K metro 0 – Dubai – Il sospetto circolava già da tempo. A confermarlo, è arrivata la confessione di Wu Han, una giovane cinese 26enne, rinchiusa per otto giorni in una prigione segreta a Dubai insieme ad almeno due uiguri. Potrebbe essere la prima prova dell’esistenza di una struttura di detenzione della Cina al di
K metro 0 – Dubai – Il sospetto circolava già da tempo. A confermarlo, è arrivata la confessione di Wu Han, una giovane cinese 26enne, rinchiusa per otto giorni in una prigione segreta a Dubai insieme ad almeno due uiguri. Potrebbe essere la prima prova dell’esistenza di una struttura di detenzione della Cina al di fuori dei suoi confini.
Wu Huan, ha rivelato all’Associated Press di essere stata rapita da un hotel a Dubai e detenuta da funzionari cinesi in una villa trasformata in carcere, dove ha visto o sentito altri due prigionieri, entrambi uiguri.
Wu era in fuga per evitare l’estradizione in Cina perché il suo fidanzato, Wang Jingyu, era considerato un dissidente dal governo di Pechino.
Interrogata e minacciata è stata costretta a firmare documenti che incriminavano il suo fidanzato per averla molestata. Rilasciata l’8 giugno, ora sta cercando asilo nei Paesi Bassi.
Wang Jingyu, arrestato il 6 aprile scorso, all’aeroporto di Dubai, era imbarcato su un aereo che lo doveva portare dalla Turchia negli Stati Uniti. Ma durante lo scalo nella capitale dell’emirato è finito in carcere perché ricercato da Pechino per aver postato messaggi che criticavano la versione dei mass media cinesi sulle proteste di Hong Kong nel 2019 e per i suoi commenti online sugli scontri dell’estate scorsa fra truppe cinesi e indiane lungo la frontiera himalayana.
I reporters dell’AP non sono stati in grado di confermare o smentire direttamente il racconto di Wu né di individuare il luogo preciso della “prigione segreta” cinese a Dubai. Hanno tuttavia visto e udito prove a sostegno, inclusi timbri sul passaporto, una registrazione telefonica di un funzionario cinese che poneva domande a Wu e messaggi di testo che lei aveva inviato dal carcere a un religioso che aiutava la coppia.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha dichiarato, lunedì scorso, che la storia raccontata da Wu “non è vera”. E così pure la polizia di Dubai, precisando che Wu è uscita liberamente dal paese con il suo amico tre mesi fa.
“Dubai non trattiene alcun cittadino straniero senza seguire le procedure accettate a livello internazionale e le leggi locali, né consente ai governi stranieri di gestire centri di detenzione all’interno dei suoi confini“, ha dichiarato l’ufficio stampa dell’emirato.
Ciò nonostante, la ben nota ONG internazionale, Human Rights Watch, ha rivelato che grazie alla sua forza economica, Pechino bracca centinaia di esuli nel mondo. E che alcuni paesi islamici (soprattutto Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita) deportano in Cina profughi Uiguri”.
I siti segreti sono carceri clandestine in cui i prigionieri generalmente non sono accusati di un crimine e non possono ricorrere a un avvocato, né uscire con una cauzione o un ordine del tribunale. Molti sono usati per dissuadere proteste contro le autorità locali, e spesso prendono la forma di stanze in hotel o pensioni.
Ma se queste “prigioni segrete” sono comuni in Cina, la confessione di Wu è, finora, l’unica testimonianza che Pechino ne abbia creato una in un altro paese. Questo dimostrerebbe che la Cina sta usando sempre più la sua influenza internazionale per detenere o riportare indietro suoi cittadini espatriati, siano essi dissidenti, sospettati di corruzione o membri di minoranze etniche come gli uiguri.
Yu-Jie Chen, docente presso l’Academia Sinica di Taiwan, ha affermato di non aver sentito parlare di una prigione segreta cinese a Dubai e che una struttura del genere in un altro paese sarebbe insolita. Tuttavia, ha ammesso che sarebbe in linea con i tentativi del governo cinese di fare tutto il possibile per riportare indietro cittadini sulle sue “lite nere”, sia attraverso mezzi ufficiali come la firma di trattati di estradizione sia con altre manovre come la revoca dei visti o facendo pressione sulla famiglia in patria. E “questa tendenza è sempre più forte”.
Chen ha spiegato che gli uiguri, in particolare, sono stati estradati o rimpatriati in Cina, e che le autorità cinesi hanno incarcerato membri di questa minoranza prevalentemente musulmana con l’accusa di terrorismo anche per atti relativamente innocui come la preghiera. Lo Uyghur Human Rights Project ha identificato 89 uiguri detenuti o deportati da nove paesi dal 1997 al 2007. Quel numero è aumentato costantemente fino a raggiungere 1.327 da 20 paesi, dal 2014 ad oggi.
Wu e il suo fidanzato, Wang Jingyu, non sono uiguri ma cinesi han, l’etnia maggioritaria in Cina.
Insieme agli uiguri, la Cina ha represso i presunti dissidenti e gli attivisti per i diritti umani e ha lanciato una grande campagna per riportare in patria i funzionari sospetti di corruzione. Sotto il presidente Xi Jinping, il leader più autoritario della Cina da decenni, Pechino ha ricondotto in patria 1.421 persone solo nel 2020 per presunta corruzione e crimini finanziari, nell’ambito dell’operazione Skynet.
Dubai, in particolare, ha anche una storia come luogo in cui gli uiguri vengono interrogati e poi deportati in Cina. Attivisti di associazioni per i diritti umani sostengono che l’Emirato è collegato a interrogatori segreti che coinvolgono altri paesi. Radha Stirling, un avvocato che ha fondato un gruppo di assistenza legale di detenuti a Dubai, ha detto che era entrato in contatto con una dozzina di persone che hanno riferito di essere state detenute in ville negli Emirati Arabi Uniti, fra cui cittadini di Canada, India e Giordania ma non cinesi.
