittori contemporanei, come Oscar Wilde dublinese (ma diversissimo per tematiche e stile).Un uomo mediocre come uomo, ma grandissimo come scrittore: l’autore dei “Racconti di Dublino”, e “Ritratto di un artista da giovane”. Romanzo dove l’ Autore, un po’ come Yukio Mishima in “Confessioni di una maschera”, mette a nudo le ansie e la crescita fisica e psicologico-esistenziale di un adolescente: che non vive però in Giappone, ma nell’ultracattolica Irlanda di fine ‘800- primi anni del ‘900, dove, purtroppo, la religione cattolica è stata spesso propagata, e vissuta, in chiave ultranevrotica e sessuofobica.

Ma Joyce, è universalmente noto soprattutto per quel vero capolavoro che è l'”Ulisse”: la giornata – piena di contrattempi ed equivoci dolce-amari – d’un dublinese, ebreo ( … fortunatamente per lui, non siamo nella Vienna – sempre ai primi del ‘900 – del sindaco antisemita Karl Luger. ispiratore di Adolf Hitler!), Leopold Bloom. Che tutto il giorno peregrina per Dublino e ritarda apposta il ritorno a casa per evitare di trovare la moglie, Molly, a letto col suo amante (è una metafora, moderna e tragicomica, delle peregrinazioni dell’Ulisse omerico!). Nel 1961 lo studioso fiorentino Giulio De Angelis tradusse per la prima volta in italiano l’ “Ulisse”, per Mondadori (dopo una certa fatica per convincere l’editore, inizialmente scettico) : piu’ di 15 anni dopo, verso la fine degli anni ’70, Fausto Federici, medico scrittore e giornalista, lo intervistò in esclusiva per “La Serpe”, rivista dell’AMSI, Associazione dei Medici Scrittori Italiani.

Dal 1982, invece, proprio nel centenario della nascita di Joyce, un altro studioso italiano, il bolognese Luigi Schenoni, ha iniziato a tradurre quella che fu l’ultima fatica del dublinese. il “Finnegan’s Wake” (“La veglia di finnegan”): sorta di libro – sogno (il sogno dell’oste irlandese Finnegan) dalle dimensioni oceaniche, scritto con una “neolingua” tutta joyciana, con vocaboli di sua unica creazione, e perciò assai difficile da tradurre in qualsiasi lingua. Un’opera che per il ritmo del racconto, ciclico, ricorda sia Giordano Bruno che GianBattista Vico e Friedrich Nietzsche (con la teoria dell’ “eterno ritorno” della storia). Amico di altri grandi come Italo Svevo, Marinetti , Scott Fitzgerald ed Ezra Pound, a Parigi sin gli anni ’20, Joyce nel ’40, con la famiglia, per sfuggire all’invasione nazista si rifugia in Svizzera. Qui, malandato in salute , morirà a soli 51 anni (dimostrandone piu’ di 20 in piu’!), nel 1941, a Zurigo, dove tuttora è sepolto. Ai suoi funerali, l’Irlanda a malapena manderà il suo console a Zurigo (“Nemo propheta in patria…”, dice già Cristo nei Vangeli!).

Onore a un grande, grandissimo scrittore, interprete profondo – come Musil, Malraux, Camus, Silone – del malessere dell’uomo contemporaneo. A lui, sempre il collega Fausto Federici dedicò anche un romanzo storico, “Quegli anni con Joyce” (Piovan ed., Abano Terme, 1986): romanzo dove un medico e giornalista francese, Jean Fournier (evidente alter ego dell’ Autore), inizialmente studente di medicina a Parigi, ai primissimi del ‘900 conosce uno squattrinato Jim Joyce, da poco arrivato dall’Irlanda. E’ l’inizio d’un’amicizia vera che durerà 40 anni, sullo sfondo delle grandi tragedie del ‘900.

Epilogo: la morte di Nora Barnacle, moglie di Joyce (figlia d’un panettiere di Galway), anche lei a Zurigo, ad aprile del 1951, dieci anni esatti dopo il marito. Fournier l’assiste sino alla fine, mentre Nora – come già Molly Bloom nell’ “Ulisse” joyciano – si lascia andare al tumulto interiore dei ricordi.

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