K metro 0 – Salerno – Ieri 24 luglio, Ferzan Ozpetek con la sua energia positiva e lo sguardo pieno di passione a #Giffoni50Plus, riceve il Premio Truffaut e con grande emozione afferma: “Lo dedico a Monica Vitti e Lea Massari, due artiste con cui avrei tanto voluto lavorare. E l’anno prossimo spero di tornare
K metro 0 – Salerno – Ieri 24 luglio, Ferzan Ozpetek con la sua energia positiva e lo sguardo pieno di passione a #Giffoni50Plus, riceve il Premio Truffaut e con grande emozione afferma: “Lo dedico a Monica Vitti e Lea Massari, due artiste con cui avrei tanto voluto lavorare. E l’anno prossimo spero di tornare ancora”.
Ozpetek, durante le interviste e davanti ai giovani giurati ha svelato anche il suo lato più personale: “L’amicizia è la nostra ricchezza, ci aiuta a vivere meglio. Ho tanti amici a cui sono molto legato come Favino, Accorsi, Argentero, Margherita Buy e Kasia Smutniak. Purtroppo però ci vediamo poco perché ognuno è preso dai propri impegni lavorativi”. Il cinema è una passione che asseconda, perché, racconta le nostre vite, i nostri sogni e desideri, “nella vita seguo sempre il cuore e mai la testa”.
È, al momento, al lavoro per la versione tv di Le fate ignoranti, a vent’anni dall’uscita del celebre film con Stefano Accorsi e Margherita Buy. A dicembre si prepara a tornare in teatro con Mine vaganti, mentre a breve girerà in Turchia, sua terra natia, il finale del lavoro televisivo che vede nel cast Eduardo Scarpetta e Cristiana Capotondi: “Non ci torno da tre anni e sono molto emozionato alla sola idea. Il mio Paese però è l’Italia dal 1976. L’ho scelta e la amo alla follia, anche se non dimentico le mie origini”. Tra i ricordi più intimi condivisi con la parte junior del Festival quello con due grandi artisti. Il primo è Massimo Troisi: “Con lui ho fatto il mio primo lavoro, come assistente alla regia. Mi sarebbe piaciuto dirigerlo perché era un grande in tutto”. Ha collaborato, inoltre, con il compianto Ennio Fantastichini: “Mi manca molto – dice – sarà sempre con me. Ad un certo punto sul set gli ho tagliato i capelli e assomigliava a papà, questo lo ricordo con tanto affetto”. Non solo piccolo e grande schermo, però: “Per due anni ho fatto il pittore, di recente ho partecipato alla Biennale Arte con il progetto Venetica e quando scrivo un libro lo faccio quasi per divertimento, senza aspettarmi il successo. È sempre così quando faccio qualcosa che mi piace e nelle pagine, anche se a volte intrise di malinconia, trovare la connessione umana mi fa sentire meno solo. Se quello che racconto trova condivisione e viene amato per me è come ricevere un Premio Oscar”.
La sua passione per il cinema nasce così: galeotta fu una serata in un’arena con la nonna: “Ero piccolo e rimasi abbagliato da Liz Taylor. Ero stanchissimo e mentre stavo per addormentarmi, sulla strada del ritorno a casa, mi balenavano davanti agli occhi quelle immagini. Non ho più smesso e ho iniziato ad andarci tre volte a settimana, il mercoledì, il sabato e la domenica”.
Molte delle domande dei ragazzi si sono concentrate su Napoli velata, il film che ha diretto nel 2017:
Napoli non la conoscevo intimamente. Se non ricordo male, otto o nove anni fa, mentre stavo dirigendo la Traviata, fui invitato a cena dalla signora Flora. Ho iniziato a conoscere personaggi e luoghi straordinari ed ho avuto la conferma che Napoli fosse un posto speciale, pieno di cultura, capace di sorprendermi e di emozionarmi ogni giorno di più. Da quel momento qualcosa è cambiato… A quel punto mi sono detto che non potevo esimermi nel raccontare Napoli, e ho iniziato a lavorare al film. A chi gli ha chiesto di raccontare la sua sensibilità per le tematiche gay, il regista ha risposto: “Nella vita non sai mai chi amerai, l’importante è non giudicare le persone… I nostri politici non hanno compreso che i giovani vivono tutto, compreso la sessualità, in maniera più fluida. Il mondo sarà meraviglioso quando non avremo più locali gay, locali etero e locali per gli amanti degli elefanti”.
di Laura Placenti