K metro 0 – Milano – Docente di Lingua e letteratura araba all’Università Cattolica di Milano, Paolo Branca, autore di numerose pubblicazioni, è in Italia tra i maggiori esperti del mondo arabo, del rapporto Islam-mondo moderno, soprattutto per ciò che riguarda il fondamentalismo e il riformismo musulmani. Nel 2011 ha fatto anche parte del Comitato
K metro 0 – Milano – Docente di Lingua e letteratura araba all’Università Cattolica di Milano, Paolo Branca, autore di numerose pubblicazioni, è in Italia tra i maggiori esperti del mondo arabo, del rapporto Islam-mondo moderno, soprattutto per ciò che riguarda il fondamentalismo e il riformismo musulmani. Nel 2011 ha fatto anche parte del Comitato per l’islam italiano presso il Ministero degli Interni e il cardinal Scola lo ha nominato responsabile delle relazioni con i musulmani dell’Arcidiocesi di Milano durante il suo mandato.
Con una esperienza e competenza del genere, gli chiediamo come mai non lo vediamo frequentare i salotti televisivi quando si dibatte di vari temi che riguardano il mondo musulmano, come l’integrazione, ad esempio. Di questo e altri temi ha parlato con noi a Kmetro0.
“Li ho frequentati in passato ma mi hanno molto deluso nonostante la bravura dei conduttori, perché la televisione è troppo superficiale per esprimere argomenti che ho trattato invece in maniera gratificante in decine di conferenze e dibattiti in centri culturali e persino nelle parrocchie. Sono molto banali anche i social media, come Facebook, ad esempio, dal quali sono uscito”.
Intervista di Alessandro Luongo
Come è nata la sua passione per il mondo arabo, professore?
“Nel corso degli studi superiori volevo studiare una lingua orientale e ho così scelto l’arabo, per la vicinanza geografica e perché l’Islam è la religione sorella dell’Ebraismo e del Cristianesimo, anche se in base al famoso detto ‘parenti- serpenti’, non sempre tra fratelli si va d’accordo. Mi sono dedicato alla saggistica, all’inizio, e alle varie correnti di pensiero; ho scritto anche due libri in arabo sulle barzellette, che dimostrano che siamo tutti mediterranei, specialmente italiani e arabi. Nel 1981 mi recai in Egitto: un paese straordinario, che strabocca di umanità e ospitalità. Se parli la loro lingua, inoltre, il rapporto cambia totalmente: diventi un vero e proprio amico”.
Da occidentale, che sensazione le dà conoscere alla perfezione una lingua del mondo orientale come l’arabo?
“Mi fa sentire più umano, mi apre nuovi orizzonti. Ora mi sto concentrando sull’aspetto antropologico, in particolare sulle gerarchie tradizionali. Certo, ci sono punti che non condivido, come la sottomissione delle donne, che non è solo un fenomeno del mondo islamico tuttavia: i frequenti femminicidi rappresentano purtroppo il rifiuto dell’emancipazione della donna anche da noi. Ho però scoperto che i giovani nutrono un profondo e radicato rispetto nei confronti degli anziani e questo è un punto fermo della loro cultura, un vero tabù che fortunatamente resiste: non mi piace e non credo sia un progresso sentire bambini dire parolacce a genitori o insegnanti. Noi conosciamo, purtroppo, gli altri popoli attraverso stereotipi ed etichette. Una volta un americano mi disse: ‘Ah, sei europeo’? Io ho un amico a Helsinki’. Cosa abbiamo noi in comune con i finlandesi? Ben poco, siamo invece vicini ai greci e agli spagnoli, paesi del Mediterraneo”.
Il rischio islamizzazione in Italia c’è, professore?
“Al di là del fatto che i musulmani nel nostro paese rappresentano una piccola percentuale della popolazione, che due milioni di essi costringano le nostre donne a indossare il velo, e tutti a non mangiare insaccati e non bere alcolici è pura propaganda o fantascienza. Anzi, abbiamo più punti in comune con il mondo arabo di quando si possa immaginare. Il cibo, ad esempio: pizza e pane e tante altre portate della cucina mediterranea; poi la passione per il calcio. Quando l’Italia gioca nei campionati d’Europa e del Mondo, l’Egitto tifa per il nostro paese. Il Mediterraneo è poi la culla del primo alfabeto ed è come se noi italiani non ne fossimo consapevoli: dobbiamo recuperare, invece, le radici comuni per andare avanti”.
Parliamo delle sue pubblicazioni; perché non ha mai tradotto il Corano in italiano?
“L’Italia è il primo paese al mondo ad aver stampato libri in altri alfabeti, e del Corano esistono almeno una ventina di buone traduzioni; le prime furono medievali, fatte da religiosi cristiani, ma erano in latino. Per una traduzione in italiano bisogna aspettare il 1400. Io vorrei invece tradurre la Muqaddima di Ibn Khaldun, filosofo della storia anticipatore di Giambattista Vico e anche di Macchiavelli. L’ho proposto alle case editrici, ma mi hanno risposto che manca l’interesse del pubblico. Certo sarebbe un libro voluminoso, ma preziosissimo e non potrebbe mancare in nessuna biblioteca”.
Per finire, come vede il mondo arabo nel contesto europeo attuale?
“Dovremmo guardare con maggiore attenzione ai nostri dirimpettai del Nord Africa e del Medio Oriente che avrebbero potuto avere un maggior ruolo nel prevenire le tragedie libica, siriana, irachena e dell’Afghanistan. Invece la politica estera europea dopo la Seconda Guerra mondiale è stata delegata agli Stati Uniti che ora s’interessano più di Cina che di Mediterraneo. L’Europa non ha pertanto voce nello scacchiere globale per sciogliere nodi importanti che ci riguardano da vicino già ora e ancor di più ci interesseranno in un prossimo avvenire. La diplomazia si fa anche con la cultura e con l’arte, e soprattutto coi giovani che imparano le lingue. Anche tra le nuove generazioni di immigrati, chi può preferisce facoltà tecnico-scientifiche, restando sguarnito sul versante umanistico: letterario, filosofico, religioso… Eppure è proprio nel Mediterraneo che sono nate e si sono sviluppate alcune delle civiltà maggiori del mondo intero. A questo comune tesoro dobbiamo tornare ad attingere. Potremmo diventare l’alternativa di molte ideologie e sistemi che sono ormai inesorabilmente in crisi, compreso quello liberale. La sfiducia nelle istituzioni nasce anche da questa carenza di creatività di cui l’area euro-araba sarebbe il laboratorio ideale”.