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Etica, linguaggio universale delle religioni – Parte IV

Etica, linguaggio universale delle religioni – Parte IV

K metro 0 – Roma – Ricordiamo la vivezza multiculturale presente nei secoli VIII e IX a Baghdad, frutto dell’apporto di influenze arabe, persiane ed ellenistiche nel periodo aureo della dinastia degli Abbassidi. Purtroppo dopo un promettente avvio, già a far data dal sec. X la scienza giuridica aveva subito una battuta di arresto, ancor

K metro 0 – Roma – Ricordiamo la vivezza multiculturale presente nei secoli VIII e IX a Baghdad, frutto dell’apporto di influenze arabe, persiane ed ellenistiche nel periodo aureo della dinastia degli Abbassidi.

Purtroppo dopo un promettente avvio, già a far data dal sec. X la scienza giuridica aveva subito una battuta di arresto, ancor più significativa se si considera che in altri campi della vita civile- viceversa- progredirono, grazie alla protezione accordata dai vari Califfati (Siria, Egitto, Mesopotamia, Portogallo, Spagna, Sicilia …) , le lettere, le arti, il commercio e le scienze.

Ciò in un contesto di grande apertura culturale e cosmopolitica, che favorì anche il recupero dell’eredità scientifica e filosofica del mondo greco-ellenistico, costituente le radici dell’Europa unita.

Oltre alle richiamate “contaminazioni”, va nuovamente evocato quel comune sentimento di giustizia che è presente in tutti i popoli, in ogni tempo ed in ogni luogo, con il nome di “diritto naturale o delle genti”.

Nell’alveo del diritto, la dottrina islamica, al pari di quella romana, propugnò il principio di rispettare i patti, di restituire il maltolto, di attribuire a ciascuno il suo etc…

I rispettivi sistemi normativi conferirono una fondamentale rilevanza all’elemento soggettivo dell’agire umano. Di poi, in materia contrattuale vi furono forti elementi di omogeneità, come in quella dei diritti reali: basti citare a titolo di esempio- rispettivamente- – il contratto di società ed il diritto di proprietà indivisa.

In tema di guerra “giusta” la dottrina romanistica considerava senz’altro lecita quella difensiva, previa formale dichiarazione di guerra; del pari nella Shari’ah la guerra deve avere una giusta motivazione, quale la difesa della patria o della libertà religiosa.

Tuttavia, se è vero che nel Corano ci sono passi evocativi della violenza e della guerra, è ancor più vero che sono molto più frequenti i riferimenti alla “compassione” ed alla pace, poiché il Dio coranico non è il Signore della guerra, bensì “Il Clemente, il Misericordioso”.

Non a caso il termine stesso di “Islam” (“sottomissione”, dell’uomo verso Dio) – come ben osservò il teologo cristiano Hans Kung (1927) – ha la medesima radice della parola “Salam” (“pace”), saluto caratteristico del mondo islamico.

La differenza più marcata, sotto il profilo strutturale prima che contenutistico dell’Islam rispetto al Cristianesimo, è data tuttavia dal fatto che il primo oltre ad essere una religione, è anche una fonte di regole per l’economia, le scienze, le arti, la politica ed il diritto, il quale ultimo rappresenta soltanto la decima parte dei precetti del menzionato Corano, testo sacro che Muhammad (570-632 d.C.) manifestò di aver ricevuto direttamente da Allah.

Diritto perlopiù a carattere personalistico, cioè abbracciante tutti i credenti di fede islamica, e dunque non territoriale, con la conseguenza che i soggetti appartenenti a differenti religioni (cristiani, ebrei), erano “tollerati” e formavano delle comunità a parte, in condizione di inferiorità morale e politica rispetto ai veri credenti.

L’evocata commistione tra precetto morale e norma giuridica, segnò la differenza più marcata- sotto il profilo strutturale -con il Cristianesimo medioevale, che malgrado la simbiosi “ambientale” con il diritto romano (Utrumque Jus), si mantenne ben distinto da esso, così come venne progressivamente ad accentuarsi la separazione tra l’Impero e la Chiesa.

Nella scala delle regole da seguire, furono indicate in ordine di importanza:

1)Il Corano, codice di principi morali di facile comprensione, ispirato ad un’etica di giustizia di cui sono profondamente permeate le altre due religioni monoteistiche, la quale traspare anche nei dettami minutamente volti a regolare i più vari aspetti della vita sociale ed individuale, contemplati accanto a quelli prioritariamente riguardanti il rapporto fra l’uomo ed Allah medesimo.

Le virtù che l’Islam richiede al credente sono il buon carattere e le buone opere, che nella filosofia aristotelica si compendiavano nell’”etica delle virtù”.

In tale ambito, la vera pietà è quella di colui che crede, prega, digiuna, versa l’elemosina, è ospitale ed ha la virtù della pazienza, a quale non è tanto la virtù di chi sopporta, quanto di colui che persèvera con fermezza e tenacia nel culto e nelle buone opere, si mantiene lontano dal peccato e non si smarrisce nella cattiva sorte.

Oltre alla pazienza necessaria nelle avversità, nella buona ventura deve esercitarsi la gratitudine: “Chi è afflitto porti pazienza– affermava il Profeta- chi riceve doni sia grato, chi patisce un torto perdoni e chi fa un torto chieda perdono”.

La più alta forma di gratitudine verso l’Altissimo è quella di agire secondo i suoi precetti, di saldare i debiti con i propri simili, di ringraziarli per i benefici da loro ricevuti; quella dell’Altissimo verso l’uomo, è di ricompensarlo per le buone opere da lui compiute.

L’assennatezza è la virtù di colui che pondera e si risolve all’azione solo dopo aver riflettuto; ma anche di colui che porta pazienza nelle avversità e si manifesta indulgente verso le colpe altrui: “Non c’è assennato senza ostacolo e non c’è sapiente senza prova” dice Muhammad. Assennatezza per il buon musulmano è anche rispondere al male con il bene, come fece Abramo.

Fondamentale condizione a supporto dell’assennatezza, è la cultura, antidoto alla stoltezza come all’ignoranza e come condizione favorevole al perdono per il male ricevuto. Assennato è colui che sa tacere al momento opportuno, e sa mantenersi umile, il che non va confuso con l’atteggiamento di rinunzia del pavido, poiché quest’ultima non ha né merito, né nobiltà, né onore.

La misericordia è la virtù che affratella tutti i credenti delle tre religioni del Libro (ebrei, cristiani e musulmani) .

Essa lega tra di loro “quelli che credono”, in quanto proprio la misericordia –nello spirito del Corano– comporta la prossimità, l’affinità ed addirittura la coincidenza tra credenti di fede diversa, supportando al contempo la perennità della fede nell’unico vero Dio. Nel Vangelo di San Luca (Lc 6, 27-38) Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”.

L’ospitalità comporta per l’Islam il dovere di tutelare tutti i membri delle altre religioni rivelate, come si riscontra per esempio nella Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”.

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