“Non c’è dubbio che gli Emirati Arabi Uniti abbiano detenuto persone per conto di governi stranieri con cui sono alleati”, ha affermato Stirling. “Non credo perciò che scrolleranno le spalle di fronte a una richiesta di un alleato così potente”, come la Cina.
Patrick Theros, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Qatar, ora consigliere strategico del Forum internazionale del Golfo, ha definito tuttavia le accuse contro gli Emirati “totalmente fuori luogo”.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non ha rilasciato commenti sul caso specifico di Wu o sull’esistenza di una “prigione segreta” cinese a Dubai.
Resta tuttavia il fatto che la Cina, sta approfittando del disimpegno degli USA in Medio Oriente. E sta cercando di accrescere la sua influenza sulla “Piccola Sparta” (così definita per le sue capacità militari dagli Stati Uniti, suoi stretti alleati, tanto da essere inclusa nella “Via della seta statunitense”), attraverso una cooperazione tecnologica sottobanco sul fronte degli armamenti.
Un Hub per l’Intelligence CINESE
Negli ultimi anni sono emerse segnalazioni di cittadini stranieri e degli emirati rinchiusi in ville, a volte per un tempo indefinito.
Il caso più noto riguarda forse Sheika Latifa bint Mohammed bin Rashid Al Maktoum, figlia del sovrano di Dubai. Sheikha Latifa ha cercato di fuggire nel 2018 in barca, ma è stata intercettata dalla guardia costiera indiana nel Mar Arabico e riconsegnata agli Emirati Arabi Uniti.
Nei video pubblicati dalla BBC a febbraio, afferma di essere stata trattenuta contro la sua volontà in una villa a Dubai: “Sono un ostaggio”, dice in uno dei video. “Questa villa è stata trasformata in prigione”. Secondo una dichiarazione, tutta da verificare, rilasciata in seguito a suo nome, Sheikha Latifa sarebbe tornata libera di viaggiare…
La Cina e gli Emirati Arabi Uniti, hanno profondi legami economici e politici e collaborano anche nel controspionaggio. Pechino ha ratificato un trattato di estradizione con gli Emirati nel 2002 e un trattato di cooperazione giudiziaria nel 2008. Gli Emirati Arabi Uniti sono stati un sito sperimentale per i vaccini COVID cinesi.
Lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e sovrano di fatto degli Emirati Arabi Uniti, ha affermato di essere disposto a lavorare con la Cina per “colpire insieme le forze terroristiche estremiste“, incluso il Movimento islamico del Turkestan orientale, un gruppo militante accusato da Pechino di favorire il separatismo uiguro. Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, le autorità locali hanno arrestato e deportato in Cina almeno cinque uiguri, secondo le testimonianze rese al telefono all’AP da amici e parenti.
In un caso, un residente di lunga data degli Emirati Arabi Uniti, Ahmad Talip, è stato interrogato in una stazione di polizia locale e incarcerato, secondo sua moglie, Amannisa Abdullah, che ora si trova in Turchia. In un altro caso, otto agenti in borghese hanno fatto irruzione in una stanza d’albergo e hanno arrestato un ragazzo di 17 anni che era appena sfuggito a un raid della polizia in Egitto.
Gli arresti sono stati eseguiti da arabi che sembravano essere poliziotti degli Emirati Arabi Uniti, non agenti cinesi, hanno detto gli uiguri. Tuttavia, uno dei detenuti, Huseyin Imintohti, è stato ricercato da tre agenti cinesi in un ristorante uiguro a Dubai prima della sua espulsione, secondo la testimonianza di sua moglie, Nigare Yusup.
Un altro detenuto uiguro, Yasinjan Memtimin, è stato interrogato due volte negli Emirati Arabi Uniti da persone che sembravano poliziotti cinesi, ha detto sua moglie, che ha rifiutato di essere nominata per paura di ritorsioni, e ha riferito di aver sentito parlare, da un uiguro fuggito all’estero, di una struttura di detenzione negli Emirati Arabi Uniti dove gli uiguri sono stati incarcerati e interrogati, senza fornire però ulteriori dettagli.
Gli Emirati Arabi Uniti sembrano essere diventati un centro di coordinamento per le operazioni dell’intelligence cinese contro gli uiguri in Medio Oriente, hanno detto all’AP gli ex residenti uiguri. Un linguista uiguro, Abduweli Ayup, ha detto di aver parlato con tre uiguri costretti a lavorare come spie in Turchia che sono passati da Dubai per ritirare carte SIM e contanti e incontrare agenti cinesi.
Oltre agli Emirati Arabi Uniti, molti altri paesi hanno collaborato con la Cina per rimandare indietro gli uiguri. Nel 2015, la Thailandia ha estradato oltre 100 uiguri in Cina. Nel 2017, la polizia egiziana ha arrestato centinaia di studenti e residenti uiguri e li ha rispediti in Cina.
Rodney Dixon, un avvocato londinese impegnato nella difesa dei diritti di gruppi di uiguri, ha dichiarato che la sua équipe ha intentato una causa contro il Tagikistan presso la Corte penale internazionale, accusando le autorità locali di aiutare la Cina a deportare gli uiguri.
La Cina non è il primo paese a dare la caccia a sospetti terroristi al di fuori dei suoi confini. Dopo l’11 settembre, il governo degli Stati Uniti ha anche gestito e controllato una rete di strutture di detenzione clandestina della CIA all’estero in paesi tra cui Thailandia, Lituania e Romania, che ha cessato la sua attività nel 2009.